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domenica 9 luglio 2017

La ripresa dell'Europa

Sul sito ufficiale di CL ho recentemente trovato un articolo dal titolo "Rassegna CLU - Discorsi sull'Europa".
Il testo proposto riporta le riflessioni di tre autori (Enrico Letta, Antonio Polito e Mattia Feltri) i quali con diverse motivazioni portano in luce la crisi dell'Europa. Poi segue una riflessione che, spiace dirlo, non riesce ad uscire dalla gabbia del pensiero unico moderno e, oltre a criticare in misura diversa i contributi riportati (perché non propongono soluzioni o ne propongono di sproporzionate), più in là non riesce ad andare.
Ne è testimonianza il giudizio riportato riguardo lo sviluppo della crisi: "Non lo sappiamo, nessuno lo sa e può fare attendibili pronostici". E subito prosegue:
"Sappiamo solo che ogni crisi, quanto più è profonda tanto più
costringe a ripartire dal basso, dalle fondamenta umane. Sono certo necessarie le considerazioni e le iniziative politiche, ma è ancor più necessario che nascano uomini che sappiano, come i “fondatori” dell’Europa antichi e recenti, ricostruire".
Qui già il desiderio diventa desiderio impossibile. In fondo si cade nella soluzione sproporzionata, che ha una nefasta conseguenza, perché la soluzione proposta non dipende da me, da noi. Possiamo fare qualcosa noi, in merito a questa necessaria nascita? Come fa un uomo a nascere con delle certezze? Le certezze non si acquisiscono col tempo? Dov'è finita la certezza di cui normalmente sarebbe capace un ciellino, un cristiano? Come si sviluppa?
Il testo conclude così:
"Siamo in università e abbiamo visto, nelle recenti elezioni svoltesi in molti atenei italiani, che molti, insieme a noi, hanno un ideale, una passione per se stessi e per la situazione intorno a loro. Si sono coinvolti non per un tornaconto “politico”, ma per non restare spettatori del mondo, per un desiderio di non lasciarsi scorrere addosso la vita. È un punto di novità. E se accade in università, potrà accadere anche in Europa."
 Cari giovani, che avete circa trent'anni meno di me: anche io ho passato qualche anno all'università, frequentando il movimento e conoscendo una passione per l'ideale. All'epoca però c'era la tendenza a dichiarare questo ideale per quello che era, con semplicità ma anche con la risolutezza tipica di chi è giovane e vuole (o vorrebbe) bruciare le tappe e andare subito al sodo.
Quello che all'epoca poteva sembrare una semplice opzione, oggi, (per fortuna!) non lo è più. Non si può più parlare, dopo tutto quello che è successo (e tutto quello che è successo non è successo invano!) solo di un ideale, una formulazione generica che lascia troppo spazio all'ambiguità e alla confusione oggi dominante. Oggi occorre definirlo per quello che è, con tutta semplicità e chiarezza, cioè un ideale cristiano.
Come si fa, cristianamente, a parlare di Europa e a non ricordare che la Chiesa e il Papa stesso (all'epoca il Santo Karol Wojtyla) fecero pressioni affinché nel prologo della Costituzione fosse inserito un richiamo alle radici cristiane dell'Europa? E che tale richiamo fu invece negato, come se il cristianesimo fosse un corpo estraneo a questa Europa?
E come si fa, cristianamente, a parlare di Europa e non avere nel cuore e nella mente la Dottrina Sociale della Chiesa con i suoi insegnamenti fondamentali? Come si fa a non considerare che il principio di sussidiarietà, insieme alla dignità della persona, al bene comune e al principio di solidarietà, è uno dei quattro cardini della Dottrina Sociale della Chiesa? E come si fa a parlare di Europa senza considerare che la nascita della moneta unica è in clamorosa e totale contraddizione con il principio di sussidiarietà, poiché invece di aiutare le monete nazionali, le ha cancellate?
Io capisco che all'epoca dei fatti molti di voi non eravate nemmeno nati; ma quelli più grandi di voi c'erano: non vi hanno raccontato nulla?
La crisi dell'Europa è niente altro che la crisi di una istituzione umana che ha considerato e considera il cristianesimo come un corpo estraneo: tutto qua. E questa Europa non è un un soggetto isolato, ma è un soggetto concepito e calato in un preciso contesto storico e sociale, con una precisa crisi morale e spirituale e ora anche economica e monetaria, nella quale vi sono degli attori precisi e determinati ad un piano preciso.
In questo determinato contesto questa Europa si è comportata in un modo preciso, assecondando le ricette che altrove hanno deciso (la finanza in generale, ma soprattutto americana) e che già altrove hanno fallito. Questa crisi (morale ed economica) non è una crisi solo di questa Europa, è una crisi di questo mondo, così come oggi è stato costruito: un mondo nel quale in questi dieci anni la crisi economica ha reso più povere miliardi di persone, ma dove i dieci uomini più ricchi del mondo hanno semplicemente raddoppiato la loro ricchezza.
Chi ha voluto questo mondo e questa Europa, non ha oggi titolo per lamentarsi che ci voglia "più politica" o perché "dovevano fare prima l'unione politica e poi quella monetaria", poiché loro hanno voluto precisamente questo (come già dichiarato dal senatore Mario Monti) cioè una unione monetaria fatta prima di quella politica proprio per mettere in crisi la politica. Sul filo di questo ragionamento, proprio il senatore Monti ha affermato (quando ancora era professore) che "le crisi sono per definizione passi in avanti .." perché sono passi in avanti nel loro progetto.
Il vostro richiamo storico al medioevo e all'esperienza benedettina è corretto: manca soltanto un accenno, decisivo, al fatto che l'esperienza benedettina è emersa dopo l'epoca definita "dei barbari" e dopo la caduta di quella grande civiltà che è stata l'impero romano. Una civiltà caduta e scomparsa.
Come si fa a non considerare con la massima serietà la possibilità concretissima che possiamo essere sull'orlo della caduta e della scomparsa della civiltà occidentale?
Cari giovani, gli autori da voi citati e riportati non potevano e non possono avere questo quadro, questi giudizi, perché loro stessi sono tra gli autori di quel pensiero unico per il quale il cristianesimo è un corpo estraneo a questa Europa, a questo mondo moderno (ma non siete riusciti a trovare nessuno altro? Mi offro io!). E la vostra dichiarazione di ignoranza sul futuro dell'Europa è una lineare conseguenza di questo pensiero unico che, anche tra i cristiani, quasi nessuno contrasta.
Non lo contrastiamo, e quindi inevitabilmente poco o tanto lo assorbiamo.
Quasi nessuno però non vuol dire nessuno; nella mia memoria sono scolpite in maniera vivida le parole del card. Caffarra:
"La vicenda culturale dell’Occidente è giunta al suo capolinea: una grande promessa largamente non mantenuta.
I fondamenti sui quali è stata costruita vacillano, perché il paradigma antropologico secondo cui ha voluto coniugare i grandi vissuti umani [per esempio l’organizzazione del lavoro, il sistema educativo, il matrimonio e la famiglia …] è fallito, e ci ha portato dove oggi ci troviamo.
Non è più questione di restaurare un edificio gravemente leso. E’ un nuovo edificio ciò di cui abbiamo bisogno. Non sarà mai perdonato ai cristiani di continuare a essere culturalmente irrilevanti..." (lettera ai fedeli della diocesi, 16 febbraio 2013)
Cari giovani, proprio per questo vi scrivo: siamo nell'epoca della caduta della nostra civiltà; non ci sarà mai perdonato (dai posteri ma soprattutto da Dio), sapendo quello che sappiamo, di continuare ad essere culturalmente irrilevanti.
Della caduta della nostra civiltà ha parlato con grande profondità anche il sociologo MacIntyre nel lontano 1980. Quel testo io l'ho conosciuto grazie ad un volantino del movimento del 1993, riportato nel libro "La Fraternità di Comunione e Liberazione" del 2002, pagina 34-35 in nota. Non a caso anche MacIntyre ha fatto riferimento alla caduta dell'impero romano.
"Un punto di svolta decisivo in quella storia più antica si ebbe quando uomini e donne di buona volontà si distolsero dal compito di puntellare l’imperium romano e smisero di identificare la continuazione della civiltà e della comunità morale con la conservazione di tale imperium. Il compito che invece si prefissero (spesso senza rendersi conto di ciò che stavano facendo) fu la costruzione di nuove forme di comunità entro cui la vita morale potesse essere sostenuta, in modo che sia la civiltà sia la morale avessero la possibilità di sopravvivere all'epoca incipiente di barbarie e di oscurità. Se la mia interpretazione della nostra situazione morale è esatta, dovremmo concludere che da qualche tempo anche noi abbiamo raggiunto questo punto di svolta. Ciò che conta, in questa fase, è la costruzione di forme locali di comunità al cui interno la civiltà e la vita morale e intellettuale possano essere conservate attraverso i nuovi secoli oscuri che già incombono su di noi. E se la tradizione delle virtù è stata in grado di sopravvivere agli orrori dell’ultima età oscura, non siamo del tutto privi di fondamenti per la speranza. Questa volta, però, i barbari non aspettano al di là delle frontiere: ci hanno governato per parecchio tempo. Ed è la nostra inconsapevolezza di questo fatto a costituire parte delle nostre difficoltà. Stiamo aspettando: non Godot, ma un altro San Benedetto, senza dubbio molto diverso". (Dopo la virtù, Alasdair MacIntyre, 1980, pag. 314)
E nel 2006, scrivendo una nuova introduzione alla nuova edizione di quel libro, così scriveva.
"Quando scrissi quella frase conclusiva nel 1980, era mia intenzione suggerire che anche la nostra epoca è un tempo di attesa di nuove e inattese possibilità di rinnovamento. Allo stesso tempo, è un periodo di resistenza prudente e coraggiosa, giusta e temperante nella misura del possibile, nei confronti dell'ordine sociale, economico e politico dominante nella modernità avanzata. Questa era la situazione di ventisei anni fa, e tale ancora oggi rimane." (pag. 26)
Quindi non siamo del tutto privi della speranza.
Ma deve essere una speranza ragionevole. Non che nascano uomini che abbiano "hanno un ideale, una passione per se stessi e per la situazione intorno a loro", perché questo è un sogno pindarico; perché questi uomini siamo noi, dobbiamo essere noi. Gli ideali nascono e si fortificano e divengono ragionevoli fonti di speranza laddove c'è una umanità, una compagnia che sorregge i singoli uomini, proprio quella compagnia di cui anche voi, nel vostro ambiente, fate esperienza. 
Dobbiamo essere noi a iniziare a costruire "nuove forme di comunità", preparandoci ad una "resistenza prudente e coraggiosa, giusta e temperante nella misura del possibile, nei confronti dell'ordine sociale, economico e politico dominante nella modernità avanzata".
A questo ci dobbiamo preparare non perché forse scoppierà una catastrofica guerra, ma perché siamo già in guerra!
SIAMO IN GUERRA, questa dovrebbe essere la nostra costante riflessione e il punto di origine di ogni nostra riflessione. Siamo in guerra, lo ripeto ormai da dieci anni. E non lo dico perché io sia un veggente o un visionario. Pure io mi sono svegliato tardi, perché siamo in guerra da almeno vent'anni.
Siamo in guerra, dovete accettare questo dato di fatto, anche perché loro lo hanno già dichiarato pubblicamente, come ha fatto il noto speculatore miliardario Warrenn Buffett in una intervista del 2006:
"C'è una guerra di classe ma è la mia classe, la classe dei ricchi, che la sta facendo e la stiamo vincendo" ("There’s class warfare, all right, but it’s my class, the rich class, that’s making war, and we’re winning.")
Siamo in guerra, dunque, ma non siamo privi della speranza, soprattutto perché proprio cento anni fa c'è stato detto che comunque vi sarà non una ripresa, non una vittoria, ma letteralmente il trionfo del Cuore Immacolato di Maria.
Avanti dunque, con semplicità ma con determinazione. Questo è il presente che abbiamo e sul quale possiamo iniziare a costruire fin dal piccolo ambito sociale dell'Università, in funzione del trionfo grandioso che ci attende. "A noi la battaglia, a Dio la vittoria!".