Per comprendere meglio i contenuti di questo blog, si consiglia caldamente di leggere le pagine "Le origini di questo blog" e "La missione di questo blog" affinché le considerazioni (critiche) che vengono svolte nei post siano collocate nella giusta ottica e all'interno di una cornice di riferimento adeguata.

sabato 10 marzo 2018

Uno, nessuno, duecentodiciannovemila

Parafrasando il celebre titolo dell'opera di Pirandello per commentare i risultati delle recenti elezioni politiche, voglio però iniziare dalla fine.

Duecentodiciannovemila.
Ora che le elezioni sono passate e sono passati anche i commenti (ora i titoli sono tutti sulle possibili o impossibili alleanze per un governo comunque zoppo), la prima cosa che mi viene in mente è che le letture sul risultato del PdF sono state poco meno di ... duecentomila!

Ovviamente le contraddizioni si sono sprecate. La più palese è quella di chi ha argomentato "zero eletti, non contate niente" e poi "siete stati decisivi, avete tolto dei seggi al centrodestra".
Ma non contiamo niente o siamo stati decisivi?

Senza contare le contraddizioni interne di queste affermazioni. Per esempio, è totalmente falsa l'idea che abbiamo tolto voti al centrodestra, perché noi sappiamo bene che tantissimi che ci hanno votato non avrebbero votato: abbiamo riportato al voto tanti schifati dal comportamento politico del centrodestra.

Quello che in realtà abbiamo fatto è mettere un piccolo seme affinché, come da un granello di senape, possa crescere una pianta grande. Quindi il nostro successo non è quello che abbiamo fatto, ma quello che, per la grazia di Dio, crescerà.

Nessuno.
Zero eletti. Ma noi non avremmo potuto essere e non saremo soddisfatti da un 3-4% e da 20 parlamentari, perché occorre vincere, non fare presenza. Infatti, come sarà evidente nei prossimi giorni quando nascerà un aborto di governo (cioè morto prima di nascere) targato M5S e PD, anche la Lega con il suo 17% e tutto il centrodestra con il sul 36% saranno insignificanti e non decisivi.
C'è chi ha argomentato che occorreva il "voto utile, per la testimonianza c'è tempo, non è il momento" e così ha intrufolato qualche parlamentare tra gli eletti. Bene, bravo. Ora questi pochi parlamentari che possono fare, oltre la tanto vituperata "testimonianza"?

Uno.
Ora che "abbiamo fallito", ora che ne abbiamo fatto esperienza, possiamo ben dirlo: benedetto fallimento!
Perché inevitabilmente, soprattutto ora che occorre preparare i prossimi appuntamenti elettorali, ragionevolmente occorre porsi con la massima serietà la domanda: ma ne vale la pena? Ma perché tutta questa fatica? Ma chi me lo fa fare?
Questo è lo stesso dramma umano che capita a chi, sposato da diversi anni, sperimenta un punto di rottura grave col coniuge, tanto da farli pensare "ma chi me lo fa fare a continuare così"?
E chi ha passato questi momenti sa bene che l'unico sostegno per superare quel momento di fragilità è la memoria: la memoria di come tutto è iniziato, la memoria degli inizi, la memoria delle esperienze fatte, la memoria della decisione del fatidico sì preso in piena libertà, ripromettendosi di accettare tutto. Perché non sono un uomo più una donna, ma i due sono una carne sola.

Ecco chi ce lo fa fare. Non il successo garantito (che nessuno ci ha mai garantito), ma la bellezza (per molti) di una giornata come il Family Day. Solo una memoria che riporti nel presente quell'esperienza (e l'esperienza di tanti incontri avvenuti prima e dopo).
E il risultato di cui possiamo fare esperienza è stato ben descritto da don Giussani, ripensando all'esperienza dell'impegno di CL per il referendum:
" Per quanto concerne in particolare Comunione e Liberazione, il gesto di obbedienza in forza del quale il movimento si impegnò nella campagna referendaria a favore del sì all’abrogazione del divorzio, contribuì fortemente a maturare la coscienza della propria identità cristiana: un’identità che, tra le altre cose, nulla ha a che spartire con l’etica del successo a qualunque costo. E l’episcopato poté rendersi conto di quali fossero nella Chiesa le forze davvero disponibili, anche in condizioni difficili e con prospettive tutt’altro che favorevoli, a impegnarsi a sostegno di una mobilitazione sociale e politica in cui la credibilità di una scelta dei vescovi, dunque della Chiesa tout court, veniva messa direttamente in gioco"
Ora noi non abbiamo agito di fronte all'episcopato. Noi abbiamo agito di fronte al popolo italiano. Abbiamo mostrato il nostro essere Uno.
"Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano uno. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato." (Gv 17,20-21)
E noi possiamo essere uno solo se siamo con l'Unigenito Dio, figlio del Padre, che il mondo non può vedere perché non lo conosce.
Però il mondo può vedere noi: per quello il diavolo schiuma di rabbia.
Il diavolo sarebbe disposto a farci arrivare al 51% pur di dividerci da Cristo ("gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai»").
Ma non può sopportare che noi siamo uno nel Suo Nome.


giovedì 8 marzo 2018

Perché ne vale la pena

Così ha scritto Silvia, la moglie di Mario Adinolfi:
"Il problema è che non sanno quello che io so. Non ti hanno vissuto, respirato, amato, desiderato e guardato ogni giorno come ho fatto io negli ultimi dieci anni. Non hanno visto. Io c’ero quando il Pd ti mandava a processo per “omofobia” ed eri incredulo e addolorato, quando mi hai detto che rinunciavi al posto da deputato e io ero affranta perché, lo ammetto, avevo paura dell’ignoto e di quel tuo ricominciare da zero iscrivendoti alle liste di disoccupazione. Da onorevole a disoccupato, per scelta valoriale. E c’ero mentre il presidente del Consiglio ti chiamava con insistenza ed eravamo al cinema Barberini, chi se lo scorda e tu dicevi: “Lascialo chiamare, tanto non mi ricandido, se rompo con il Pd non posso ricandidarmi, sembrerei un voltagabbana”. Mi parevi matto, eravamo a vedere un cinepanettone e riuscivi a ridere di gusto e ad abbracciarmi mentre chiunque altro sarebbe scattato sugli attenti. Sei fatto così e secondo me sei pure fatto male: sei maleducato, incapace di rispettare l’autorità, talvolta brusco e spesso irrispettoso. Ma sei così, sei tu. Gli altri non ti hanno vissuto, non ti vedono. Per te conta solo una strana idea di giustizia o di “razionalità”, come dici tu, che poi passa attraverso notti a recitare il rosario. Mi sono chiesta spesso se le due cose potessero stare insieme, mi hai insegnato a pregare di più e io ora vorrei fare solo quello. Sono stanca degli insulti, del fango che ci tirano addosso, dei giudizi, del dover leggere offese pure sul fatto che sono rimasta incinta e no, non dovevo, perché la castità eccetera. Vorrei stare come a Messa, io e te all’ultimo banco a pregare e basta. Sono schiva e odio il fatto di dover stare perennemente sotto un riflettore zeppo di maldicenze a causa tua. Ma quando ho provato a chiederti di pensare un po’ di più alla tua famiglia che alle famiglie di tutti gli altri hai chiuso la strada al dialogo con due sole parole: “Non posso”. E se non puoi, amore mio, io sto con te. L’ho scelto dieci anni fa e certo ho momenti di rimpianto per quando ti aspettavo seduta a ridosso di un canale a Venezia perché eri il primo italiano a qualificarti per una finale mondiale di poker o per quando con Clara venivamo fuori da Montecitorio ad aspettarti perché a lei piaceva giocare con le stelle d’acciaio che contornano la piazza. Avevamo una vita agiata e comoda e l’hai mandata all’aria per seguire una chiamata, perché “se siamo davvero amici di Cristo, ora Cristo ce lo sta chiedendo”. E tu non sei il tipo che sa dire di no alla richiesta di un Amico. Avrei voluto non scrivere queste parole, restarmene in disparte come al solito. Ma ora che tutti devono tacere, nella giornata del silenzio, parlo io. A San Giovanni, al Circo Massimo, in questi anni in cui mi hai lasciato sola a casa per settecentotrentasei sere da quando hai scritto Voglio la mamma (le ho contate, sai, conosci il mio diario e le mie strambe contabilità che uso per rinfacciarti le tue disattenzioni quando litighiamo), l’Italia ha conosciuto un guerriero. Forse il più coraggioso e intelligente guerriero della storia di questo pallido, accomodante e talvolta pavido movimento pro life italiano. Ora accanto a te hai un popolo e mi sono rassegnata a doverti dividere con tutti, ma tanto tu sei mio e io sono tua. Per questo io sono un soldato dell’esercito del Popolo della Famiglia e pago volentieri la mia parte di prezzo, come fa ogni componente di questo popolo. Domani andrò orgogliosa a votare per questo popolo, non ce ne sono di uguali e i farisei con la loro puzza sotto il naso e i loro giudizi sono solo dei poverini che soffrono per non essere riusciti a fare quel che è riuscito a noi, ad essere quel che siamo noi. Un popolo di imperfetti che ama il Signore e ne è riamato, ne sono certa. Domenica 4 marzo io voto Popolo della Famiglia. Lo faccio per amore, Mario."
Quando ho letto questo posto su internet domenica, mentre ero al seggio elettorale in qualità di presidente, ho pensato: ecco, anche se prendessimo lo zero per cento, ne sarebbe valsa la pena solo per leggere una testimonianza del genere.
Ho pensato anche a quanti, come previsto, avrebbero qualificato il nostro risultato come un insuccesso. Come spiegagli quanto scritto qui sopra? Non si può spiegare, si può solo testimoniare. E lo faremo, nei prossimi giorni e nei prossimi mesi, con il rinnovato impegno nelle prossime elezioni che vi sono in Itala.
E qualcuno di quelli che aveva previsto il nostro scioglimento dopo queste elezioni inizierà a domandarsi "ma come, sono ancora qui?".
Come probabilmente avranno pensato sia i romani che i sommi sacerdoti, incontrando i cristiani anche dopo aver ammazzato il loro capo.

sabato 3 marzo 2018

La grande menzogna del "voto utile"

Nel dibattito tra i cattolici sui social media, uno dei temi più dibattuti e che ha acceso gli animi è quello del "voto utile".
In particolare tale argomento è utilizzato contro quelli che hanno proposto il voto al partito Popolo della Famiglia.
Siccome tale formazione è una novità oggettiva nel panorama politico italiano, valeva la pena che qualche autorità ecclesiale o qualche movimento spendesse una parola di considerazione su questa formazione e sui dibattiti che ne sono nati.
Ma viviamo in tempi di grande confusione e quindi non bisogna meravigliarsi se questo non è avvenuto. E direi: puntualmente non è avvenuto, perché ormai la Chiesa puntualmente non interviene più sul dibattito politico nelle grandi occasioni per dire qualcosa di incisivo, per comunicare la novità che normalmente viene dalla comunicazione della Verità. E nessuna comunicazione è venuta anche dal movimento che più di altri, nel passato, si è sempre distinto per comunicazioni pungenti e stimolanti in occasione degli appuntamenti elettorali: il movimento di Comunione e Liberazione.

L'unica comunicazione del Movimento è stata la pubblicazione del discorso del Santo Padre a Cesena. Un pezzo di quel discorso. Uno dei brani più insignificanti che potevano essere ripresi, con contenuti assolutamente ovvi e banali.
La riprova è che di quel testo potrebbe essere cambiato tranquillamente la data, mettendoci "Elezioni 2019" o 2020, o 2013, senza modificare nulla di quel discorso. Insomma un brano che non dice nulla di specifico, nulla di notevole rispetto alla realtà odierna.
Nulla di veramente significativo.

Ma questo è il destino inevitabile di chi smette di fare esperienza, di chi smette di implicarsi con la realtà. Senza esperienza, senza una implicazione diretta e personale con la realtà, ogni giudizio è di fatto impossibile. Anzi, per la precisione non è impossibile, perché è impossibile per l'uomo non giudicare; quello che invece è impossibile è che il giudizio diventi pregiudizio, cioè nella sua analisi sia determinato prevalentemente da una ideologia, qualsiasi sia l'ideologia.

E anche chi non ha idee pur avendo la responsabilità di avere delle idee e di doverle comunicare, in fondo fa prevalere una ideologia: quella di non avere guai o di averne meno possibile, quindi di non esporsi in nessun modo, quindi di esprimersi per concetti assolutamente vaghi e con quasi nessuna attinenza al momento presente. Ma per questa strada i concetti vaghi non entrano nella realtà, la Verità non si fa carne, e la comunicazione della Verità diventa una menzogna.

Questi sono in fondo i concetti espressi anche da Gigi De Palo in un post di due anni fa:
"Sono arrivato all'amara conclusione che Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco hanno detto una piccola bugia: la politica non è la più alta forma della carità.
È così nonostante ce la raccontiamo citando qua e là quella frase.
Ci piace ricordacelo, ma nella vita reale non ne siamo per niente convinti e, forse non ne erano convinti nemmeno loro quando lo dicevano.
Se così fosse non ci faremmo tante fisime mentali e, nelle parrocchie, formeremmo i giovani all'impegno in politica, non importa poi in quale schieramento sceglieranno di far parte, intanto saranno formati…
Altrimenti nei seminari si insegnerebbe ai futuri sacerdoti anche la Dottrina Sociale della Chiesa, mentre questo non avviene…"
Sono infatti almeno trent'anni che la Chiesa, continuando a predicare il dovere dei laici a impegnarsi in politica, si è totalmente disimpegnata dalla politica. In altre parole, sono ALMENO trent'anni che la Chiesa invita i laici a impegnarsi in politica e poi li abbandona. Ma nessun laico può desiderare questo, nessun laico credente può desiderare di essere abbandonato dalla propria Casa: per questo i laici che amano davvero la Chiesa poi aborriscono la politica.

Ma una conseguenza diretta, già qui sopra descritta, della mancanza di impegno e quindi di esperienza, è l'impossibilità di un giudizio che non sia determinato da una ideologia e quindi non diventi pregiudizio.
La questione del "voto utile" è un esempio clamoroso e straziante di quanto oggi l'ideologia moderna abbia devastato la capacità di giudizio dell'uomo comune, del cristiano comune.

Infatti il criterio per cui si vota, per cui si va a votare è quello della Verità, non quello della utilità.
Con il voto di queste elezioni politiche, ogni cittadino e cristiano credente di fatto deve tentare di rispondere a queste domande:
- è vero che la famiglia è sotto attacco?
- è vero che occorre cancellare la legge Cirinnà?
- è vero che c'è in corso una gravissima crisi demografica e che questa è la prima emergenza e occorre fare di tutto per favorire le famiglie che fanno figli, in particolare le famiglie numerose?
- è vero che è male ripristinare le "case chiuse"?
- è vero che per uscire dalla crisi economica occorre ripristinare una moneta nazionale'
- è vero (o falso) che... (ecc...)

La categoria da utilizzare è quella della verità, non quella dell'utilità.
La categoria dell'utilità può e dev'essere utilizzata per la gestione del potere, per la conservazione dello status quo. La categoria dell'utilità ha come criterio quello della convenienza. E da questo consegue che se, in una determinata occasione, verità e convenienza sono in conflitto, se prevale il criterio della convenienza allora si usa la categoria dell'utilità come motivazione adeguata di quella scelta.

Duemila anni fa c'è stato il più famoso processo della storia dell'umanità. Ma quel processo non è stato deciso semplicemente da un giudice o da una giuria. Quel processo è stato determinato da una votazione del popolo, suscitata dalla domanda di Pilato: "Chi volete che vi rilasci? Barabba o Gesù detto il Cristo?" (Mt, 27,17).
Questo è il caso più clamoroso di "voto utile". Infatti il sommo sacerdote Caifa si era già espresso in tal senso: "Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera" (Gv 11, 49-50). E proprio in forza di questa considerazione i poteri dell'epoca si erano mossi: "Ma i sommi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a richiedere Barabba e a far morire Gesù." (Mt 27,20).
Di tutto questo Pilato era ben cosciente: "Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia." (Mt 27,18). In altre parole, sapeva bene che stavano per condannare un innocente e che le accuse non avevano prove. Lui stesso non le aveva trovate.
E alla fine, nel dialogo con Gesù, emerge il cuore della questione. Gesù ripete che è venuto per rendere testimonianza alla verità e Pilato replica facendo prevalere il dubbio, che porta alla fine a far prevalere il criterio della conservazione dello status quo: "Che cos'è la verità?" (Gv 18, 38).
E quindi ovviamente se ne lava le mani: "Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa dell'acqua, si lavò le mani davanti alla folla: «Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!»" (Mt 27,24).

Dopo duemila anni, la questione esistenziale della testimonianza della verità si ripropone in tutta la sua drammaticità.

Questo è il minimo che avrebbe dovuto dire chiunque ha a cuore il fatto cristiano.