Per comprendere meglio i contenuti di questo blog, si consiglia caldamente di leggere le pagine "Le origini di questo blog" e "La missione di questo blog" affinché le considerazioni (critiche) che vengono svolte nei post siano collocate nella giusta ottica e all'interno di una cornice di riferimento adeguata.

domenica 20 agosto 2017

Dopo gli attentati: la perdita del centro



Inizia il Meeting di Rimini, ma l'argomento dominante in questi giorni è ovviamente quello del terrorismo, quello dell'attentato in Spagna. E per chi ha a cuore la storia e il carisma del movimento, una evidenza salta agli occhi dopo la lettura del comunicato stampa di Comunione e Liberazione relativa all'attentato in Spagna: la perdita del centro.

E tale evidenza richiama alla memoria qualcosa che appartiene alla storia del Meeting: la mostra dell'edizione del 1998 suscitata dalla lettura del libro "La perdita del centro" di Hans Sedlmayr e intitolata appunto "La perdita del centro", un libro di arte nel quale viene posto l'accento sulla crisi dell'uomo moderno.
La lettura del comunicato stampa di CL ha suscitato in me immediatamente tre riflessioni.

La prima è l'origine del volantino, cioè "Comunione e Liberazione di Spagna". Come se gli eventi si riferissero ad un fatto locale, solo spagnolo. Nulla di nuovo rispetto alle posizioni recenti, perché anche nel caso dell'attentato a Manchester, il relativo comunicato stampa era firmato "Communion and Liberation UK". Anche questo diffuso sul sito ufficiale in tutte le lingue. Insomma, al centro di CL, se c'è qualcosa, ormai vige la regola del silenzio. Ormai ci sono soltanto le comunità locali.
Peraltro sarei felice di questa svolta, se però fosse accompagnata dalla consapevolezza di questa svolta. Comunque le eccezioni ci sono. Per le ultime elezioni (nemmeno politiche, ma amministrative) il volantino c'è stato, il volantino di CL e basta, non di una comunità locale. Ma anche questo, come quelli locali, ripetuto in tutte le lingue, come se le elezioni amministrative italiane fossero un fatto internazionale. Di fatto, con la perdita del centro, abbiamo semplicemente un centro che, forse per NON dare l'impressione di non esistere più, fa da eco ai commenti locali. E senza nemmeno porsi il problema se il commento proposto abbia rilevanza locale oppure no.
Anzi, in prospettiva inizia pure a porsi un altro problema: perché CL Spagna e UK si presentano come comunità locali, mentre CL Italia no. CL Italia, stando alle firme dei volantini, è CL e basta.

Seconda riflessione.
Una prima conseguenza evidente è l'insignificanza del contenuto, al di là delle belle parole. L'insignificanza in particolare rispetto ai fatti precisi da cui il volantino prende spunto. La cosa è resa evidente dal fatto che si potrebbe prendere il testo di commento dell'attentato di Manchester e, a parte le prime tre righe, ricopiarlo come testo di commento per l'attentato a Barcellona. Possibile che la realtà non detti nulla di nuovo rispetto a quanto già prima si poteva commentare?
Io capisco che non si abbia uno sguardo complessivo sulla realtà: probabilmente una comunità locale ha più difficoltà ad avere uno sguardo totalizzante sulla realtà.
Conseguenza evidente della perdita del centro.

Terza riflessione.
Ciò che manca in questo volantino ci dice molte cose. E sono due le mancanze clamorose.
La prima è la totale assenza della parola Islam e di qualsiasi suo derivato. La seconda è la mancanza di una qualsiasi parola di pietà per i terroristi. Anzi, di qualsiasi citazione per i terroristi. Questo modo di non considerare la realtà secondo la totalità dei suoi fattori diventa anche un modo sottile di non usare la parola "islamico", visto che ne manca l'occasione.
Io posso essere d'accordo (senza dogmi e con prudenza) con chi afferma che questi attentati hanno molto poco di islamico, a iniziare dai suoi autori, dagli attentatori. Però se se si vuole negare che abbiano una natura islamica (o religiosa di qualsiasi tipo), bisogna pure dire allora che natura hanno, che origine hanno. Perché indubbiamente hanno una origine mediorientale piuttosto complessa, come lascia anche intendere un recente interessante articolo di Blondet.
E bisognerebbe capire cosa vuol dire Netanyahu quando afferma che minando i rapporti con Israele la UE sta "minando la propria sicurezza" e che occorre "non minare un paese occidentale che difende i valori europei e gli interessi europei e impedisce un’altra migrazione di massa in Europa".
Quindi bisognerebbe imparare a legare il problema del terrorismo islamico (o mascherato da islamico, che dir si voglia) con quello dell'immigrazione. E legare questi in un giudizio. E legare questi con le intense attività della CIA in Medio Oriente, e legare tutto ciò con gli interessi di diversi grandi paesi arabi e con quelli, in contrasto o in opposizione, di Israele.

Qui non è una questione di nichilismo. Qui la questione è la volontà omicida delle potenze mondiali (politiche e/o finanziarie) che arriva nel concreto non solo ad ammazzare gente inerme, cittadini qualsiasi: ma arriva ad ammazzare anche tutti gli attentatori. Infatti tutti gli attentatori, dal fatidico 11 settembre 2001 ad oggi, sono TUTTI MORTI, non c'è un solo sopravvissuto, nemmeno un solo catturato. Forse li ammazzano tutti perché così non possono parlare. E magari spiegare come si sono organizzati, come hanno fatto, chi li ha addestrati, chi ha suggerito il piano, ecc.
E forse, ipotizzo, si spiega perché finora non ci sono stati attentatori in Italia: perché le nostre forze dell'ordine non li ammazzerebbero. Tenterebbero una cattura.

Un giudizio su tutti questi argomenti potrebbe veramente aiutare a comprendere la natura malvagia del potere che oggi governa il mondo, ben oltre i giochini della politica. E potrebbe essere uno spunto utile per pregare, davvero intensamente, per le sorti dell'umanità intera.


giovedì 17 agosto 2017

Migranti, uomini (come noi) senza patria

Viviamo in tempi di grande confusione. E questa confusione si vede, in questo periodo, soprattutto nei giudizi che riguardano il complesso tema dei migranti. Un tema sul quale come popolo non siamo stati aiutati a giudicare, perché quando già era una realtà imponente il problema è stato ignorato, il tema è stato rimosso.
Ora che invece molti nella popolazione ne hanno fatto esperienza e per lo più si tratta di esperienze negative, la realtà ci impone un giudizio: un giudizio che viene continuamente sollecitato dagli stessi media che ora ci riportano con insistenza, anzi enfatizzano, le situazioni problematiche e negative. Ma sono gli stessi media che prima hanno taciuto e che ora, poiché in qualche modo devono tirare su la tiratura delle copie e l'indice degli ascolti - come al solito, il positivo che con fatica cresce attira meno del negativo che irrompe - ci urgono un giudizio senza prima averci dato gli strumenti per giudicare.

Ora io qui mi permetto di affrontare questo delicato argomento non perché mi ritenga un esperto della materia, ma perché la confusione è tale che si sono smarriti gli elementi fondamentali per arrivare ad un primo giudizio, quegli elementi che sono ancora alla portata di tutti e dai quali non si può prescindere. Insomma, sono tempi nei quali, per ora culturalmente, occorre sguainare le spade per difendere l'ovvio. Occorre avere il coraggio (perché il giudizio è sempre un rischio) di ridire l'ovvio contro la menzogna oggi dominante.

La prima cosa ovvia da ribadire è quella affermata dalla Chiesa: se si riconosce un diritto ad emigrare, occorre però riconoscere un diritto ancora più grande, il diritto a non emigrare. Cioè il diritto ad essere aiutati a trovare nel proprio paese d'origine quelle condizioni fondamentali per una vita dignitosa.
Questa è la parte che ovviamente i media hanno più accuratamente nascosto perché è quella dove sono più evidenti le gravissime responsabilità dei governi occidentali, che in questi decenni non hanno fatto altro che destabilizzare tanti paesi nel mondo, vendendo armi e sfruttando le risorse, fino a creare una ondata migratoria che oggi ha assunto proporzioni epocali. Tutto questo governato da una sola ideologia, quella del profitto e del potere. E ora di questa situazione non si vede la via d'uscita perché proprio l'ondata migratoria sta creando nuovi affari: dal traffico di esseri umani infatti si sta alimentando anche il traffico di organi, la materia prima per il traffico della prostituzione e infine il disastro sociale che consentirà alle strutture finanziarie più forti di acquisire a prezzi stracciati le migliori aziende.
In altre parole, vogliono (soprattutto a noi italiani) farci diventare un paese del terzo mondo proprio per sfruttarci, come si fa con un paese del terzo mondo.
Finché non si pone mano a questo problema, anche rompendo tutte le alleanze diaboliche che non tengono conto del bene delle popolazioni del terzo mondo, ogni tentativo di soluzione è destinato a fallire miseramente. Le decine di migliaia di profughi sono oggi diventate centinaia di migliaia e nel futuro diverranno milioni, spazzando via ogni tentativo illusorio di gestire o governare il fenomeno.

Ovviamente questo compete ad un governo, quindi alla politica. A noi cittadini e cristiani resta il flebile strumento delle elezioni per tentare di indirizzare il governo verso questa posizione.

Ma c'è dell'altro.
Perché da cristiani dobbiamo porci la domanda: chi sono i migranti?
I migranti sono prima di tutto uomini senza patria.
Questa bellissima definizione è letteralmente quella che San Giovanni Paolo II usò nei confronti dei ciellini, nel lontano 1982. E questo è il titolo del libro (con prefazione di Carron), che per i tipi della BUR ha raccolto alcuni interventi di Giussani negli anni 82 e 83. Sono proprio gli anni di cui sono stati recentemente ripubblicati i testi degli esercizi spirituali nel libro "Una strana compagnia".
Come ha raccontato lo stesso Giussani alla Equipe del CLU ad agosto 1982, il Papa una decina di giorni prima lo aveva chiamato per incontrarlo e nel dialogo ad un certo punto aveva osservato: "Voi non avete patria,  perché voi siete inassimilabili a questa società" ("Senza patria", BUR 2008, pag. 86).

Diceva il Gius:
"Ho detto che è un nuovo passo. Il lavoro di questi giorni ci farà compiere un nuovo passo, il primo in senso cosciente, perché il primo in senso incosciente è ciò che ci ha trascinati in questa compagnia, ci ha fatti andare avanti tanti anni, ci ha fatto fare i CP, la CUSL, fi fa fare anche il Meeting di Rimini o il Meeting del Mediterraneo. Ma, dentro a tutto questo, è incosciente ciò che adesso dice essere il primo passo nella comprensione del come mai noi siamo senza patria. Perché, guardate, in fondo in fondo, tutta la nostra attività, da quando è nata Comunione e Liberazione, dal '70, specialmente dal '73, quando abbiamo fatto il famoso Palalido con seimila universitari,, ma con tutta l'attività della CUSL, tutta l'attività di CP, tutti i Meeting di questo mondo, tutte le cooperative, tutta la lotta per le mense, tutto quello che noi facciamo è per avere una patria, è per avere una patria in questo mondo. Non dico che non sia giusto. Dico che lo facciamo per avere una patria e che questa patria noi non l'avremo." (pag. 87-88).

Torniamo un attimo alla questione dei migranti. Due sono le parole che stanno dominando la comunicazione mediatica di questi tempi: accoglienza e integrazione.

Occorre subito dire che l'accoglienza, soprattutto quando salva immediatamente delle vite umane, è un dovere. Ma proprio tenendo conto che il diritto a non migrare è un diritto superiore, occorre anche preparare il rimpatrio di questi disperati, preparando le condizioni adeguate perché possano vivere dignitosamente nel loro paese. Altrimenti un rimpatrio in una situazione peggiore di quella che avrebbero qui sarebbe semplicemente un gesto disumano.

Invece per quanto riguarda l'altro grande termine utilizzato dai media, occorre dire che l'integrazione è una cosa completamente diversa. Prima di tutto occorre che, per l'integrazione, vi sia una reale volontà di integrarsi. Poi, secondo elemento indispensabile, occorre che vi sia un ambiente nel quale integrarsi. Parrebbe scontato, ma non lo è. E proprio nel nostro caso, cioè nel caso della moderna società secolarizzata, questo elemento viene a mancare.

Infatti noi ci troviamo nel pieno di quella società che il sociologo Bauman ha definito con una frase divenuta celebre "una società liquida", cioè una società nella quale "l'unica cosa che permane è il cambiamento e l'unica certezza è che non vi sono certezze".
Proprio questa nostra condizione, che è soprattutto una condizione spirituale prima che sociale, rende di fatto impossibile una qualsiasi integrazione: per poter accettare una integrazione dovremmo infatti essere in qualche modo "integri" noi.

E qui torna decisiva la considerazione che noi, noi cristiani, in particolare noi ciellini, siamo "uomini senza patria". Proprio nella misura in cui saremo coscienti di questo nostro essere "senza patria", proprio noi e solo noi saremo capaci di vera integrazione di chi vive, sicuramente con smarrimento, questa condizione esistenziale. L'occidente moderno infatti può offrire solo una quantità straripante di false certezze, sempre cangianti e sempre apparenti, senza mai un punto di riferimento, un punto di stabilità: in altre parole, senza un solo punto di verità. I media parlano in continuazione di integrazione, senza capire nulla di cosa voglia dire, dopo avere per anni letteralmente "disintegrato" la società civile, cioè letteralmente distrutto ciò che era integro nella società civile.
Non c'è più (e non ci deve essere!) niente di integro nell'occidente modernista; quindi lo stesso è totalmente incapace di integrazione, nonostante qualsiasi illusorio progetto di integrazione solo perché si possiede un documento o un pezzo di carta.
Ma già l'abbiamo capito: il potere continuerà a perpetuare la propria menzogna.

Certo, quello che qui sto prefigurando è un compito immane. Occorre essere integri noi, occorre avere una nostra identità precisa e poi proporre questa identità a chi volesse integrarsi. Ma qui non si tratta di misurare un successo in termini politici o sociali. Si tratta anzitutto di prendere coscienza di un compito. Perché non c'è altra speranza oltre a quella cristiana. Qui il campo di battaglia non è ai confini dello Stato. Il primo campo di battaglia, e pure l'ultimo, è la nostra coscienza.

Occorre ovviamente impegnarsi con la più grande ironia, conoscendo bene i nostri limiti. Ma anche con la più grande decisione, sapendo bene che l'alternativa è la scomparsa dalla storia dell'identità italiana.
La madonna in a Fatima ha affermato che "in Portogallo si conserverà la fede...".
E in Italia?
Come ha detto il card. Caffarra in una lettera ai fedeli ormai 4 anni fa, non ci sarebbe mai perdonato se continuassimo ad essere culturalmente irrilevanti. E non ci sarebbe mai perdonato perché il perdono è materia di fede e perché l'impegno culturale, cioè l'impegno a far emergere la verità in tutto il suo splendore, è anch'esso materia di fede.
Come disse San Giovanni Paolo II: "La sintesi tra cultura e fede non è solo un'esigenza della cultura, ma anche della fede... Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta".
E tutto l'impegno culturale dev'essere determinato da una precisa coscienza: con esso si forma la coscienza, prima di tutto di chi attua questo impegno.


lunedì 7 agosto 2017

Una Strana Compagnia

Una delle peggiori vacanze della mia vita.
Lo dico sinceramente. Anche se non ci voleva molto, visto che di vacanze in vita mia ne ho fatte davvero poche, da quando tengo famiglia e devo lavorare per arrivare (spesso a stento) a fine mese.
Anche per questo sono arrivato in vacanza in Trentino stanchissimo, quasi esaurito per la stanchezza, soprattutto a causa di un periodo intenso di lavoro e complice pure un viaggio da Roma davvero faticoso (per il traffico e qualche altro intoppo) durato circa nove ore, con una vecchia macchina senza l'aria condizionata.
Arrivato in albergo, ci ho messo un giorno solo per capire dov'ero, stranito dal fatto di non trovarmi davanti ad una scrivania a lavorare al computer. Ho iniziato la vacanza così stanco che ogni mattina ero intontito, quasi come un ebete; rispondevo a stento ai saluti e se c'era un incontro, capivo, ma non riuscivo a connettere. E le passeggiate più semplici sono state per me un piccolo martirio, abituato a tenere le gambe incrociate sotto la scrivania per 10-12 ore al giorno.
Ma non è bastato tutto questo. Il lunedì (quindi il secondo giorno della vacanza) mi hanno chiamato dal lavoro per un grave problema occorso dopo un aggiornamento sul server: la mia applicazione non aveva smesso di funzionare. Un aggiornamento non previsto, non calcolato, a me non comunicato. Insomma, una sorta grosso problema che, ora che ero in ferie, rischiava di diventare un piccolo incubo.
Per fortuna mi ero portato il mio fedele computer portatile: che fortuna, così ho potuto lavorare (seppure ancora stanchissimo) anche in ferie!
Stress pregresso, stanchezza, poi ancora stress per un problema improvviso da risolvere urgentemente, senza potermi godere qualche giorno di ferie. E così ho pure dormito malissimo solo per la stanchezza. Risolto il problema al lavoro in un paio di giorni, è arrivata la notizia di un altro problema grave (stavolta non lavorativo, ma personale). E ho pure passato la nottata quasi in bianco, arrovellandomi inutilmente tra pensieri e preoccupazioni.
Poi ci si sono messi pure gli amici, vedendomi lì sempre seduto al computer nel salone dell'albergo: "visto che sei esperto di informatica, ci dai una mano con le foto delle vacanze?".
Beh, ormai che ci sono...
Così ho passato la mattinata dell'ultimo giorno a scaricare quasi 150 foto dal mio account di Whatsapp e costruire così una sequenza da mostrare durante la festa finale. Alla fine le dita sul mouse erano indolenzite. Nel primo pomeriggio sono andato a riposare, pensando di svegliarmi per le 17 e seguire l'incontro con mons. Negri. Invece niente, mi sono svegliato alle 18 e 30, appena in tempo per la Santa Messa. Poi la cena e alla fine festa e proiezione delle foto.

Eppure...
Solo quel paio di ore della festa hanno cambiato tutto. Mi hanno cambiato dentro. Sono state l'evidenza di un popolo, un piccolissimo popolo, che nonostante tutti i problemi personali (perché di sicuro non sono l'unico!) e tutti i problemi del mondo e tutti gli scandali del mondo (e degli amici, o di quelli che abbiamo considerato amici!) trova l'occasione di gioire, di esser lieti; ma non essere lieti per non pensare ai problemi, per dimenticare, per essere distratti rispetto alla realtà che comunque ci attende inesorabile alla fine delle vacanze.
Una letizia che invece nasceva da una realtà presente, da una speranza presente, da un presentimento del vero percepito e gustato nei volti di quelli presenti alla vacanza. La sera, dopo la festa, sono andato a letto stanco come gli altri giorni.
La mattina seguente invece no. Non ero più stanco, mi sentivo in forma e con l'energia addosso per tornare a casa e cambiare il mondo. Tanto che un paio di amici mi hanno letteralmente detto: "stamattina ti vedo in forma!".

Lo ripeto: è stata la vacanza peggio vissuta tra le poche vacanze che mi sono goduto finora. Una esperienza nuova, in senso negativo.
Ma l'esperienza di questa energia, che mi fa sorgere il desiderio di tornare a casa e cambiare il mondo, questa l'ho già vissuta diverse volte, sempre dopo certe vacanze con certi amici, quelli di una "strana compagnia". Dopo certe vacanze o dopo certi esercizi spirituali. Una compagnia di persone che, in un modo o nell'altro, costantemente ti richiamano a Cristo, costantemente ti richiamano alle sorti della Chiesa e del mondo, senza mai nulla toglierti dei pensieri dei tuoi problemi. Si penserebbe di soffocare. Invece no, non si soffoca, anzi si respira finalmente a pieni polmoni, perché pure i problemi personali sono collocati (finalmente!) nella loro giusta dimensione, cioè come partecipazione ai problemi del mondo, un puntino minuscolo rispetto ai problemi del mondo.
Allora pure i problemi personali acquistano un senso. E tutto acquista un senso. E allora viene voglia di cambiare il mondo: viene addirittura l'energia di cambiare il mondo.
Che "strana compagnia"...