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domenica 30 aprile 2017

Memoria di un cuore

Il Vangelo di oggi ripropone un brano a me carissimo, quello relativo ai due discepoli di Emmaus, uno dei quali era proprio San Cleofa, ricordato dalla liturgia della Chiesa proprio il 25 settembre.
"In quello stesso giorno, il primo della settimana, due discepoli di Gesù erano in cammino..."
Quello stesso giorno è riferito al giorno in cui le donne trovano il sepolcro vuoto.
"Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro.
Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo."
Questa è la normale condizione umana, dopo il peccato originale.
Lui c'è, ma "i nostri occhi" sono incapaci di riconoscerlo. Non dice "loro", ma "i loro occhi". Noi siamo capaci di riconoscerlo, ma dobbiamo imparare a farlo con uno sguardo diverso sulla realtà. Non perché davanti agli occhi non ci sia nulla, anzi. Ma quello che abbiamo davanti agli occhi non dice tutto della realtà che emerge nella sua visibilità.
Come dice il Gius in "E' se opera":
"Corpo dice non tutto quello che uno è. Dice ciò che appare e si lascia vedere di quello che uno è. Ma questa apparenza è reale (non è come sentir dire: “Sono presente” e non c'è nessuno). Il corpo è reale, sperimentabile. E noi siamo parte di questo Suo corpo, che ha una profondità molto più grande di quel che si vede, ha un valore che eccede la realtà umana dei suoi componenti, ha una radice che affonda in una terra a noi ignota: la terra dell'Essere, del Mistero. Il corpo non lascia vedere tutta la personalità, ma è l'inizio di tutto il misterioso cammino dentro la personalità. Il mistero di Cristo è come il mistero del nostro io, che si documenta nel corpo. Ciò che si vede, ciò che si sente, ciò che si tocca, il tuo comportamento, vale a dire ciò che io sperimento di te, mi rivela qualcosa di quello che sei, del mistero del tuo io: “gli occhi sono lo specchio dell'anima”. Allo stesso modo questa compagnia in cui Cristo ti ha chiamato e con cui ti si stringe attorno ti rivela quello che Lui è per te: attraverso lo sguardo e il comportamento che Egli suscita in coloro che ti ha messo attorno nella misura in cui Lo riconoscono, Gli obbediscono e ne vivono la memoria , tu conosci di più chi è Cristo."

"...Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti...".
Di fronte ad una testimonianza chiara, sono ancora incapaci di credere. Ma dovevano ancora ricevere lo Spirito...
"Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro.
Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. "
Il momento del riconoscimento arriva nel preciso momento dello spezzare il pane, nel momento del Sacramento. Allora cadono tutte le barriere e le perplessità, poiché li agisce una Grazia che non dipende dalla fede, ma in forza del Sacramento, in forza di Gesù Cristo.
E nel momento del riconoscimento, Lui torna invisibile.
Evidentemente presente, come evidentemente invisibile alla vista.
"Ed essi si dissero l'un l'altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?». "
Se Cristo fosse rimasto presente, sarebbero rimasti in muta contemplazione, come gli apostoli quando lo riconobbero a riva mentre loro pescavano (Gv 21,9-14).
Invece "sparì dalla loro vista" e subito emerge l'esigenza umana di sostenersi reciprocamente con la testimonianza di quanto era loro accaduto.
E come si sostengono? Con quale strumento si sostengono? Con lo strumento della MEMORIA.
E di cosa fanno memoria? Del loro cuore, di quello che il cuore ha riconosciuto come adeguato e soddisfacente alle proprie esigenze fondamentali.
E qual'è stata la loro seconda mossa istintiva?
"E partirono senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone».
Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane."
 
Si mossero. Fecero "movimento" senza avere chiara coscienza di quello che stavano facendo, ma semplicemente rispondendo a quella che per loro era diventata un'esigenza del loro cuore. Andarono alla sorgente, alla fonte, ai testimoni designati da Gesù stesso per dare il loro contributo di testimonianza.
Questo è il primo compito che ci spetta: dare testimonianza di quello che ci è accaduto e ci sta accadendo. Dobbiamo dare testimonianza del carisma del Gius che stiamo vivendo in questo nuovo cammino che iniziando a fare.

Ma anche un altro compito ci attende, poiché oggi noi, rispetto ai discepoli di Emmaus, siamo dopo la discesa e la diffusione dello Spirito Santo. Dobbiamo collaborare al compito della Chiesa e portare la nostra esperienza di vita cristiana a tutti i popoli, collaborando in qualche modo alla missione della Chiesa nel mondo.

Infine c'è un altro aspetto che oggi mi è divenuto chiaro. Mi è sempre stato chiaro il fatto che Cristo sempre ci parla e sempre ci fa sapere quello che Lui vuole. E nelle parole, da me tanto contestate, per cui la forma della testimonianza è la "testimonianza di Cristo in me", oggi ho trovato un riferimento di grande significato.
Stamattina stavo rileggendo l'Apocalisse quando mi sono imbattuto nella seguente frase: "La testimonianza di Gesù è lo Spirito di profezia" (Ap 20,10).
In questi tempi di grande confusione (forse tempi apocalittici...), noi siamo chiamati anche ad essere per i nostri fratelli cristiani e per tutto il mondo anche profeti.
Profeti di quello che sappiamo, nella sua forma più semplice: Gesù Cristo, nonostante le apparenze a volte violentemente contrarie, non ci abbandona mai, non ci lascia mai soli. Lui c'è.

domenica 23 aprile 2017

Grazie San Tommaso

Oggi è uno di quei (per fortuna rari) giorni in cui a sentire l'omelia, dovunque sia, mi viene il mal di stomaco. il solito stucchevole commento sulla mancanza di fede di San Tommaso, colpevole di non fidarsi degli altri Apostoli e amici, mentre sono "beati quelli che pur non avendo visto, crederanno".
Ma la realtà è completamente diversa, a mio avviso. Il brano così prospettato visto il tono di tutti i vangeli, e in particolare la prima lettera di San Giovanni, non avrebbe senso.
In tutti i vangeli Gesù invita ad avere fede proprio perché vedono, proprio per le opere che lui mostra. E pure l'inizio della lettera di San Giovanni recita testualmente.
"Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita poiché la vita si è fatta visibile, noi l'abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi.."
Non solo una adesione di mente e di cuore, ma occhi che vedono, mani che toccano, orecchie che ascoltano, questa è la nostra fede. Per questo ha avuto torto e ha torto chi afferma che la salvezza dipende dalla sola fede, ma dalla fede e dalle opere insieme. Perché solo se collaborano insieme mente, cuore, occhi, mani, orecchie allora è coinvolto tutto l'umano ed è salvato tutto l'umano.

Allora come interpretare il brano di oggi? Ripartiamo dal Vangelo:
"Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!». Rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!». "
Anzitutto un nota bene. Quelli per gli Apostoli erano ancora i giorni della paura, poiché nonostante la testimonianza delle donne e la scoperta del sepolcro vuoto, nonostante la testimonianza dei due discepoli di Emmaus, ancora non riuscivano a credere. La loro era una fede Apostolica, lo era stata finora, fino alla morte di Gesù in croce. Per avere fede era necessario che vedessero.
E la nostra fede si basa sulla fede apostolica, cioè sulla testimonianza di chi ha personalmente visto, toccato, udito il Signore Gesù prima morto e sepolto, poi risorto e vivo. La loro fede non poteva essere una fede per testimonianza di altri, doveva essere invece una fede per conoscenza diretta.

Per questo san Tommaso giustamente risponde "se non vedo io, se non metto le mie mani nel costato, non credo": perché lui, uno dei Dodici, aveva il compito e il dovere di credere per testimonianza diretta dei suoi sensi, non per il racconto (per quanto affidabile) di altri.
Gesù stesso quindi, senza alcun accenno di rimprovero (che è una invenzione dei preti di oggi), lo invita ad avere la fede degli Apostoli, invitandolo a mettere il dito nella piaga e a guardare le sue mani e a stendere la sua mano e metterla nel costato e quindi a non essere più incredulo ma credente!
Gesù stesso lo riammette nella comunità dei Dodici, offrendo il suo corpo ai sensi di Tommaso, perché testimoniasse che lui era vivo e risorto con il corpo.

Ancor più significativo quello che segue, perché la nostra fede invece, dopo duemila anni, è fondata sulla testimonianza, non è uguale a quella degli apostoli. Ma è fondata sulla testimonianza di testimoni certi e affidabili, scelti dal Signore stesso. Per questo subito Gesù dice: "Perché hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!".
Qui non è in contrapposizione l'atteggiamento di san Tommaso con il nostro, ma qui è il fondamento della nostra fede, perché confermata dallo stesso san Tommaso, testimone diretto.
San Tommaso ha visto, toccato, udito e ha creduto quindi anche noi possiamo credere.

Grazie san Tommaso!

giovedì 20 aprile 2017

Chi siamo noi?


L'immagine può contenere: pianta e spazio all'aperto
Ieri pomeriggio, stando in preghiera davanti alla statua Madonna, nel Santuario della Vergine della Rivelazione (originato dalle apparizioni iniziate il 12 aprile 1947 al veggente Bruno Cornacchiola), pensando a tutto il Movimento, a quelli incontrati al santuario di San Luca e a me stesso, mi sono reso conto che quello che stiamo vivendo, quello che io sto vivendo e che mi sembra vivano anche altri, è un attacco al nostro carisma nella forma particolare che siamo noi.
Non un attacco al nostro carisma, e basta; ma un attacco al nostro carisma nella forma particolare che siamo noi. Quindi prima di tutto un attacco a quella "realtà comunitaria sociologicamente identificabile, investita da una forza dall'alto, portatrice sana di un nuovo tipo di vita"!

Chi siamo noi?
Simo quelli del 25 settembre, memoria liturgica di San Cleofa, marito di Maria di Cleofa e forse fratello di San Giuseppe, era padre di Giacomo il Minore, di Giuseppe e di Simone.
Uno dei due discepoli di Emmaus, uno di quelli che disse "non ci ardeva forse il cuore?..".
E non è stata quella la nostra esperienza il 25 settembre? Non ci ardeva il cuore?
E tutto quello che ci è successo dopo, compresi i goffi tentativi di rivederci (ma accadrà, tutti ne siamo certi, no può finire qui!) è un riverbero di questo ardore del cuore, qualcosa che non è diventato una nostalgia da rinchiudere in un cassetto, ma qualcosa che pian piano è penetrato nelle nostre vite come una realtà nuova, dotata di vita propria. Ora forse iniziamo a prenderne coscienza.

Quello che è accaduto a tanti di noi prima del 25 settembre, in piazza al Family Day o in altre occasioni, è stato uno scansarci rispetto ad un attacco a quello che siamo. Ci siamo scansati, abbiamo fatto un passo in là in una direzione imprevista, prendendo un bivio, perché la strada intrapresa da tanti altri non sembrava più seguire quello che noi, in coscienza, avevamo dentro. Educati per una vita a seguire la propria coscienza, in quel momento abbiamo continuato a farlo.
E ci siamo scansati.
Qualcuno direbbe che ci siamo "decentrati": "Tutta la spiritualità, tutti i carismi nella Chiesa devono essere “decentrati”: al centro c’è solo il Signore!". A volte lo Spirito parla come noi non ci aspettiamo, con parole improbabili dette in occasioni improbabili. Ma a posteriori, col senno di poi, verrebbe da dire: "più chiaro di così!".
Questo è il miracolo che ci siamo trovati addosso: ci siamo scansati ma il carisma ci è rimasto attaccato addosso.

Chi siamo noi?
Siamo quelli del 25 settembre, siamo quelli che "non ci ardeva forse il cuore?".
E in queste parole c'è già tutto.
Il tema che ci era stato dato, poi travalicato e non approfondito dagli interventi, era "la Memoria".
E proprio questo è quello che è accaduto ai due discepoli di Emmaus: la prima coscienza, il primo atto della coscienza è stato la memoria dell'incontro appena fatto! "Non ci ardeva forse il cuore?". Allora la nostra prima parola deve essere MEMORIA.
E la seconda viene sempre dalla stessa frase: "Non ci ardeva forse il cuore?".
Lo Spirito Santo, nonostante noi uomini peccatori, nulla fa per caso. Figuriamoci un Giubileo della Misericordia indetto da Santa Madre Chiesa. Misericordia, miseri cordis. L'ardere del cuore mi pare che sia il gesto di tenerezza di Dio Padre che si china sui suoi figli e in un momento di confusione indica sommessamente una strada.
Come il mormorio di un vento leggero.
"Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. Come l'udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all'ingresso della caverna. Ed ecco, sentì una voce che gli diceva: «Che fai qui, Elia?». Egli rispose: «Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita»." (1Re 19,11-14).
E la seconda nostra parola deve essere MISERICORDIA.

Siamo decentrati, siamo realtà locali, quindi i nostri riferimenti devono essere locali, diocesani. E il nostro carisma, avendo come pietra angolare il Giuss, ora si è arricchito di Memoria e Misericordia.
Tutto qui.
Ora dobbiamo solo prenderne coscienza.

Uscendo dal Santuario, sono passato in una galleria che lo circonda, scavata nella collina dove il Santuario è "infilato" (tutto il Santuario è all'aperto, coperto da un tendone, solo l'altare è all'ingresso della grotta e la statua dove si sono svolte le apparizioni è nella grotta). In questa galleria i fedeli attaccano alle pareti foglietti volanti in cui danno testimonianza delle grazie ricevute.
Queste due immagini danno l'idea delle grazie che ancora oggi la Madonna concede.


Busti, stampelle, foto, biglietti con messaggi o racconti della grazia ricevuta: c'è di tutto.
Mi è venuto in mente che là fuori da qualche parte c'è un popolo che ha ricevuto delle grazie, che ha già avuto nella vita esperienza di un incontro, qualcosa per cui possono dire anche loro "non ci ardeva forse il cuore?".
E magari sta solo aspettando "una realtà comunitaria sociologicamente identificabile".
Un abbraccio a tutti.

domenica 16 aprile 2017

La "scelta religiosa"

Cosa si intende per "scelta religiosa"?
L'affermazione salta fuori quando si pone la possibilità di una operosità che inevitabilmente comporta una esposizione pubblica, con tutte le complicazioni (economiche, sociali e politiche) che questa comporta. Allora tale "scelta religiosa" diventa inevitabilmente un passo indietro, un mettersi da parte rispetto a un'opera concreta.
In questo caso il nome denuncia una mentalità, quella secondo la quale ciò che è "religioso" è distante dal mondo, dal potere, dal denaro. E precisamente questa mentalità è una mentalità mondana, una mentalità del potere laicista, proprio quel potere che vorrebbe il cristianesimo con non incidente sulla realtà concreta degli uomini, soprattutto quando di mezzo ci sono denaro e potere.
Invece in senso cristiano, secondo la mentalità cristiana, ciò che è religioso è sempre in qualche modo coinvolto con la responsabilità nella gestione di tutte le cose, dalle cose più piccole a quelle più grandi, quelle dove potere e denaro hanno un peso rilevante.
Quindi quando si parla di "scelta religiosa" occorre prima di tutto rendersi conto che c'è di mezzo una mentalità, una visione della realtà che è contraria alla visione cristiana della realtà.
Afferma Carron, nella sua ultima scuola di comunità del 22 marzo: "Chiediamo, tante
volte, delle soluzioni; e se non ce le dà, pensiamo che il movimento manchi al suo compito
educativo, per esempio quando gli domandiamo che ci dica chi o come votare. Invece il compito del
movimento è quello di metterci in cammino, senza svuotare la nostra umanità. Questo non è
intimismo, questa non è scelta religiosa!" (pag. 4).
In questo testo il commento di Carron è riferito a "Perché la Chiesa", pag. 206-214. In particolare Carron sta commentando il paragrafo 5 "La Chiesa non ha come compito la soluzione dei problemi umani". E nel testo Giussani riporta un brano di Vangelo nel quale Gesù si rifiuta di mettersi a fare "il giudice" in una disputa di eredità tra fratelli (Lc 12,13-15).
In questi casi, la descrizione è corretta: la Chiesa non ha il compito di fornire soluzioni dettagliate ai singoli casi umani. Questi stanno nella vita delle singole persone ed esigono una responsabilità che è del tutto singolare. Ma nelle parole di Carron c'è un contenuto che va oltre a questa descrizione. Lui dice che "pensiamo che il movimento manchi al suo compito educativo, per esempio quando gli domandiamo che ci dica chi o come votare". Chi e come votare non è un fatto personale!
E nel momento in cui la Chiesa è definita come una realtà umana sociologicamente identificabile, il comportamento di questa realtà umana quando si tratta di impegnarsi per il bene comune (intendendo il bene comune in senso molto largo, cioè intendendo anche i beni spirituali, prima di tutto il bene della salvezza eterna), allora il valore educativo per un impegno è un fattore determinante.
Qui non si tratta di una "soluzione", ma di un fattore educativo! E per l'esperienza di chi scrive, l'impegno nelle campagne elettorali quando frequentavo il CLU (fine anni 80 e primi anni 90, a Roma) era un impegno deciso e imponente come fattore educativo per vivere appieno il nostro carisma, al di là di ogni risultato.
La mancanza di tale impegno incide inevitabilmente e profondamente sulla natura stessa di questa "realtà umana sociologicamente identificabile"; e incide pure sulla capacità dei singoli appartenenti di incidere responsabilmente nei confronti di tutta l'umanità. Se tale disimpegno diviene un progetto, occorre dire che a questo punto si mira a cancellare completamente la Dottrina Sociale della Chiesa.
Diceva Carron nella scuola di comunità del 17 febbraio 2016 (pag. 8 in fondo): " Questo non vuol dire che noi non abbiamo tutto lo spazio per testimoniare la bellezza della famiglia così come Dio l’ha voluta creandoci maschio e femmina".
Purtroppo si è sbagliato: dopo l'approvazione della legge sulle unioni civili e tutte le iniziative dei giudici e dopo che alcuni sacerdoti sono stati allontanati dai rispettivi vescovi solo per aver citato san Paolo, si può dire che non "abbiamo tutto lo spazio per testimoniare la bellezza della famiglia così come Dio l'ha voluta". E quello spazio si sta riducendo sempre più.

Ma come siamo arrivati a questo punto? Come ci siamo  ridotti a questa situazione? Una situazione che non riguarda Carron e non dipende solo da Carron, perché lui ogni volta viene costantemente rieletto presidente della Fraternità di CL, quindi quantomeno c'è una responsabilità condivisa.
Quello che nel tempo è venuto a mancare, a mio modesto avviso, è la crescita di una responsabilità nel movimento, una crescita di persone responsabili nel movimento. Perché un responsabile è anzitutto una persona non omologata, autonoma nelle sue scelte e nelle sue decisioni. Tale responsabilità è anzitutto una responsabilità di tipo sociale, cioè la responsabilità tipica di colui che decide, nel bene e nel male, per il bene degli altri.

Ora la nostra responsabilità è quella di saper leggere i segni dei tempi. E questi sono i tempi in qualche modo apocalittici nei quali si stanno per avverare le profezie di Fatima, soprattutto il celebre terzo segreto, quello nel quale si parla di un "Vescovo vestito di bianco, abbiamo avuto il presentimento che fosse il Santo Padre"; e si parla di
"una grande città mezza in rovina e mezzo tremulo con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino; giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi della grande Croce venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce, e allo stesso modo morirono gli uni dopo gli altri i Vescovi Sacerdoti, religiosi e religiose e varie persone secolari, uomini e donne di varie classi e posizioni"
E secondo la veggente Lucia, secondo la testimonianza del card. Bertone,
"Noi non sapevamo il nome del Papa, la Signora non ci ha detto il nome del Papa, non sapevamo se era Benedetto XV o Pio XII o Paolo VI o Giovanni Paolo II, però era il Papa che soffriva e faceva soffrire anche noi"
Ma c'è un altro passaggio, del secondo segreto, che in questi giorni mi ha colpito molto.
"Quando vedrete una notte illuminata da una luce sconosciuta, sappiate che è il grande segno che Dio vi dà che sta per castigare il mondo per i suoi crimini, per mezzo della guerra, della fame e delle persecuzioni alla Chiesa e al Santo Padre. Per impedirla, verrò a chiedere la consacrazione della Russia al Mio Cuore Immacolato e la Comunione riparatrice nei primi sabati. Se accetteranno le Mie richieste, la Russia si convertirà e avranno pace; se no, spargerà i suoi errori per il mondo, promuovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa. I buoni saranno martirizzati, il Santo Padre avrà molto da soffrire, varie nazioni saranno distrutte. Finalmente, il Mio Cuore Immacolato trionferà. Il Santo Padre Mi consacrerà la Russia, che si convertirà, e sarà concesso al mondo un periodo di pace."
Il passaggio che mi colpisce è che se non avviene la consacrazione della Russia "spargerà i suoi errori per il mondo... il santo Padre avrà molto da soffrire, varie nazioni saranno distrutte... finalmente... il Santo Padre mi consacrerà la Russia, che si convertirà, e sarà concesso un periodo di pace".
Quindi la consacrazione della Russia al Cuore Immacolato di Maria avviene comunque, ma nel secondo caso solo dopo persecuzioni e sofferenze. Con un'ultima nota, aggiunta nel testo pubblicato sul sito del Vaticano:
"In Portogallo si conserverà sempre il dogma della fede, ecc."
A parte quel "ecc" che sembra lasciare qualcosa in sospeso (e di cui ha parlato Socci in un suo libro), rimane il fatto che "in Portogallo si conserverà sempre il dogma della fede", come se non fosse scontato che la fede si conserverà sempre anche a Roma.
E siccome nulla accade per caso, proprio nei tempi oscuri in cui l'attacco alla Chiesa e all'umanità intera si attua con un attacco alla famiglia, in questi tempi la Chiesa ha indetto un "Giubileo della Misericordia" che evidentemente nei disegni divini qualcosa ci deve indicare.

Io da sempre recito la coroncina della Divina Misericordia, ma da quando faccio questo tipo di riflessioni (circa dal Family Day del 2015) lo faccio con una coscienza ben diversa. E sto cominciando a pensare che ora questa coscienza, per la gravità del momento che stiamo vivendo, occorre che prenda carne e diventi un carisma proprio. Non un carisma diverso, ma un carisma proprio.
Così come il carisma di CL ha fatto nascere carismi diversi (Fraternità di CL, Memores Domini, Fraternità sacerdotale di San Carlo Borromeo, Fraternità di San Giuseppe, suore di carità dell'Assunzione), nulla vieta che ne sorga un'altro ancora. Anzi, sarebbe solo segno della vivacità e della vitalità del carisma di don Giussani.
E sarebbe un segno dei tempi. Come lo è stato il nostro incontro al santuario di San Luca, dove il tema che ci eravamo dati era quello (da me sentitissimo!) della memoria.
Memoria e Misericordia mi sembrano due fondamenta solide, che oggi sono sotto attacco soprattutto perché si tenta di tenerle separate. Da qui allora occorre ripartire, dalla coscienza della Misericordia di Dio come Memoria, cioè come esperienza di un fatto presente che ha avuto un inizio nel passato e nel tempo ha sviluppato una storia, alla quale apparteniamo.
E se dovrà nascere un nuovo carisma, lo vedremo insieme nel tempo, con l'aiuto di Dio.

domenica 2 aprile 2017

È se opera

Ripropongo qui un testo che mi pare di grande attualità, oltre che un testo bellissimo.

Appunti da una conversazione di monsignor Luigi Giussani con giovani impegnati in un cammino vocazionale, Milano, settembre 1993. “È, se opera” è stato pubblicato su 30Giorni, n. 10, ottobre 1993
“Ex hoc aliquis percipit se animam habere et vivere et esse, quod percipit se intelligere, sentire et alla huiusmodi opera vitae exercere”
(san Tommaso d'Aquino, De Veritate) 

1. Immaginiamo di essere seduti in questa sala. Qualcuno chiama: Anna Rigotti. Si crea il silenzio, e si ode una voce rispondere: “Sono presente”. Guardiamo intorno, passiamo in rassegna i volti... Dov'è? Non c'è! Per uno strano fenomeno riecheggia la sua risposta: Sono presente, ma Anna Rigotti non c'è. Se qualcosa del genere succedesse sarebbe ben grottesco! “Eterno Dio immutabile, la fonte è in Te dell'essere, nella Tua pace immobile Tu segni ai tempi il volgere”, dice un Inno della liturgia. Ora, se cantassimo queste paro-le (Eterno Dio immutabile...) e non ci fosse niente? Se udissimo le parole ma non esistesse niente? Sarebbe grottesco come nell'immagine usata. “Eterno Dio immutabile” risuonerebbe come quel “Sono presente” di Anna Rigotti che non c'è: nient'altro che una for-ma di suono, un'eco di parole. Per la maggior parte della gente Dio vige così, è così. Per la maggior parte della gente (anche per chi va in chiesa) il rapporto con Dio, col divino, vale a dire con ciò che dovrebbe essere percepito come origine e destino di tutto, è co-sì: “sono parole”. Dio ha sfondato questa separazione, questo vuoto tra Sé e l'esperienza dell'uomo. L'esperienza implica un complesso di fattori misurabile, determinato da tempo e spazio, che viene raccolto dai sensi che è cioè visibile con gli occhi, tangibile con le dita, udibile con le orecchie (che tu ci sia, che tu sia presente mentre parlo, è un'esperienza). Dio, il Mi-stero che fa tutte le cose, ha sfondato la lontananza, il vuoto che l'uomo inevitabilmente porrebbe tra il tempo e lo spazio, cioè la realtà in quanto sensibile, visibile, tangibile, udibile, e Dio. Il problema è quello di un divino sentito come astratto, di un “quid” che non è nominabile in modo sperimentale perché con la vita non c'entra, non è cioè perce-pito aver a che fare con niente (eppure, che le cose non si fanno da sé è così vero, che qualsiasi uomo ha il senso di questo destino più grande di lui, per quanto soffocato o al-terato nella distrazione normale). Il Mistero ha sfondato l'astrazione e la lontananza in cui sarebbe inevitabilmente tenuto dall'uomo, poiché, non essendo né visibile, né tocca-bile, né udibile, il pensiero non lo può afferrare come afferra il significato di un viso e l'affezione non vi si può dirigere come si dirige su un viso. La realtà di un viso è misurabile col tempo e con lo spazio, è visibile, tangibile, udibile: l'intelligenza può perciò rendersene conto, sorprenderne la profondità, e l'affezione muoversi verso di esso. Ciò che non è sensibile (tangibile, visibile, udibile), ciò che non è sperimentabile, non può essere vero oggetto di intelligenza e di affezione: intelligenza e affezione restano a-stratte. Ciò che non è esperienza nel senso detto non può essere contenuto di un pensiero e di una affezione reali, ma di un pensiero e di una affezione astratti, che non hanno valore e tenuta, che non hanno cioè nessuna incidenza sul tempo e sullo spazio, su quel che si vede, si tocca e si sente.
Dio, noi lo viviamo così! Ma Dio ha sventrato, ha sfondato la distanza in cui noi lo sentiremmo e lo terremmo. Come Dio ha sfondato questa lontananza? Incarnandosi e uscendo dal seno di una donna come bambino. Il Mistero che fa tutte le cose è stato concepito nel seno di una donna: è nato come un bambino, è cresciuto come un bambino. Mangiava, beveva, parlava. Piuttosto presto ha incominciato a discutere e i dottori della Legge ne restavano meravigliati: Come può questo ragazzo dire e conoscere queste cose?. Poi ha incominciato ad uscir di casa (immaginiamo con che apprensione sua madre seguiva ormai gli avvenimenti); parlava per le strade a tre, quattro, cinque persone oppure a gruppi di trenta o quaranta, secondo i paesi e agiva in modo tale che la gente si stupiva: Ma come fa a fare queste cose? Come fa a parlare così? Nessuno ha mai parlato come quest'uomo! Nessuno ha mai fatto cose simili ! Immaginiamo, quando Lui tornava a casa, come sua madre rimaneva impacciata: ultimamente non poteva saper bene chi era suo figlio. Di Lui sapeva solo, per le parole dell'angelo, che sarebbe stato misterioso. E tuttavia, tra quello che l'angelo le aveva detto e quell'uomo che aveva davanti non c'era per quella donna nessun distacco. Era suo figlio e non era come lei poteva immaginare. Non poteva pensarlo. Anche lei, quando lo sentiva parlare e lo vedeva agire, diceva: “ Come fa a saper queste cose?” Come fa a fare queste cose. Ma non c'era differenza: non c'era un salto, un vuoto, tra quell'uomo in carne ed ossa, suo figlio, che aveva allattato, e il mistero che Lui portava con sé, il mistero che Lui era, il divino che era. Non poteva immaginarsi come facesse le cose che faceva e come dicesse le cose che diceva, ma non c'era per lei nessun distacco. In verità, essa fu la prima a capire, perché già nelle parole dell'angelo vi era l'anticipo: “Sarà chiamato Figlio dell'Altissimo”. Dio, l'origine e il desti-no di tutto, ciò di cui tutte le cose, ultimamente, sono fatte (è questa la frase che nes-suno capisce e da cui nessuno resta colpito, mentre è la più inconcepibile, la più tre-menda e più grande, perché ristabilisce la distanza infinita e al tempo stesso afferma la concretezza di questo ultimo), Dio, per aiutare l'uomo, si è reso compagnia all'uomo, è diventato compagnia umana: è entrato nella vita stessa dell'uomo con forma umana. Questo è Gesù Cristo: Dio fatto carne, Dio fatto uomo. Per farsi riconoscere, Dio è entrato nella vita dell'uomo come uomo, secondo forma u-mana, così che il pensiero e tutta la sua immaginatività, l'affettività e tutto il suo sogna-re sono stati come bloccati, calamitati. C'era lì Uno che cacciava i demoni, che guariva i ciechi, che guardava la donna peccatrice in modo tale che essa qualche giorno dopo gli lavò i piedi piangendo che guardava cioè fino a cogliere la radice del cuore dell'uomo. Passando davanti a quel-l'albero, Gesù alzò lo sguardo verso chi si era arrampicato e gli disse: “Zaccheo, scendi subito, perché voglio venire a casa tua”. Zaccheo scese in fretta e Lo accolse con gioia. E a Matteo, che era un gabelliere, uno che riscuoteva i soldi, semplicemente disse: “Vieni con me”. E lui abbandonò tutto e Lo seguì. Questa è la cosa senza paragone più grande, senza la quale l'uomo è fatto fuori e tutto è vuoto: Dio, per aiutare l'uomo, si è reso compagnia umana. Perché se c'è quel vuoto tra tempo e spazio e Dio, tempo e spazio sono destinati a diventar vuoto.

2. Quell'uomo in cui Dio si è reso carne per diventare compagnia all'uomo ha detto: “lo sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo.” Solo se è presenza ora, infatti, Egli può influire su di me e cambiare la mia ora può cambiarmi e rendermi quello che Lui vuole. Solo ciò che agisce nel presente “è”. Ciò che non agisce nel presente non è non c'è. Perché noi non possiamo uscire dal presente: partiamo dal presente, agiamo nel presente, finiamo nel presente. Il presente è la grande caratteristica dell'essere. “Sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo.” Ma se è con noi tutti i giorni, deve essere visibile, tangibile, udibile, misurabile in tempo e spazio, oggi, adesso. Altrimenti non è, c'è solo un vuoto. Se Gesù non fosse hic et nunc, qui ed ora con una espressione che, soprattutto nei primi anni, il Papa ha amato dire tante volte ci sarebbe un vuoto sterminato. Il Suo nome Gesù Cristo non sarebbe che una pura paro-la(esattamente come quella eco che dice: “Sono presente”, e non c'è nessuno). “Sarò con voi tutti i giorni”: Egli è presente. Ma dove è? Come è? Come Gesù Cristo è presente in modo sensibile, visibile, tangibile, udibile, così che il pensiero possa rendersene conto e l'affezione dirigersi, e la nostra vita essere incisa, dominata e cambiata dalla Sua presenza, avere in essa il suo punto di appoggio (origine), intravvedervi il destino, sperimentarne la costitutività ?

3. Lo sappiamo bene, Cristo è presente tutti i giorni in quanto afferra talune persone che il Padre gli dà in mano coloro che il Padre destina alla vita eterna e le fa parte del mistero della Sua persona (non per nulla il segno più grande e reale di questa assimilazione è il mangiare e il bere: l'agape eucaristica. Un mangiare e un bere: c'è qualcosa di più assimilabile di un boccone che si mangia e di un sorso che si beve?). Cristo è presente secondo la modalità che Lui ha creato: la compagnia delle persone che afferra e immedesima con Sé. Con queste persone immedesimate con Sé e quindi legate fra loro, E-gli è presente nel mondo con una faccia. In che modo Gesù, Dio fatto uomo, il padrone del tempo e dello spazio, afferra queste persone e le porta dentro di Sé? Come Gesù ha afferrato e portato dentro di Sé noi? È il Battesimo il gesto con cui Egli afferra l'uomo e lo porta dentro di Sé. Non c'entriamo nul-la noi. È Lui che nel corso della storia, fra tanta gente, nella folla che cammina per il mondo, prende ora l'uno ora l'altro, senza domandare il permesso a nessuno! Il Battesi-mo è un gesto di possesso che è realmente possesso, è un segno che contiene ciò di cui è segno. Gesù Cristo è il padrone di tutto, ma in talune persone questa signoria Egli la vuole esprimere nel mondo, nella storia, perché tutti vedano perché tutti possano vede-re. Tutti voi che siete stati battezzati vi siete immedesimati con Cristo (Gal 3, 26). Immedesimati: diventati una cosa sola con l'Io di Cristo, membra Sue. Perciò, se tra milioni di persone ha scelto, per esempio, noi che siamo qui, ognuno di noi è stato assimilato a Cristo. Col Battesimo Cristo ci ha preso e ci ha portato in Sé. E se ha preso me e ha pre-so te, noi siamo una cosa sola, diventiamo membra l'uno dell'altro: Non sapete che siete membra l'uno dell'altro?² (Ef 4, 25). Il modo con cui Cristo è presente a noi e con noi tutti i giorni è una compagnia fatta di carne e di ossa, di tempo e di spazio, misurabile, visibile, udibile, tangibile: sperimentabile. Cristo ha preso ognuno di noi col Battesimo e si è reso costantemente e attivamente presente a noi nella compagnia di tutti coloro che ha preso come noi.

4. A ognuno di coloro che afferra, Cristo assegna un compito. Della vita di tutti coloro che sceglie e rende parte di Sé, Egli ha un disegno, che è una collaborazione al grande disegno per cui è diventato uomo, è morto ed è risorto: il disegno della salvezza del mondo. Come fa parte di Sé l'uomo che nel Battesimo afferra, così lo fa parte del grande disegno per cui è venuto. Tua madre e tuo padre hanno avuto un certo compito. A te è stato dato un altro compito. Ad alcuni infatti Egli dà il compito di affrontare il mondo la vita, il rapporto con se stessi, con gli altri e con le cose come l'ha affrontato Lui, secondo la modalità e la forma con cui l'ha affrontato Lui. È questa la chiamata alla verginità. Si dice verginità proprio in quanto il rapporto con la realtà è direttamente e cosciente-mente voluto in funzione di Cristo: tutta la vita è direttamente in funzione di Cristo. Tutti i compiti dovrebbero essere in funzione di Cristo (anche quello di tua madre e di tuo padre), perché tutto è in funzione di Cristo. Ma è come se le chiamate normali avessero dentro come si dice in greco un katechon, che in italiano si dovrebbe tradurre “scandalo”: hanno come dentro un freno (come un treno che non potesse correre a due-cento all'ora), per cui è più difficile la coscienza, l'esperienza diretta del rapporto con Lui, è più difficile il toccarLo. Per coloro che Cristo afferra nel Battesimo e a cui dà co-me scopo e compito della vita, come partecipazione al Suo disegno, di affrontare il mondo come l'ha affrontato Lui, il rapporto con la verità delle persone e delle cose è senza freno. “Senza freno” vuol dire che le persone e le cose si esauriscono totalmente nell'essere segno Suo: nella verginità persone e cose sono viste secondo la loro origine, che è il mi-stero di Cristo, secondo il loro destino, che è il mistero di Cristo, secondo ciò di cui ultimamente sono fatte, che è il mistero di Cristo. Le persone e le cose sembrerebbero così ridursi a un pretesto passeggero ed effimero perché quello che importa è che domini Cristo. E invece, se io ti guardo secondo la tua vera origine, il tuo vero destino, ciò di cui ultimamente sei fatto, proprio in quanto io ti guardo così, la tua figura diventa potentissima ai miei occhi, la tua realtà amatissima e la tua forma adorabile: partecipi direttamente di quello che è Cristo. La vocazione alla verginità è affrontare gli uomini e la realtà direttamente secondo il disegno di Cristo, senza nessun katechon, senza nessun freno, senza nessuna alterazione. Certo, si può sempre scivolare nell'alterazione, ma la riscossa dall'alterazione è come destinata ad avvenire in modo impressionantemente più facile. Uno non ha tregua se non nella purità di ciò cui è stato destinato, non ha pace se non in quello.

5. Ma l'uomo, come Dio l'ha creato, è libero. E a Cristo che l'ha preso può dire: “No, non voglio!”, come un bambino capriccioso che, di fronte a un bicchiere, dica: “No, non è un bicchiere!”. Noi possiamo dire di no al fatto di essere stati afferrati, al gesto con cui Gesù ci ha presi, ci ha resi parte di Sé, membra del suo corpo, e ci ha destinati ad un compito. Non potendo far nulla da sé (“Senza di me non potete far nulla”), l'uomo può applicare la sua libertà solo come “sì” o come “no” all'iniziativa di un Altro, accettando o non accettando cioè che l'Altro faccia. Se l'uomo accetta che l'Altro “faccia”, diventa creativo come Lui, diventa una cosa sola con Lui: l'amore a Cristo diventa allora una cosa sensibile, più sensibile di ogni altro amore. È l'esperienza a cui siamo chiamati. Dire “sì” vuol dire accettare Cristo. Ma si dice “sì” o si dice “no” a Cristo così come ci appare, come ci si stringe vicino ed entra nella nostra esistenza. Ed Egli vi entra con la compagnia in cui ci ha chiamato. Il “sì” a Cristo è un “sì” alla modalità con cui Cristo è presente a noi, perciò è un “sì” alla compagnia vocazionale (il “sì” detto a Cristo e non alla compagnia vocazionale è come dire: “Sono presente” e non esserci!). Se diciamo di sì, se Lo accettiamo, con tutta la fatica nel tempo ogni co-sa si illumina e “passiamo di luce in luce”, come dice san Paolo. Se diciamo di no, tutto cade nel niente, decade, fino all'oscurità totale e permanente come i vecchi palazzi in rovina, pieni di serpi e di rovi. Per seguire la tua vocazione, Cristo ti aiuta accompagnandoti. Ti accompagna fisicamente con la compagnia in cui ti ha collocato. Egli diventa presente a te a te che ha chiama-to a questa vocazione in questa compagnia. Attraverso la compagnia di coloro che ha
chiamato come te Cristo si stringe attorno a te: questa compagnia è proprio Cristo pre-sente. La presenza di Cristo è la compagnia di coloro che ha chiamato come te. Questa compagnia è Cristo nella sua realtà umana, è il corpo di Cristo che ti si rende presente, tanto che Lo tocchi, Lo vedi, Lo senti. I1 suo valore è più profondo di quello che vedi (perciò ognuno, in questa compagnia, ha una dignità grandissima e non lo puoi trattare come tante volte lo tratti); ma quello che vedi è il mistero di Cristo che ti si rivela. “Corpo” dice non tutto quello che uno è. Dice ciò che appare e si lascia vedere di quello che uno è. Ma questa apparenza è reale (non è come sentir dire: “Sono presente” e non c'è nessuno). I1 corpo è reale, sperimentabile. E noi siamo parte di questo Suo corpo, che ha una profondità molto più grande di quel che si vede, ha un valore che eccede la realtà umana dei suoi componenti, ha una radice che affonda in una terra a noi ignota: la terra dell'Essere, del Mistero. Il corpo non lascia vedere tutta la personalità, ma è l'inizio di tutto il misterioso cammino dentro la personalità. Il mistero di Cristo è come il mistero del nostro io, che si documenta nel corpo. Ciò che si vede, ciò che si sente, ciò che si tocca, il tuo comportamento, vale a dire ciò che io sperimento di te, mi rivela qualcosa di quello che sei, del mistero del tuo io: “gli occhi sono lo specchio dell'ani-ma”. Allo stesso modo questa compagnia in cui Cristo ti ha chiamato e con cui ti si strin-ge attorno ti rivela quello che Lui è per te: attraverso lo sguardo e il comportamento che Egli suscita in coloro che ti ha messo attorno nella misura in cui Lo riconoscono, Gli obbediscono e ne vivono la memoria , tu conosci di più chi è Cristo. Ci sono persone nella compagnia che ti fanno sentire la me-moria di Cristo in modo dieci volte più facile che non tutte le altre: se “gli occhi sono lo specchio dell'anima”, queste persone sono l'iride dell'occhio. Attraverso questo corpo capisci il Mistero che vi abita, l'Io che vi sta dentro, che è l'origine e il destino di tutto. Quello che non possiamo pretendere di capire è in che modo Cristo identifica il Suo corpo con queste membra che siamo noi, facendoci rimanere noi stessi e, nello stesso tempo, assumendoci come una cosa sola (eis: una persona sola, secondo l'espressione di Galati 3, 26-28) con Lui. Percepire la presenza di una compagnia in modo tale da riconoscere in essa il mistero di Cristo presente è un culmine oltre la ragione: si chiama fede, in quanto la oltrepassa. La ragione nasce dentro il terreno della esperienza (non può che partire di qui), ma termina, seguendo il dinamismo stesso che le è proprio, sulla soglia di un “ol-tre”, di un “altro”, implicato dall'esperienza ma “al di là” di essa, “più grande” della capacità di immaginazione e di presa della ragione: l'infinito, il mistero. La ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori. La totalità dei fattori di una realtà implica il suo rapporto con l'infinito, col mistero, da cui la sua esistenza ultimamente dipende. Riconoscere la presenza dell'infinito in modo tale che essa si percepisca co-me fattore di una realtà umana è la fede. Infatti il mistero di Cristo si rivela e si rende presente a me in una compagnia. “Compagnia” è qualcosa di sperimentabile. Ma come essa sia il mistero di Cristo non lo vedo, è al di là dell'esperienza: percepire questa Presenza, riconoscere il mistero di Cristo presente in essa, si chiama fede. E se non arrivo qui non sono ragionevole, perché non tutti i fattori sono tenuti n considerazione.

6. Ma era soprattutto questo che qui mi premeva richiamare: Cristo si stringe attorno a te attraverso la compagnia di coloro che ha chiamato come te. Cristo ti aiuta accompagnandoti fisicamente con la compagnia in cui ti ha collocato. Perciò puoi vivere la tua vocazione ciò cui Cristo ti ha chiamato attraverso il Battesimo e la collaborazione al Suo disegno cui ti ha destinato solo se tu fai parte di questa compagnia, la accetti e la segui, imiti il meglio che essa ti esprime, vi obbedisci. Altrimenti non potrai vivere la vocazione nel suo concreto.
Come nasce questa compagnia? Come mai tu sei in questa compagnia? Il “questo” della compagnia come fa ad essere identificato? Perché tu sei in questa e non in un'altra compagnia? Come avviene tale distinzione? Attraverso un incontro che il Signore ti ha fatto compiere. Cristo ti ha preso nel Battesimo, ti ha fatto crescere, diventar grande, e ti ha fatto accadere un incontro. Vale a dire, ti ha fatto sperimentare la vicinanza di una realtà umana diversa, corrispondente, persuasiva, educativa, creativa, che ti ha in qualche modo colpito. E allora hai detto: “Vado insieme con loro”, hai cioè accettato di sentir l'urto che ti spingeva verso quella realtà umana incontrata. L'hai accettato: nessuno infatti è stato preso con un laccio e condotto qui; anche chi più sentisse disagio, è qui perché l'ha voluto. E l'ha voluto perché è stato colpito da qualcosa, foss'anche per un soffio. Perché Cristo “lavora” anche a soffi. “Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terre-moto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento legge-ro” (1 Re 19, 1121). Il Signore era nel mormorio di quel vento leggero. Anche per un soffio, anche solo per un momento, tu hai avvertito come un'attrattiva, un suggerimento, hai avuto una intuizione di qualcosa di più bello, di più corrispondente, di migliore. E hai detto “si”. L'incontro poteva essere con centomila altri temperamenti o altri fascini: tu hai avuto questo. Hai incontrato una persona di questa compagnia e hai percepito il soffio nuovo di una promessa di vita, hai presentito una Presenza corrispondente all'attesa originale del cuore. Perciò questa e non un'altra è la compagnia nella quale Cristo è di-ventato compagno alla tua vita e si stringe a te nel cammino, ti cinge e ti sostiene. In questa compagnia tu puoi ripetere la parola grande, stupefacente: “A te si stringe l'ani-ma mia e la forza della Tua destra mi sostiene”. Il mistero di Dio, che sarebbe altrimenti percepito lontanissimo, astratto, diventa così urgenza nella tua vita di ogni giorno: suggerimento per guardare il cielo e la terra, emozione e commozione nello spalancare il cuore ad una preferenza, che è vera se apre il tuo essere intero al bisogno di tutto il mondo facendoti partecipare così alla grande pietà di Cristo. Perché la grande pietà di Cristo è come fiorita nel mondo attraverso delle preferenze: Giovanni, Simone... Ma non sarebbe stata vera preferenza se non fosse stata il segno della grande, nuova pietà di Cristo per tutto il mondo.
Questa compagnia in cui ti sei imbattuto ha determinate caratteristiche. È quindi per l'incontro con determinate caratteristiche, con un determinato accento, con una determinata attrattiva, con una determinata figura, che ti sei trovato in essa. La caratteristi-ca della compagnia in cui Cristo ti ha messo è semplicissima, la più semplice di tutte. È la caratteristica di ricordarsi, in qualsiasi circostanza della vita, che tutto è, ultimamente, fatto di Cristo. In senso attivo si chiama “offerta” e in senso passivo si chiama “me-moria”: è la memoria di Cristo, coscienza di una Presenza, che ha come attività l'offer-ta. Perché l'offerta è il riconoscere che l'azione che sto facendo afferma Lui, in modo ta-le che Dio lo voglia! tutti Lo riconoscano di più. E non ho altro di desiderabile al mondo, perché è questo che mi fa amare di più certe persone, le persone più vicine, e poi le al-tre, e poi tutto il mondo. Anche la preferenza più acuta infatti sarebbe falsa se si fer-masse a se stessa. Questa compagnia si chiama Memores Domini e ha come sua regola la coscienza della presenza di Cristo come costitutiva del valore di ogni azione: anche il mangiare e il be-
re, il vegliare e il dormire, soprattutto il vivere e il morire. Qual è il compito concreto nella vita? Come tu aiuti il mondo ad essere più libero, più umano, più felice quaggiù e più convogliato al suo destino tutto? Ricordandoti, qualsiasi cosa tu faccia: “È il Signore”. È quello che disse Giovanni a Pietro, quando insieme intravidero quella figura approssimarsi sulla spiaggia, ma da lontano non capivano bene chi fosse, se un uomo reale o un fantasma. E, a un certo punto, Giovanni esclamò: “E il Signore”. Così, mangiare e bere, vegliare e dormire, studiare e lavorare, penare e gioire, sopportare, perdonare e correggere, affaticarsi e riposarsi, tutto: “È il Signore”.

7. Sembra di ritornare daccapo, a quell'immagine usata all'inizio (Anna Rigotti. “Sono presente”. E non c'è!). Che tutto sia del Signore: sembra un sogno! E invece, se togliete questa Presenza, ogni cosa va in cenere, tutto è destinato alla corruzione, come dopo tre o quattro giorni un uomo morto nel sepolcro: tutto è destinato alla corruzione del sepolcro, alla disperazione della prigionia, di una prigionia senza possibilità di uscita, tutto veramente “non c'è”, non esiste. Che cos'è questa faccia se non si fa da sé, se ieri non c'era e domani non ci sarà? È chiaro. Non c'era niente di tutto quel che c'è; a un cer-to punto viene all'essere: non si è fatto da sé. Se quel che c'è, prima non c'era e domani non ci sarà (così come si vede), tutto è, ultimamente, fatto di un Altro. Se tutto non c'e-ra, tutto è ultimamente fatto di Dio. Ma la questione non è qui (il problema è casomai che, per gli uomini, siccome tutto è ultimamente fatto di Dio, Dio è come se fosse quello che si vede: lo confondono e quindi lo dimenticano nella sua diversità). La vera questione è che Dio si è fatto uomo, perciò tutto è ultimamente fatto di Dio fatto uomo, cui posso dire “Tu”: “Ti riconosco, o Cristo”. Oppure, che è lo stesso: “Ti offro”, che vuol dire: “Quello che sto facendo è, ultimamente, fatto di Te. Mostrati in quello che sto facendo!” Dire: “Tutto è, ultimamente, fatto di Cristo” sembra astratto, invece questa è l'unica realtà, che niente vale ad eliminare, la cui concretezza è tale che fa reggere la vita e la morte, fa accettare il peso e godere della gioia, non lascia scappare al proprio sguardo neanche l'uccellino che cade per terra o il fiore che nasce nel campo, come per Gesù. Immaginiamo come a vent'anni Gesù guardava le cose: nulla gli sfuggiva (e ciò che vedeva lo rese oggetto delle sue parabole: per esempio, i bambini che giocano e gridano, così che gli altri i grandi si lamentano contro di loro. Allora i bambini piangono, e gli altri si lamentano che sono lamentosi. E i bambini insorgono: “Non siete mai contenti, né quando piangiamo né quando ridiamo”). Immaginiamo che sguardo aveva quell'uomo: un'affezione senza paragoni, che fa scattare quella parola inconcepibile alla donna che ha perduto il figlio. “Donna, non piangere”. Era una vedova che aveva perso il suo unico figlio. E lui le dice: “Donna, non piangere”. Ma come fa a dir così? Tutto assume una consistenza, una coerenza, un'attrattiva e una fruttuosità, un esito per cui si deve dire, alla fine, quello che diceva la Bibbia, sia pure nella traduzione latina: “ne impedias musicam”, non può ave-re freno (katechon) la musica. Tutto è realmente come una armonia. Chi è chiamato nel-la vocazione a vivere la vita come l'ha vissuta Lui (la verginità è la vita come l'ha vissuta Lui), è chiamato a rendere più gioioso il mondo, più lieta la vita di tutti e creativa, quindi, la propria vita. Chi ha subito l'urto di queste cose, chi, anche per poco, è stato toccato da questo annuncio, e se ne va, se ne va triste per sempre, come il giovane ric-co del Vangelo, perché non c'è nessuna verità se non questa. Così che la verità del cammino di mio padre e di mia madre, dei miei amici che hanno figli, visivamente dipende dalla verità del cammino di coloro che sono stati chiamati alla verginità.