Per comprendere meglio i contenuti di questo blog, si consiglia caldamente di leggere le pagine "Le origini di questo blog" e "La missione di questo blog" affinché le considerazioni (critiche) che vengono svolte nei post siano collocate nella giusta ottica e all'interno di una cornice di riferimento adeguata.

lunedì 28 settembre 2015

Non è Francesco!

Premessa

Con dolore ho pubblicato questo post, dopo un paio di giorni di riflessione. E poiché Lui ha detto: "Guardatevi dal lievito dei farisei, che è l'ipocrisia. 2 Non c'è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto." (Lc 2, 1-2) allora è bene che tutti sappiano e ciascuno si prenda le responsabilità del comportamento conseguente.
Proprio per questo il prossimo post sulla questione, probabilmente giovedì 8 ottobre, sarà sulle conseguenze.

Vizi procedurali?

Nel leggere un post di Maurizio Blondet, sono rimasto perplesso leggendo la dichiarazione di un canonista secondo il quale l'elezione di Bergoglio a Sommo Pontefice col nome di Francesco sarebbe regolare.
A dir la verità, il canonista si riferisce alle recenti notizie circa l'attività di un numero ristretto di cardinali, che per anni si è riunito in Svizzera (sembra sotto la guida del Cardinal Martini) per tentare di dare una svolta alla Chiesa, cercando di "adeguarla" ai tempi moderni, indicando per tempo il candidato adatto su cui far convergere le proprie preferenze in Conclave.
Giustamente, al di là delle considerazioni morali, per tale evenienza non c'è invalidità dell'elezione. Ma alla fine il canonista aggiunge:
"Anche eventuali  vizi procedurali dell’elezione, dei quali si è occupato il Socci, possono avere rilievo solo se qualche interessato (ovvero elettore) li abbia fatti valere. Il che è positivamente escluso, non esistendo rifiuti di prestare obbedienza da parte di alcun porporato".
Io non so davvero dove dal CIC o da quale altro documento si possa arguire che "i vizi procedurali possono avere rilievo solo se qualche interessato li abbia fatti valere". Non sono d'accordo con il "solo se" e provo a fare un esempio.

Gli atti delle votazioni sono registrati e secretati: solo un Papa può sciogliere tale segretezza. Un prossimo Papa potrebbe visionarli e poi pubblicamente annunciare che quel Papa passato non è stato validamente eletto e i suoi atti di governo non sono validi. E quindi dichiarare decaduti e nulli tutti i Motu Propri del pontefice non valido. Ma non sarebbero nulli perché così vuole il nuovo Papa. Sarebbero nulli nel momento in cui il nuovo Papa riconosce non valida l'elezione del Pontefice precedente, a norma di diritto canonico. Quindi non è vero che i vizi procedurali avrebbero rilievo solo se qualche interessato (ovvero elettore) li avesse fatti valere.

I pareri possono cambiare nel tempo!

Lo stesso Socci ha ricordato che "dubius papa habetur pro non papa" (nel dubbio non si ha il papa) mentre la canonista Geraldina Boni sul sito www.chiesa di Sandro Magister ha ricordato che la canonistica ha costantemente insegnato che la "pacifica universalis ecclesiae adhaesio" è segno ed effetto infallibile di un’elezione valida e di un papato legittimo (come dire: se tutti lo riconoscono Papa, allora è il Papa).

La questione gravissima che nessuno sembra avere notato (almeno io non l'ho letto da nessuna parte), è che il dubbio di Socci e la "pacifica adhaesio" della Boni possono cambiare nel tempo: oggi tutti possono ritenere Papa Francesco validamente eletto, domani... vedremo! Soprattutto se certi dubbi e le loro ragioni diventano di pubblico dominio.

Sui numerosi rilievi fatti da Socci (soprattutto nel suo volume "Non è Francesco", oltre che nel suo blog), si potrebbe obiettare che sono basati sui "si dice"; una obiezione debole, poiché i fatti sono stati dettagliati e pubblicati (e mai smentiti!) da una giornalista grande amica di Bergoglio, in un volume in cui descrive il personaggio Bergoglio. Socci ha ripreso quei fatti per verificare la validità della sua elezione a Sommo Pontefice.
Ma di fatto non sappiamo cosa sia successo nel Conclave. Rimangono solidissime ipotesi, ma pur sempre ipotesi.

Dico questo, perché non c'è bisogno di sapere cosa è accaduto veramente ciò che per oggi è secretato: c'è un fatto, accaduto sotto gli occhi di tutti e non smentibile, che a mio modestissimo parere invalida completamente l'elezione. Il fatto che il Conclave sia iniziato il 12 Marzo, mentre la sede vacante sia iniziata il 28 febbraio: cioè il fatto che il Conclave sia iniziato ben prima dei 15 giorni completi che devono passare dal giorno della sede vacante, come richiesto dalla norma stabilita da un Papa, quindi non abrogabile né modificabile, nemmeno da un collegio di cardinali.

Le norme che regolano in maniera precisa e puntuale (almeno per tutti gli aspetti decisivi) le procedure del Conclave sono contenute nella Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis (promulgata da San Giovanni Paolo II), poi modificate in qualche punto da Benedetto XVI con il Motu Proprio Normas Nonnullas.

L'attesa di 15 giorni

Il delicato punto in questione, cioè l'inizio del Conclave, è dettato dall'articolo 37: "Stabilisco inoltre che, dal momento in cui la Sede Apostolica sia legittimamente vacante, i Cardinali elettori presenti debbano attendere per quindici giorni interi gli assenti..."

Quindi, occorre aspettare gli assenti. Ora però occorre comprendere bene anche il contesto nel quale l'articolo è pubblicato, per comprenderne meglio tutta la portata. Questo è il testo in questione.
37. Stabilisco inoltre che, dal momento in cui la Sede Apostolica sia legittimamente vacante, i Cardinali elettori presenti debbano attendere per quindici giorni interi gli assenti; lascio peraltro al Collegio dei Cardinali la facoltà di protrarre, se ci sono motivi gravi, l'inizio dell'elezione per alcuni altri giorni. Trascorsi però, al massimo, venti giorni dall'inizio della Sede Vacante, tutti i Cardinali elettori presenti sono tenuti a procedere all'elezione.
38. Tutti i Cardinali elettori, convocati dal Decano, o da altro Cardinale a suo nome, per l'elezione del nuovo Pontefice, sono tenuti, in virtù di santa obbedienza, ad ottemperare all'annuncio di convocazione e a recarsi al luogo designato allo scopo, a meno che siano trattenuti da infermità o da altro grave impedimento, che però dovrà essere riconosciuto dal Collegio dei Cardinali.
39. Se però dei Cardinali elettori arrivassero re integra, cioè prima che si sia provveduto ad eleggere il Pastore della Chiesa, essi saranno ammessi ai lavori della elezione, al punto in cui questi si trovano.
Direi che tutto è chiaro: è stabilito dall'autorità del Sommo Pontefice che "si debbano attendere quindici giorni interi gli assenti"; quindici giorni dall'inizio della sede vacante. Ma in ogni caso, dopo venti giorni, il Conclave avrà inizio.
Chi ha un grave impedimento, lo comunicherà, in modo che il Collegio Cardinalizio si sappia regolare se attendere oppure no.
La norma evidentemente intende tutelare chi viene da molto lontano, ma intende tutelare anche il popolo di Dio evitando che un Cardinale, per oscuri motivi, ritardi il proprio arrivo a Roma per procrastinare sine die il Conclave e l'elezione del Sommo Pontefice.

La modifica di Ratzinger

L'articolo 37 è stato modificato da Papa Benedetto XVI con il motu proprio Normas Nonnullas. Il nuovo testo dice così:
n. 37. “Ordino inoltre che, dal momento in cui la Sede Apostolica sia legittimamente vacante, si attendano per quindici giorni interi gli assenti prima di iniziare il Conclave; lascio peraltro al Collegio dei Cardinali la facoltà di anticipare l’inizio del Conclave se consta della presenza di tutti i Cardinali elettori, come pure la facoltà di protrarre, se ci sono motivi gravi, l’inizio dell’elezione per alcuni altri giorni. Trascorsi però, al massimo, venti giorni dall'inizio della Sede Vacante, tutti i Cardinali elettori presenti sono tenuti a procedere all'elezione.”
Questo in grassetto è il nuovo punto critico: i Cardinali possono anticipare, se sono tutti presenti. Ora il problema è che il 12 marzo 2013 c'erano due assenti. Uno per motivi di salute e in età avanzata, l'altro perché da circa un anno si era ritirato dal ministero attivo (crisi morale? crisi spirituale?). Ma rimaneva cardinale elettore.
Su tale delicato punto è intervenuto, sul sito di Socci, Guido Ferro Canale secondo il quale l'inizio anticipato del Conclave non è motivo di nullità, poiché l'articolo 5 così recita:
5. Qualora sorgessero dubbi circa le prescrizioni contenute in questa Costituzione, o circa il modo di attuarle, dispongo formalmente che ogni potere di emettere un giudizio al riguardo spetti al Collegio dei Cardinali, cui pertanto attribuisco la facoltà di interpretarne i punti dubbi o controversi, stabilendo che quando occorra deliberare su queste ed altre simili questioni, eccetto l'atto dell'elezione, sia sufficiente che la maggioranza dei Cardinali congregati convenga sulla stessa opinione.
Quindi, secondo il Canale, il Collegio dei Cardinali ha fatto uso di questa norma per decidere di anticipare il Conclave. Ma mi pare che qui vi siano due gravi difetti.

Il primo è che per decidere, secondo tale norma, occorra il Collegio dei Cardinali, non solo gli elettori. Quindi tale decisione doveva essere presa da tutti i centosessanta Cardinali, non dai 117 elettori o dai 115 presenti a Roma il 9 marzo. Ad oggi il Collegio Cardinalizio è composto da 219 cardinali, di cui 101 non elettori.
Ma non basta.

Commenta il Canale: "Ma allora si potrebbe, in linea di principio, rimandare l'ingresso in Conclave per attendere uno o due malati che, nel frattempo, fossero guariti e stessero annunciando l'arrivo. Altrimenti detto: una volta che l'impedimento sia stato riconosciuto, si può procedere oltre. A mio avviso, anche anticipando l'apertura del Conclave: inutile attendere chi ha già detto che non verrà, con ragioni valide e riconosciute tali. Casomai arrivasse, potrebbe entrare comunque. Ergo, deve prevalere la preoccupazione dominante: quella di provvedere in fretta all'elezione".

Quattro gravi problemi

Primo: non si può cambiare

Ora, con tutto il rispetto per Canale, più che i suoi avvisi valgono le norme. E qui la norma è chiara, si anticipa il Conclave se sono presenti tutti.
La citazione dell'Articolo 5 non mi sembra corretta per due motivi. Il primo è che gli articoli hanno un ordine, che è anche un ordine di importanza e prevalenza relativa. Come nella Costituzione italiana l'art. 1 non è uguale al 100, allo stesso modo nella Universi Dominici Gregis il 4 prevale di poco sul 5. E recita il 4:
4. Durante la vacanza della Sede Apostolica, le leggi emanate dai Romani Pontefici in nessun modo possono essere corrette o modificate, né si può aggiungere o detrarre qualche cosa o dispensare sia pure da una parte di esse, soprattutto per quanto riguarda l'ordinamento dell'elezione del Sommo Pontefice. Anzi, se accadesse eventualmente che sia fatto o tentato qualcosa contro questa prescrizione, con la mia suprema autorità lo dichiaro nullo e invalido.
Quindi, interpretato alla lettera, tutto ciò che è accaduto prima del 15 marzo, a norma di questo articolo, è nullo e invalido. Parola di Papa Benedetto XVI.

Secondo: inutile attesa?

L'altra questione delicata è che, come dice Canale, sia "inutile attendere". Ma lo stesso Canale ammette (come è doveroso ammettere, perché le condizioni possono cambiare) che "casomai arrivasse, potrebbe entrare comunque". Sorprende che qui non si consideri che allora non è "inutile attendere", non tanto perché due elettori in più avrebbero fatto vincere un altro Cardinale, ma soprattutto perché con due elettori in più cambia il quorum necessario per l'elezione.
Con 115 elettori, il quorum è di 77, con 117 i due terzi del quorum fa 78.
Iniziando il Conclave il 12 marzo, si è di fatto impedito ai due Cardinali mancanti di arrivare il 15 e partecipare regolarmente a tutte le votazioni. No, non era inutile attendere. A norma di diritto tale caso non doveva succedere nemmeno potenzialmente.

Terzo: quanta fretta!

Infine c'è il terzo aspetto osservato dal Canale: il fatto che dovesse prevalere la preoccupazione dominante, cioè di provvedere in fretta all'elezione.
Ma il citato articolo 37 disciplina proprio questa "fretta": impedisce positivamente di iniziare troppo presto (tranne che siano tutti presenti) e comanda di iniziare entro venti giorni. Quindi la questione della fretta è già affrontata e risolta dal Sommo Pontefice, non può essere ridiscussa e modificata dal Collegio dei Cardinali.

Quarto: quali dubbi?

E nemmeno può essere utilizzato l'articolo 5, non solo perché l'articolo 4 impedisce modifiche, ma perché l'articolo 5 si deve applicare ai casi dubbi ("Qualora sorgessero dubbi...") e non alle cose certe. Lo riconosce anche Canale, nella nota 30 del pezzo sul sito di Socci: "... non sarebbe comunque ammissibile un'interpretazione che, di fatto, modifica il testo normativo".
Qui non abbiamo dubbi: abbiamo una regola ("si attendano per quindici giorni interi") e abbiamo una eccezione con due condizioni ("se sono tutti presenti, se la maggioranza è d'accordo, allora si anticipa").
Imboccare la strada per cui le condizioni sono facoltative, è contrario al diritto e conduce a conclusioni inaccettabili: se diventa oggi facoltativo che siano tutti presenti, domani potrebbe diventare facoltativo, per pura ipotesi, che siano d'accordo in maggioranza.

"MORA SIT INTERPONENDA"

Ma mi pare che vi sia un altro punto critico che fissi di fatto un ostacolo insormontabile. Il punto critico è comprendere le ragioni del perché la norma stabilisce che "si attendano quindici giorni". E questo ben lo poteva sapere un esperto di Conclavi vissuti come Papa Ratzinger. Il tempo è dato affinché i cardinali possano dialogare tra loro, conoscersi, scambiare le proprie idee sul momento storico e iniziare a valutare chi può essere il candidato più adatto.
I quindici giorni non sono solo un momento di attesa dell'arrivo di tutti gli elettori, ma soprattutto un momento di dialogo e riflessione perché ciascuno possa verificare e approfondire le proprie riflessioni.
Il già citato articolo 37 sembra puntare l'attenzione solo sull'attesa di chi deve arrivare: "si attendano per quindici giorni interi gli assenti prima di iniziare il Conclave".
Ma non è questo il testo valido per la norma; il testo valido è nella sua versione latina.
"37. Praecipimus praeterea ut, ex quo Apostolica Sedes legitime vacat, antequam Conclave incohetur, mora sit interponenda quindecim solidorum dierum, facta tamen Cardinalium Collegio potestate Conclavis initium anticipandi, si constat omnes Cardinales electores adesse"...
Il passaggio decisivo è proprio questo: "mora sit interponenda quindecim solidorum dierum". Letteralmente: "si interponga una pausa di quindici giorni interi". E gli "assenti" della traduzione italiana sono spariti! Non ci sono assenti da attendere!
Qui è evidente che la preoccupazione del legislatore (Papa Benedetto XVI) è quella che tutti abbiano il tempo sufficiente per conoscersi, parlarsi e maturare con calma la propria decisione. Il testo in questione è stato promulgato il 22 febbraio 2013, quindi Ratzinger ha ben presente la dinamica e la tecnologia dei tempi moderni, cioè una situazione nella quale, anche con preavviso minimo, nel giro di due o tre giorni chiunque può essere a Roma. Quindi rimangono dieci giorni abbondanti per conoscersi tutti, avendo fretta nel muoversi. Ma molti già si conoscono, quindi arriveranno a Roma anche con calma, avendo comunque tutto il tempo per dialogare.
Se il criterio dominante fosse quello della fretta, Ratzinger poteva scrivere che "qualora fossero tutti presenti, allora si deve iniziare il Concilio". Ma non ha voluto così, non ha scritto così. Perché, come detto, per arrivare a Roma bastano due giorni al massimo da qualsiasi parte del mondo.
Facciamo l'ipotesi che con l'ultimo che arriva si inizia il Conclave.
L'ultimo che arriva, se la norma è quella di iniziare quando sono arrivati tutti, rimarrà sempre fregato, perché non avrà avuto il tempo di dialogare prima dell'inizio, al contrario degli altri. Quindi quelli che sono a Roma e dintorni, arrivano prima e dialogano di più, inoltre conoscendosi già. Mentre i più lontani, essendo lontani non conoscono quasi nessuno e hanno meno tempo di tutti per dialogare e conoscersi.
Proprio per attenuare questo fenomeno inevitabile, sono posti quindici giorni di pausa, per dare tempo anche ai più lontani di riposarsi dal lungo viaggio, ambientarsi e avere il tempo di dialogare.
Papa Benedetto XVI inoltre ha voluto rimandare al Collegio Cardinalizio la decisione di un possibile anticipo dell'inizio del Conclave, quando siano presenti tutti gli elettori, proprio perché solo i cardinali possono sapere se hanno già le idee chiare e, magari, sono tutti d'accordo su chi votare. Ma se l'incertezza permane, è doveroso che essi abbiano il tempo di pensarci e chiarirsi le idee.
Quindi, il criterio prevalente dev'essere quello di dare il tempo adeguato ai Cardinali, piuttosto che quella di "provvedere in fretta all'elezione".
Per questo il Papa non ha comandato di iniziare il Conclave quando siano presenti tutti. E per questo ha comandato MORA SIT INTERPONENDA, cioè di fare una pausa di 15 giorni interi. Cioè, vista la vacanza del Soglio Pontificio dalle ore 20 del giorno 28 febbraio, dovevano passare 15 giorni interi e quindi sarebbe dovuto iniziare il 16 marzo. A meno che non siano già tutti presenti e non siano già d'accordo in maggioranza.

Conclusione

A questo punto bisogna chiedersi: chi ha deciso di iniziare prima il Conclave? Il Collegio Cardinalizio? Ma il Collegio aveva a quel punto due possibilità. O attendere i due assenti, o attendere i 15 giorni. Non ci sono alternative. O meglio, l'alternativa è quella di ricadere sotto il già visto articolo 4 e quindi di rendere nullo tutto!
"Durante la vacanza della Sede Apostolica, le leggi emanate dai Romani Pontefici in nessun modo possono essere corrette o modificate". E ovviamente non si può interpretare una legge che inizia con "Stabilisco che..." (art. 37).
La considerazione che tanto sostanzialmente non sarebbe cambiato nulla è razionalmente e giuridicamente inaccettabile. Infatti, se "non sarebbe cambiato nulla" allora non doveva essere fatto!
E se non cambiava nulla sostanzialmente, lo cambiava però formalmente. E nel diritto, la forma è la sostanza.
Purtroppo questo è quello che hanno fatto. Hanno avuto fretta e, a norma dell'articolo 4, il Conclave, addirittura concluso prima del quindicesimo giorno intero, è nullo e invalido.
Detto questo, c'è da dire che, per quello che ne sappiamo oggi, il Cardinal Bergoglio ha subito questa nullità.


domenica 20 settembre 2015

La Grande Confusione

Negli esercizi della Fraternità di quest'anno è presente un passaggio molto importante per comprendere la confusione attuale.
Il brano a cui mi riferisco è alle pagine 40-42 del libretto. Queste pagine analizzano il punto c) "formalismo e la stasi della novità" della parte dedicata alle conseguenze del "crollo delle certezze" (incontro del Sabato mattina). Il punto c) si svolge in tre punti:

  1. stanchezza e perdita del gusto della vita nuova
  2. confusione sulla presenza
  3. confusione sulla natura del movimento

Sul terzo punto l'analisi è stringente e oggettiva.
Nello stesso mese di settembre 1976, durante un raduno di responsabili a Collevalenza, don Giussani mette davanti a tutti la “fotografia” sconfortante di che cosa accade quando prevale il formalismo: «Il movimento resta una cosa tremenda: invece che mobilitare la vita e convertirla è una montagna di condizionamenti». Al contrario, aggiunge, il movimento è «un Avvenimento da creare, non una organizzazione da pensare [...] sei in gioco tu». Qui don Giussani non usa mezze misure: «L’essenza della questione non implica che si debba essere in cinquanta, ne bastano due» (A. Savorana, Vita di don Giussani, pp. 485-486).
Il testo passa subito dopo ad una citazione del Gius contro il formalismo. Ok.
Poi passa a citare il discorso di Papa Francesco a CL.
 «Dopo sessant’anni, il carisma originario non ha perso la sua freschezza e vitalità. Però, ricordate che il centro non è il carisma, il centro è uno solo, è Gesù, Gesù Cristo!»
Il seguito da questo punto sul discorso del Papa, non riportato dal testo, attacca con la parte confusa sul fatto di "essere decentrati". Lo riporto per chiarezza.
Quando metto al centro il mio metodo spirituale, il mio cammino spirituale, il mio modo di attuarlo, io esco di strada. Tutta la spiritualità, tutti i carismi nella Chiesa devono essere “decentrati”: al centro c’è solo il Signore! 
 Il passaggio desta molte perplessità, poiché ogni carisma è precisamente la modalità particolare con cui Cristo, in un certo momento della storia, chiama degli uomini concreti e fa sorgere una modalità più efficace in funzione della missione della Chiesa. Quindi per definizione ogni carisma riconosciuto dalla Chiesa lavora e opera sempre nell'ambito della Chiesa. Per uscire dalla Chiesa, bisognerebbe comunque uscire dal carisma particolare. Ma finché si rimane fissi e centrati nel carisma, non si può uscire dalla Chiesa! Se ci fosse un modo per essere centrati sul carisma e decentrati rispetto a Cristo, questo sarebbe un allontanamento dal carisma (oppure il carisma non sarebbe vero!).
Il termine "essere decentrato" difficilmente in un discorso ha una connotazione positiva.
Inoltre non si capisce davvero come sia possibile "uscire di strada" se "io metto al centro il mio metodo spirituale, il mio cammino spirituale". Non è possibile, per un carisma riconosciuto dalla Chiesa.
Insomma, nel linguaggio del Papa, il ragionamento non torna. Ad essere benevoli, è confuso.

Vediamo come continua il discorso nel testo degli Esercizi.
È ciò a cui don Giussani ci ha instancabilmente richiamato, riportandoci, da quello che noi consideravamo il carisma, al carisma nella sua natura originale. Noi abbiamo imparato il carisma dalla modalità con cui Giussani ci decentrava dalla riduzione che storicamente ne avevamo operato. 
Senza citazioni. Io sono in CL dalla metà degli anni '80 e ho letto tanto: ma la parola "decentramento" nei testi di Giussani non mi pare di averla mai letta.
Il testo degli Esercizi poi prosegue con il discorso del Papa ("...museo di ricordi...") quindi passa a due citazioni di Papa Giovanni Paolo II come se fossero discorsi comprovanti lo stesso ragionamento sull'essere decentrati; ma in quelle citazioni non c'è nessuna termine, nemmeno per metafora o con altri termini, riguardo il "decentramento". Quindi il testo riporta:
"Abbiamo bisogno di una presenza nel presente che ci decentri da noi stessi per riportarci a Cristo, abbiamo bisogno cioè del riaccadere continuo del primo incontro..."
Ma dobbiamo essere decentrati sul carisma o decentrati su noi stessi? La confusione regna sovrana anche qui?
Poi inizia il paragrafo 3 dal titolo "La generazione dell'adulto". E la confusione continua.
"Solo così, se cioè accettiamo di imparare, se ci lasciamo decentrare, possiamo rispondere al compito che il Papa ci ha assegnato...  Come possiamo adempiere a questo mandato? Il Papa ce l’ha detto: solo «centrati in Cristo». Tale e quale a don Giussani: «Quando si è spalancati a quello che è accaduto e che accade nel mondo, cioè a Cristo, [...] allora il cuore si dilata».60 «Seguire Cristo, amare in tutto Cristo: è ciò che deve essere riconosciuto come la caratteristica principale del nostro cammino.»"
"Tale e quale" un bel niente! Anzi, il Giuss, con l'ultima frase, rende chiaro che il cuore del movimento è Cristo stesso; quindi essere centrati sul carisma e non su Cristo è impossibile!
Lo stesso testo degli Esercizi più avanti, a pagina 50, riporta un'altra citazione del Gius: "La nostra identità è l'essere immedesimati con Cristo." Allora com'è possibile essere centrati sul carisma e non su Cristo?

sabato 19 settembre 2015

Profughi? 6 milioni in arrivo. Forse.

Odio dire che l'avevo detto. Allora lasciamo stare e diciamo quello che sta venendo fuori oggi.
L'articolo è sul web, dal sito del quotidiano ilgiornale.it.
Ma titolo a parte, nel pezzo si dice chiaramente di una informativa di certi servizi di informazione della UE. Quindi una fonte attendibile. E dice che "...in totale una massa di 10milioni e 800mila persone pronte a muoversi verso i confini di Ankara e tentare il passaggio verso l'Europa".
I sei milioni sarebbero solo per il prossimo anno.
Ma forse si sbagliano.
Perché la crisi (economica e politica, in attesa che diventi crisi militare) è ancora lunga.
Forse saranno molti di più.
Occorre prepararsi.
Prepararsi ad accogliere. Perché l'alternativa (all'accoglienza e quindi alla gratitudine di chi viene accolto) è la diffusione della disperazione e la delinquenza.
Qui si vedrà se veramente siamo uomini. Se siamo italiani. Se siamo cristiani.
L'accoglienza non sarà facile, non sarà automatica la gratitudine di chi viene accolto (come già stiamo vedendo).
Ma l'alternativa è peggio.
E quale sarebbe poi l'alternativa? Se ci sono, li lasciamo per strada? Li lasceremo in balia delle intemperie (atmosferiche e morali)? In balia della delinquenza per disperazione?

martedì 8 settembre 2015

Il Matrimonio tradito

Da mesi sul blog di Sandro Magister (http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/ ) si è acceso un dibattito sul tema della concessione del Sacramento dell'Eucarestia ai divorziati risposati.
Un tema caldissimo, anche perché probabilmente sarà il tema cardine del prossimo Sinodo di ottobre.
A fronte dei brani del Nuovo Testamento chiarissimi in materia ("Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio" Mc 10,11-12; "Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna" (1Co 11, 27-29) si leggono le tesi più bizzarre.
Io stesso, alcune sere fa, in una cena in cui non conoscevo la maggior parte degli invitati, sono stato apostrofato dal mio vicino di sedia: "Ma come?! Occorre essere misericordiosi!". Dimenticando che perdono e misericordia pretendono il dolore del peccato e il proponimento di non peccare più.
Spesso si ritiene che la richiesta della Chiesa di uscire dalla condizione di unione con una nuova donna sia eccessivamente dura e impraticabile. Ma occorre riflettere con calma su questo punto.
Immaginiamo il caso di un matrimonio in cui l'amore tra i due sposi venga meno. E immaginiamo che l'uomo trovi improvvisamente l'amore con un'altra donna e questa gli chieda di chiudere l'esperienza precedente e convolare con lei a nuove nozze.
Se tale richiesta dovesse essere considerata legittima in virtù di un amore (il primo) che non c'è più e per dare compimento ad un nuovo (o più grande) amore, allora occorrerebbe presupporre che la storia si possa ripetere: cioè anche nel secondo caso l'amore potrebbe finire (o non essere più così intenso) e l'uomo potrebbe trovare un nuovo amore e decidere di lasciare la seconda moglie per una terza donna.
Se tutto ciò dovesse essere considerato moralmente accettabile, non si capisce perché la Chiesa sarebbe esagerata nella sua richiesta se chiedesse, anche lei, in virtù di un grande amore verso il sacramento dell'Eucaristia, di lasciare la condizione attuale per unirsi a Cristo nel sacramento.
Così ai sostenitori dei divorziati risposati non rimane che arrampicarsi sugli specchi; come accade anche all'autore di una lettera pubblicata da Magister il quale arriva ad affermare con sicumera: "La verità è che si è sovraccaricato di senso il sacramento del matrimonio".
Non si capisce chi e dove abbia sovraccaricato cosa. E soprattutto non si capisce in base a quale criterio si possa considerare "sovraccaricato di senso" un certo argomento.
Si arrampicano sugli specchi, ma finiscono con lo scivolare e sbattere contro un altro versetto del Vangelo.
"Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto.
E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei...
... Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!" (Ef 5, 22-32).
Abbiamo trovato il colpevole: San Paolo ha sovraccaricato di senso il rapporto tra marito e moglie!
Come ha notato l'autore di un'altra lettera pubblicata da Magister, il numero dei matrimoni è in continuo calo, così pure quello dei matrimoni religiosi. E occuparsi così tanto dei divorziati (dopo matrimonio religioso) risposati e che desiderino pure il sacramento dell'Eucaristia è la nicchia di una nicchia in costante diminuzione.
Il vero obiettivo non è quello di occuparsi di una nicchia, ma di creare confusione tra i credenti.

venerdì 4 settembre 2015

Unità e libertà

Un interessante articolo su Culturacattolica.it ripropone l'eterno dilemma del rapporto tra unità e libertà, contestualizzandolo con la trasformazione che sta avvenendo in CL in questi tempi. Lo svolgimento dell'articolo è interessante e le argomentazioni corrette, ma credo meritino un approfondimento perché mi pare non completamente sviluppato quello che io considero il cuore della questione.
Qual'è il rapporto tra libertà e unità? Quale dei due deve prevalere?
Allora dico subito che l'unità è una funzione, mentre la libertà è un fine. Lo manifesta anche il Vangelo di Giovanni: "Se rimanete nella mia parola, sarete veramente miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi renderà liberi" (Gv 8,31-32).
Che l'unità sia in funzione di altro è reso evidente anche dalla preghiera finale di Gesù: "...che tutti siano uno come tu, Padre, sei in me e io in te, affinché siano anch'essi in noi, così che il mondo creda che tu mi hai mandato" (Gv 17,21). Qui l'unità è evidentemente in funzione della missione.
Peraltro la richiesta di unità è un'occasione di libertà. Quando c'è questa richiesta, la libertà si mette in modo e l'uomo compie una scelta. Si mette in moto quel meccanismo umano per cui ci si assume la responsabilità di un comportamento, tipicamente una rinuncia in funzione di un obbiettivo più grande.
Ma la materia deve essere proprio questa: un obiettivo più grande.
Se non c'è un obiettivo più grande (o non lo si riconosce), in coscienza è doveroso cercarlo altrimenti e disattendere il richiamo all'unità.
Il vero nodo della questione è quindi quello di prendersi una responsabilità: la responsabilità di perseguire un obiettivo più grande. E questo deve essere fatto in coscienza, sia quando si aderisce ad una richiesta di unità, sia quando invece si sceglie responsabilmente un'altra strada.
Il problema vero è quindi quello della responsabilità, poiché in mancanza di questa falliscono sia una libertà illusoria, che pensa di poter decidere autonomamente quando essere uniti e quando no, sia una unitarietà acritica, perché non guadagna nessun merito se la guida non sbaglia ma ci trasforma da pecore in pecoroni quando chi guida sbaglia.
Questo è il motivo fondamentale della celebre battuta del Beato cardinale Newman: "Brindo al Papa, ma prima brindo alla mia coscienza".