Per comprendere meglio i contenuti di questo blog, si consiglia caldamente di leggere le pagine "Le origini di questo blog" e "La missione di questo blog" affinché le considerazioni (critiche) che vengono svolte nei post siano collocate nella giusta ottica e all'interno di una cornice di riferimento adeguata.

martedì 31 luglio 2018

Il miracolo più grande: l'unità

Carissimo Massimiliano (mi permetto di darti del tu, anche se non ci conosciamo),
il tuo intervento di due giorni fa merita una considerazione ed un approfondimento maggiore di quello che può permettere una risposta su Facebook. E merita una risposta perché arriva ad un punto nevralgico della questione: come perseguire e ottenere (o riottenere) quella unità che ha permesso la realizzazione di meravigliosi eventi come quelli del Family Day?
Mi permetto di dire che a me pare evidente, così come mi è parso evidente l'origine dei problemi di questi ultimi due anni. Ovviamente non sono più intelligente degli altri ad aver visto questo difetto di origine: come al solito siamo tutti bravissimi a vedere la pagliuzza negli occhi degli altri e non il trave nel nostro occhio.

Il "difetto originario" è stato quello di considerare gli eventi del Family Day come un fatto normale, come il risveglio di un popolo finora addormentato o incapace di uscire dal guscio, magari con l'occasione giusta e per le motivazioni giuste (i valori non negoziabili!), invece che un eccezionale MIRACOLO!

Travolti dall'entusiasmo di quanto era accaduto (addirittura due eventi eccezionali nel giro di sei mesi, con una partecipazione crescente!) tutti si sono illusi che il miracolo dell'unità fosse un dato ormai assodato, scontato, ripetibile a piacimento senza particolari difficoltà.
Tutti si sono dimenticati che l'unità è un miracolo di Dio così grande che persino Gesù prega il Padre affinché quelli che crederanno in lui "siano uno" (Gv, cap. 17). E l'invito all'unità percorre tutti gli scritti cristiani ("non c'è più giudeo o greco, schiavo o libero, uomo o donna...") perché la condizione normale del cristiano è la divisione. Dal tempo dei discepoli, che si dicevano "io sono di Paolo" o "io sono di Pietro", la storia cristiana è tutta attraversata da divisioni a volte laceranti.

Ma come nasce la divisione? E come si realizza "facilmente" il miracolo dell'unità? Basta guardare in faccia ai fatti, agli episodi, del nostro tempo e pure del tempo di Gesù. Quando il popolo ha fame e Gesù lo sfama con la moltiplicazione dei pani e dei pesci, non c'è alcuna divisione, non c'è alcuna organizzazione e tutto si svolge nella più semplice armonia. Quando c'è la fame, la miseria, la sofferenza allora siamo tutti uniti "facilmente" dalla stessa condizione umana ed esistenziale.

La divisione nasce quando l'uomo viene impegnato nel giudizio. Fin dal tempo di Gesù, quando annunciava la necessità di mangiare la sua carne e bere il suo sangue per avere la vita. Quelli intelligenti se ne vanno: e quelli che rimangono non sono più intelligenti, semplicemente sono quelli che ammettono la loro ignoranza. Ma Gesù disprezza e vuol perdere i più intelligenti? Gesù ama e predilige solo i fanatici e gli stolti? Assolutamente no, ovviamente no. Gesù stesso provoca il giudizio umano, ma invita chiaramente a non fermarsi ad esso, invita a mantenere il giudizio ma a non farsi bloccare da questo. Soprattutto il giudizio differente non può e non deve impedire l'unità.

La politica è divisiva? No, la vita è divisiva e l'esempio più clamoroso sono proprio i cristiani (cattolici, ortodossi e protestanti). Tutta la storia del cristianesimo è attraversata da queste divisioni. Persino quando c'era la Democrazia Cristiana, i cattolici erano radicalmente divisi nelle sue correnti. Il vano tentativo di evitare le divisioni impedendo dall'alto la formazione delle correnti (ogni riferimento a Forza Italia è puramente voluto) serve solo a mascherare e nascondere la realtà delle inevitabili divisioni e finisce per provocare le più traumatiche scissioni o "tradimenti" (vedi Bossi, Fini, Alfano...) o abbandoni dei più intelligenti e capaci nel loro compito (Tremonti e altri). Le più recenti vicende sono solo un dettaglio di questa lunga storia.

Su questo tema il giudizio di don Giussani è drammatico e illuminante allo stesso tempo:
"Ma l’unità deve essere fatta sulle esigenze, sulle domande che le esprimono, o piuttosto sulle risposte che a queste domande si riconoscono? L’unità può essere fatta sulle esigenze? No, e questo è il punto esatto in cui il potere gioca tutto. L’unità, infatti, può essere costruita solo sulle risposte che si riconoscono.
Pensiamo al Pascoli, la bella poesia I due fanciulli, oppure a Il focolare: l’unità è fondata sul bisogno comune, sullo smarrimento comune, ma ciò non può impedire che molti si stacchino dagli altri e vadano via bestemmiando i compagni. Una unità fondata sulle esigenze, sulle domande, e non sulle risposte conosciute non è un’unità che unisca.
Peggio, una unità fondata, dunque ricercata, sulle incertezze e sulle indigenze, sulla necessità di far fronte a un potere avverso, di superare certe circostanze, una unità fondata sul riconoscimento di limiti che bisogna oltrepassare: ecco, il potere si costruisce a questo punto."
Questo precisamente è il nostro "peccato d'origine", il peccato del Family Day: un richiamo forte contro il comune nemico, la teoria gender. Una volta c'era il pericolo del comunismo, per cui il popolo cristiano si è ritrovato facilmente unito per combattere contro il nemico comune: prima nella Democrazia Cristiana e poi in Forza Italia.
Quando poi si è vinto il nemico e si tratta di agire per il bene, cioè di giudicare e di prendere iniziative concrete, allora rispuntano fuori tutte le divisioni.
Quante volte, per chi ha seguito per anni don Giussani, si è sentito dire che l'unità è impossibile persino tra l'uomo e la donna? Perché l'unità è un MIRACOLO, un grandissimo miracolo.

E allora che fare? Tu dici:
"E allora che fare? Intanto chiediamo che i nostri leader carismatici tornino a sedersi intorno ad un tavolo e magari stilino una "carta dei valori" più inclusiva possibile in cui riconoscersi tutti o quasi e da lì verificare le varie attitudini: politiche, sociali e culturali."
Carissimo Massimiliano, questo è proprio quello che non bisogna fare. Non solo per il rischio concretissimo di passare da una bellissima idea ad una ideologia (buonissima per l'oggi ma dopodomani già stretta). Ma soprattutto perché la nostra "carta dei valori" l'abbiamo già ed è Gesù in persona, anzi la Persona di Gesù. Per tutto il resto, il criterio perenne del cristianesimo è la libertà. E su questo passaggio una parola chiarificatrice l'ho trovata dall'inarrivabile don Giussani:
"Idealmente noi dobbiamo tendere all’unità anche in politica, perché i cristiani debbono tendere all’unità in tutto, dato che sono un corpo solo. Perciò è un dolore non trovarsi dello stesso parere, non un diritto conclamato sconsideratamente. È dolorosa, anche se tante volte inevitabile, la diversità, e bisogna essere tutti tesi a scoprire il perché il fratello la pensa diversamente e comunicargli nel modo migliore i motivi della propria convinzione, nella ricerca dell’unità....
È tanto semplice: Cristo con il battesimo ti assume, così che siamo membra gli uni degli altri. È una cosa dell’altro mondo, ma questa è l’unità cristiana. Se tutti siamo una cosa sola non possiamo non cercare di esprimerci concordemente. E perciò ci raduniamo in azione unitaria. Se uno non se la sente o non ci fossero le condizioni, è un dolore non poterlo fare, non un diritto da sbandierare!"
(da Tempi.it)
L'unità tanto agognata è letteralmente ad un passo da noi! Tutti noi oggi siamo già uniti dal dolore della mancanza di unità e proprio questo dolore può essere la prima fonte della ritrovata unità.

L'unica cosa che occorre è il riconoscimento di questo reciproco dolore e la tensione amorosa (per amore di Cristo) a trovare tutte le occasioni di questa unità, che oggi nel dolore mostra la sua radice più profonda; più profonda di qualsiasi diversità di giudizio si possa avere nella contingenza delle situazioni.

La statura dell'uomo è l'uomo capace di abbracciare la croce, capace di abbracciare il dolore, perché tra tutte le esigenze umane (giustizia, verità, amore, libertà, ecc.) l'esigenza del dolore è la più misconosciuta ma la più necessaria, perché indispensabile a tutte le altre. L'esigenza del dolore è (al contrario del masochismo e del sadismo) l'esigenza per l'uomo di superare se stesso per amore. Perché ogni uomo impara ad amare ciò che fa e se uno continua a peccare, alla fine amerà peccare e sarà disperato perché il peccato distrugge le altre esigenze (giustizia, verità, ecc.). Se invece imparerà dal dolore, allora amerà il dolore proprio perché vedrà crescere e svilupparsi le esigenze di giustizia, verità, libertà.

Gesù non è venuto al mondo per salvare se stesso; non è venuto al mondo per salvare quelli che lo amano. Gesù è venuto al mondo per salvare il mondo!
La salvezza viene dalla fede. La nostra unità è necessaria "perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Gv 17, 23). Quindi la nostra unità ha un valore eminentemente missionario. Mi pare una considerazione sufficiente a superare qualsiasi diverso giudizio di tipo politico od operativo!

L'incontro da te auspicato si può fare, ma io toglierei le sedie e pure il tavolo. Basterà che ognuno comunichi agli altri quali sono i suoi piani per il futuro prossimo e poi ciascuno verificherà se e in che modo potrà aiutare qualcun altro. Questo è lavorare tentativamente e concretamente per l'unità. Tutto qui.

Dal primo Family Day (2015) io lavoro solo per questo obiettivo. Non è un modo di dire, perché questo blog è nato proprio quel giorno, il 20 giugno, appena tornato a casa da quella splendida giornata. Il nome deriva dalla coscienza di una guerra in atto contro noi cristiani e dalla consapevolezza della mancanza di una guida, di un capo. Tanti buoni volontari, alcuni magari molto dotati, non fanno un capo. E se qualcuno può essere messo a capo, perché magari temporaneamente serve un capo, coscienti della sua fragilità dev'essere un capo che duri molto poco e poi venga sostituito da un altro. Un po' come per gli ordini religiosi. Perché l'unico Capo che conta è Gesù. noi possiamo al massimo collezionare figuracce e considerarci servi inutili. Così ci aiuteremo veramente.

sabato 26 maggio 2018

Il cielo è bianco e nero

Leggendo il post di Aldo Maria Valli dal titolo "Ma che noia questo nuovo scudetto bianco e nero" mi è venuta in mente la classica reazione di un bambino che chiede al padre: "Papà, ma che faremo tutto il giorno in Paradiso?", "Ameremo Dio e canteremo insieme agli angeli!" risponde il padre. E il bimbo conclude: "Che noia!".

Così scrive Aldo:
"Che noia, che barba! Vorrei chiedere agli amici che tifano per quella squadra di Torino, quella con la maglia a righe bianche e nere e il nome latino: ma non siete stufi? Non sapete fare altro che vincere scudetti. Che monotonia, che piattezza, che uniformità. Volete mettere noi dell’Inter? Noi siamo la sorpresa, l’imprevedibile, il mistero. Noi vinciamo quando ci va, spesso quando dovremmo perdere, e perdiamo quando ci va, spesso in modo rovinoso, quando dovremmo vincere. Noi riusciamo a battere quella squadra lì, quella con le maglie bianche e nere, pur essendo in dieci contro undici, ma, ovviamente, solo fino a cinque minuti dalla fine. Poi ci facciamo infilare due volte, e così le consegniamo l’ennesimo scudetto. Perché a noi piacciono i colpi di scena, anche al contrario. E loro sempre lì, pronti a cogliere ogni occasione buona per vincere, in modo meccanico, automatico, ripetitivo.
Noi siamo l’estro, l’improvvisazione, il colpo di genio, oppure il cataclisma. Loro sono programmati per vincere. E lo fanno. Perché non sanno fare altro. Noi siamo la libertà, l’inventiva, la fantasia sfrenata. Loro sono un esercito che risponde a un solo ordine: accumulare scudetti. E lo fa."

No caro Aldo, non c'è proprio nessuna noia, te lo dico da juventino, visto che tu lo chiedi esplicitamente. Non c'è nessuna noia perché ogni volta c'è qualcosa di diverso, c'è una storia diversa, ci sono ragioni diverse. Come il primo scudetto di questa serie, quello del 2012, dopo sei anni di purgatorio, dopo la discesa in serie B, dopo tante difficoltà a ricostruire una squadra di un certo livello. E la squadra che fece il record di punti, 102 punti? Una storia diversa pure quella. E il campionato che iniziò malissimo (2015) nel quale facemmo appena 12 punti in 10 partite, vinto poi grazie ad una striscia impressionante di vittorie? Una storia diversa pure quella.
Così come è stata una storia diversa quest'anno, con lo scudetto vinto nonostante uno splendido Napoli, autore di una stagione straordinaria. Come scrivi? "Poi ci facciamo infilare due volte, e così le consegniamo l’ennesimo scudetto". No caro, lo scudetto ce lo siamo meritato perché abbiamo fatto 95 punti, cioè gli altri 92 punti li abbiamo fatti altrove, per esempio con una fondamentale vittoria a Napoli. Non ci avete consegnato niente perché pure la vittoria a Milano ce la siamo conquistata, con quella determinazione che la squadra mette in campo fino al 90esimo e oltre. E non ci avete consegnato niente perché anche nel caso della sconfitta, come dimostra la classifica finale, lo scudetto sarebbe stato nostro. Questi sono i numeri, il resto sono chiacchiere, quelle che tanto amano i tifosi interisti, ammaliati da una pazza Inter (sull'amore non si discute) e quindi in difficoltà a ragionare un pochino e a capire i propri limiti.

I numeri dicevo. Proprio quei numeri sbugiardano il resto del tuo post, dal tono vagamente (anche se affettuosamente) diffamatorio per noi juventini. "Perché lo sappiamo come funziona: in dubio pro Juventute". Si lo sapete: e lo sapete perché da venti o da quarant'anni ve lo ripetete e ve lo ripetete perché lo sapete. Sembra un girone dantesco. Ossessivamente ve lo ripetete, per giustificare razionalmente la discrepanza mostruosa tra il vostro amore alla squadra e la scarsità dei successi.
E dopo un accenno vago al "fattaccio" del rigore su Ronaldo del campionato 1997-98, tiri fuori la perla di questi tempi, che comunque è il ritornello sotterraneo da sempre: la Juve non vince in Europa perché lì gli arbitri non hanno la sudditanza nei confronti del potere juventino. Ecco la frase che casca a fagiolo di questi tempi, dopo l'eliminazione col Real Madrid e la vittoria del settimo scudetto consecutivo.
"C’è la faccenda Champions. E c’è quel numero: sette. Loro, quelli con le maglie bianche e nere, in queste ore esultano per il settimo scudetto consecutivo. Ma io, umilmente, mi permetto di ricordare un altro sette. Sette come le finali di Champions che loro hanno perso. Vogliamo elencarle? Ma sì, dai: 1973, contro l’Ajax; 1983, contro l’Amburgo; 1997, contro il Dortmund; 1998, contro il Real Madrid; 2003, contro il Milan; 2015, contro il Barcellona; 2017, contro il Real Madrid.
Perché questo elenco?. Ma, non so. Ha un che di musicale. Mi rilassa. E mi fa venire un pensiero: strano come quella squadra con le maglie bianche e nere, che in Italia trova sempre un Ceccherini, in Europa torni a essere una come tutte le altre. Una contro la quale si può anche fischiare un rigore all'ultimo secondo... E sappiamo essere magnanimi. Nonostante Ceccherini e Iuliano, nonostante i ripetuti furti bianconeri  (mai sentito parlare di un certo gol di un certo Turone della Roma, annullato ingiustamente?), nonostante gli innumerevoli favori arbitrali da loro ricevuti, nonostante le malefatte di un certo Moggi, noi sappiamo perdonare".
 Ecco costruito un bel capo d'accusa, con tanto di evidenze, no?
Poi però ci sono le testimonianze dei diretti interessati; e ci sono pure i dati. Ma prima di tutto vorrei fare una considerazione più generale: queste sarebbero le prove schiaccianti? Due episodi (Juve-Roma 0-0 anno 1981, Juve-Inter 1-0 anno 1998) in trentasette anni? Non avete niente altro nel cassetto, poveri interisti?
Partiamo dalle testimonianze dei diretti interessati. Ceccherini: "Ho sbagliato a non dare fallo di sfondamento di Ronaldo" e ovviamente non l'ha dato perché ha applicato la regola del vantaggio. Poi ci sono i numeri e le considerazioni morali: si, ci sono le considerazioni morali, perché uno scudetto oltre a vincerlo, bisogna pure meritarselo. E qualcuno osa dire quella Juve era poco meritevole? Una Juve giudicata a livello internazionale come la squadra più forte del mondo, in quegli anni? Una squadra vincitrice della Champions del 1995, capace di tornare in finale due volte consecutive (1997 persa contro l'Amburgo e 1998 persa contro il Real con un gol in fuorigioco) un record per quei tempi, e di vincere la Supercoppa Europea nel 1995 con il punteggio complessivo di 9 a 2 (contro il PSG, 1-6 e 3-1 a Torino).
E veniamo all'altro episodio epocale, il celebre e mitologico gol di Turone. Una storia vecchia di diciassette anni, ormai entrata nella mitologia, soprattutto nell'immaginario collettivo romano. Anche io vivo a Roma, caro Aldo, quindi come te parlo con cognizione di causa. Su questo episodio, a scusante di tutti quelli convinti della regolarità del gol, voglio dire che le immagini dell'epoca sono davvero di cattiva qualità (per chi è abituato alla alta definizione odierna, senza arrivare al 4K). A velocità normale, il video lascia veramente l'impressione di un gol regolare. Ma si tratta di una illusione ottica dovuta alla totale mancanza di prospettiva. E la moviola dell'epoca di Carlo Sassi (sulla cui professionalità nessuno potrà avere modo di dubitare) già dimostrò che Turone era effettivamente in fuorigioco.
La mitologia sul gol di Turone invece nasce un anno e mezzo dopo, quando una redazione romana della Rai facendo un uso diciamo "spregiudicato" di una nuova tecnologia (il Telebeam) colla quale "dimostrarono" che Turone era in posizione regolare. Interessante il commento di Sassi nel 2003, intervistato da RadioRai 2 e che si può ascoltare su Youtube: "...dimostrarono che non era in fuorigioco, il che non era vero, perché hanno [pausa] non dico barato... e Turone era in fuorigioco".
E così venne creato il mito del "gol di Turone", un mito sempre alimentato ad ogni nuova vittoria della Juve, un mito che ovviamente seleziona la memoria, ricordando ciò che fa comodo e obliterando ciò che non si accorda. E così ancora oggi nessuno ricorda che in quella partita Furino fu espulso e la Juve giocò 40 minuti in dieci uomini.Ora, se gli arbitri erano (e sono? anche dopo Calciopoli?) così succubi della Juve, come mai quell'arbitro espulse Furino in una partita tanto delicata e decisiva per lo scudetto? Non era forse lo stesso arbitro che fischiò il fuorigioco?

Ma veniamo alla chicca finale, quella sulle "malefatte di un certo Moggi". Quel Moggi che aveva creato la cosiddetta "cupola di Moggi", di cui faceva parte... solo l'arbitro Braschi! Unico arbitro condannato! E qui calo la mia testimonianza, perché da un video di Youtube si apprende che:

  • Braschi non aveva schede telefoniche svizzere;
  • dai tabulati risulta che Braschi non ha mai parlato con Moggi;
  • Braschi invece parlava spesso con Facchetti (Inter) e Meani (Milan).

Infatti la magistratura ordinaria arriva all'unica conclusione possibile: assolto perché il fatto non sussiste.
E veniamo ai numeri. Prendiamo l'epoca di Moggi alla Juve, anni 1994-2006 e vediamo quali risultati hanno ottenuto.
In quegli anni in Europa l'Inter vince due coppe UEFA (1994 e 1998) e arriva in finale una volta (1996). Però ottiene anche delle eliminazioni umilianti, come nel 1995 e 1996 (trentaduesimi di finale coppa UEFA) e nel 2001 (preliminari di Champions League e ottavi di coppa UEFA).
La Juve invece in quegli anni vince la Champions nel 1995 e la coppa UEFA (1993), arriva due volte in finale in Champions (1997 e 1998) una volta in coppa UEFA (1995, persa col Parma). Poi abbiamo vinto la Supercoppa UEFA (1997), la Coppa Intercontinentale (1997) e la Coppa Intertoto (2000).
Tu la vedi tutta questa differenza a favore dell'Inter in campo internazionale? Io no.
"...una come tutte le altre. Una contro la quale si può anche fischiare un rigore all'ultimo secondo...". Proprio quest'anno no! Al Real lo hanno fischiato, ma a noi all'andata invece no (fallo su Quadraro).

Quale sarebbe dunque tutta la differenza di rendimento tra Italia ed Europa? Coll'Inter no di certo. L'Inter ha vitro tre Champions, ma due le ha vinte non dico quando non c'erano i cellulari, non dico quando non c'era la televisione a colori, ma quando non c'erano nemmeno le macchine diesel!
Forse la differenza è col Milan, che ha vinto sette Champions? Beh, intanto vale sempre la considerazione che se arrivi per sette volte in finale e poi perdi, vuol dire che hai battuto per sette volte diverse squadre forti (e non la più forte).
E poi, troppo facile vincere la finale giocando contro Steaua Bucarest, Benfica e due volte Liverpool (e una persa clamorosamente!). Ben diverso è trovarsi due volte il Real e poi Barcellona, Ajax, Borussia. Oppure venire eliminati dal Bayern, anche grazie a grossi errori arbitrali.

Ma non ci sono le sette finali perse.
Eh si, anche noi abbiamo i nostri record in Europa. Per esempio, siamo stati la prima squadra a vincere tutte e tre le principali manifestazioni (UEFA 1977, Coppa delle Coppe 1984, Champoions 1985). Oggi tali squadre sono 4: oltre alla Juve ci sono Ajax, Bayern e Chelsea.
Ma la juve è l'unica squadra ad aver vinto tutte le competizioni UEFA passate e presenti. A quelle citate si aggiungono Coppa Intercontinentale, Supercoppa UEFA e Coppa Intertoto. Al Real manca la Coppa delle Coppe, al Barcellona e al Milan manca la Coppa UEFA (e al Barca anche la Coppa Intercontinentale9, all'Inter manca la Coppa delle Coppe e la Supercoppa UEFA.
Questi sono i dati, la cui memoria mi aiuta a sorridere quando sento dire o leggo che "la Juve non vince in Europa".

"Noi sappiamo perdonare". Oltre a saper perdonare, bisogna però anche perdonare! Cioè vuol dire, secondo l'ottica cristiana, dimenticare. Invece, a vent'anni di distanza, ancora viene fuori Ceccarini, Iuliano, Ronaldo...

"Solo da noi, all’Inter, si possono perdere scudetti all’ultima partita di campionato, come in una tragedia greca...". Però poi sei onesto e scrivi: "Come dite? Che anche loro qualche volta hanno buttato tutto alle ortiche all’ultima partita? Come dite? Certo che mi ricordo: Perugia – Juventus 1 a 0, anno 2000. Copia conforme del 1976.". Si, quasi. Solo a noi è successo, fuori da ogni regolamento, di giocare il secondo tempo della partita decisiva dopo 50 minuti dalla fine del primo tempo. E solo a noi è successo, l'anno dopo quando lo vinse la Roma, di veder cambiate le regole sugli extracomunitari durante il campionato, proprio prima dello scontro diretto a tre partite dalla fine, permettendo così alla Roma di usare gli extracomunitari in più che aveva in rosa. Solo per caso (un caso fortuito, per carità) proprio uno di qeusti, tal Nakata, poté entrare nel secondo tempo ed essere decisivo con un gol nel pareggio finale (la Juve fino all'80simo minuto vinceva 2 a 0).
Ti immagini le polemiche a parti invertite? Ti immagini le polemiche se la vittima di tali ingiustizie fosse stata la Juve?
Lasciamo stare, meglio così.
"E poi c’è la faccenda della serie B. A loro, che ci sono stati, vorremmo chiedere: che cosa si prova? Siamo curiosi. Essendo noi gli unici (ripeto, gli unici) che non ci sono mai andati, saremmo lieti di una risposta. Così, per accrescere il nostro bagaglio culturale. Ma non credo che ci risponderanno. Troppo impegnati a festeggiare l’ennesimo scudetto. Che noia, che barba."
Eh, si. Siete gli unici a non esserci andati, dopo esservi guadagnati la retrocessione sul campo. Anno 1922, non ricordi? Capisco. ma non c'è problema, questione di paranoia antijuventina e di memoria selettiva. Una storia che non ci riguarda, non c'era Moggi, non c'era la cupola, non c'era Agnelli, ma c'era Emilio Colombo (allora direttore della Gazzetta dello Sport, sicuramente imparziale) a dirimere la questione e a far fare all'Inter (arrivata ultima nel sul girone e destinata alla retrocessione) un paio di spareggi per qualificarsi di nuovo per la serie A. Due spareggi davvero comici, uno contro una squadra fallita che nemmeno scese in campo, l'altro contro una squadra in procinto di fusione (con la Fiorentina) e che faticò a trovare undici giocatori per fare la partita. I dettagli di questa pittoresca storia italiana li puoi leggere qui. Mettiamola così. Nel 1922 per due mesi, tra la fine del campionato e l'ultimo degli spareggi, l'Inter non è stata in serie A.
Cosa si prova a giocare in serie B? Certo che ti rispondo. Quando sai che hai vinto sul campo uno scudetto poi assegnato ad una squadra arrivata 15 punti dietro, quando hai pure appena vinto un campionato del mondo o comunque hai giocato la finale (perché oltre agli juventini campioni del mondo, a giocare la finale c'erano anche Trezeguet, Thuram e Viera), a quel punto la serie B diventa come una gita. Negli occhi e nella mente ti rimane la Coppa del Mondo alzata da quegli stessi giocatori. Che infatti sono rimasti tutti, tranne quelli venduti per la necessità di fare cassa per pagare gli stipendi. E vedere l'Inter che vinceva quegli scudetti anche grazie a quei giocatori che la Juve gli aveva venduto (Zambrotta, Viera e Ibraimovic, ti ricordi?) mi ha dato pure un intimo e sottile senso di soddisfazione, quella intima soddisfazione di chi capisce come sono andate le cose, al di la delle sentenze e delle intercettazioni dell'azienda del vice presidente dell'Inter.

E poi noi il campionato di serie B lo abbiamo vinto, voi no!

Diciamo la verità, perché si diventa interisti? Come hai detto tu "Qui il mistero è fitto, ma è un mistero bellissimo. Quei colori ti entrano nel sangue e non puoi farci niente. La ragione dice tutt'altro, ma al cuore non si comanda". Noi invece siamo razionali, prevediamo di vincere e poi vinciamo. Ma non lo prevediamo solo noi. “La Juventus è più avanti anni luce, vincerà dieci scudetti di fila” (Sergio Berti, storico agente di calciatori, estate 2012). E lo diceva uno che considerava l'azienda Juve nel suo complesso, incluse cioè quelle risorse di cui si parla poco o nulla sui giornali, risorse come serietà, impegno, dedizione totale, esperienza.

Quindi rilassati pure e goditi la tua pazza Inter. Noi vinceremo dieci scudetti di fila, almeno. Voi continuerete a parlare di Iuliano, Ronaldo, Ceccherini, Moggi, Turone: è una questione culturale alla fine, la stessa questione culturale per cui si danno alle stampe (e presumo si vendano) libri come "Dimmi chi era Recoba". Si, siete proprio folli e questo è un vertice di follia.
Continuate pure a parlare e a sparlare. Noi continueremo a mietere scudetti. E magari inizieremo a vincere pure qualche Champions. Lo prevediamo e lo faremo. Dopo sette secondi posti, sai che gusto!

Non c'è nessuna noia qui in cielo. Soprattutto da quando il cielo è bianco e nero. Ogni volta è una storia diversa. E attendiamo la prossima.


PS.
Hai mai provato a fare l'elenco dei giocatori che la Juve ha preso in questi anni a parametro zero?
Pogba, Barzagli, Khedira, Dani Alves, Llorente, Coman, Pirlo, Luca Toni e il prossimo arrivo Emre Can.
Così magari ti viene una intuizione su come far quadrare i conti e costruire una squadra in grado di vincere.
Poi magari fai un paragone con i bidoni presi dall'Inter nell'era Moratti. Magari aiuta a capire.

sabato 10 marzo 2018

Uno, nessuno, duecentodiciannovemila

Parafrasando il celebre titolo dell'opera di Pirandello per commentare i risultati delle recenti elezioni politiche, voglio però iniziare dalla fine.

Duecentodiciannovemila.
Ora che le elezioni sono passate e sono passati anche i commenti (ora i titoli sono tutti sulle possibili o impossibili alleanze per un governo comunque zoppo), la prima cosa che mi viene in mente è che le letture sul risultato del PdF sono state poco meno di ... duecentomila!

Ovviamente le contraddizioni si sono sprecate. La più palese è quella di chi ha argomentato "zero eletti, non contate niente" e poi "siete stati decisivi, avete tolto dei seggi al centrodestra".
Ma non contiamo niente o siamo stati decisivi?

Senza contare le contraddizioni interne di queste affermazioni. Per esempio, è totalmente falsa l'idea che abbiamo tolto voti al centrodestra, perché noi sappiamo bene che tantissimi che ci hanno votato non avrebbero votato: abbiamo riportato al voto tanti schifati dal comportamento politico del centrodestra.

Quello che in realtà abbiamo fatto è mettere un piccolo seme affinché, come da un granello di senape, possa crescere una pianta grande. Quindi il nostro successo non è quello che abbiamo fatto, ma quello che, per la grazia di Dio, crescerà.

Nessuno.
Zero eletti. Ma noi non avremmo potuto essere e non saremo soddisfatti da un 3-4% e da 20 parlamentari, perché occorre vincere, non fare presenza. Infatti, come sarà evidente nei prossimi giorni quando nascerà un aborto di governo (cioè morto prima di nascere) targato M5S e PD, anche la Lega con il suo 17% e tutto il centrodestra con il sul 36% saranno insignificanti e non decisivi.
C'è chi ha argomentato che occorreva il "voto utile, per la testimonianza c'è tempo, non è il momento" e così ha intrufolato qualche parlamentare tra gli eletti. Bene, bravo. Ora questi pochi parlamentari che possono fare, oltre la tanto vituperata "testimonianza"?

Uno.
Ora che "abbiamo fallito", ora che ne abbiamo fatto esperienza, possiamo ben dirlo: benedetto fallimento!
Perché inevitabilmente, soprattutto ora che occorre preparare i prossimi appuntamenti elettorali, ragionevolmente occorre porsi con la massima serietà la domanda: ma ne vale la pena? Ma perché tutta questa fatica? Ma chi me lo fa fare?
Questo è lo stesso dramma umano che capita a chi, sposato da diversi anni, sperimenta un punto di rottura grave col coniuge, tanto da farli pensare "ma chi me lo fa fare a continuare così"?
E chi ha passato questi momenti sa bene che l'unico sostegno per superare quel momento di fragilità è la memoria: la memoria di come tutto è iniziato, la memoria degli inizi, la memoria delle esperienze fatte, la memoria della decisione del fatidico sì preso in piena libertà, ripromettendosi di accettare tutto. Perché non sono un uomo più una donna, ma i due sono una carne sola.

Ecco chi ce lo fa fare. Non il successo garantito (che nessuno ci ha mai garantito), ma la bellezza (per molti) di una giornata come il Family Day. Solo una memoria che riporti nel presente quell'esperienza (e l'esperienza di tanti incontri avvenuti prima e dopo).
E il risultato di cui possiamo fare esperienza è stato ben descritto da don Giussani, ripensando all'esperienza dell'impegno di CL per il referendum:
" Per quanto concerne in particolare Comunione e Liberazione, il gesto di obbedienza in forza del quale il movimento si impegnò nella campagna referendaria a favore del sì all’abrogazione del divorzio, contribuì fortemente a maturare la coscienza della propria identità cristiana: un’identità che, tra le altre cose, nulla ha a che spartire con l’etica del successo a qualunque costo. E l’episcopato poté rendersi conto di quali fossero nella Chiesa le forze davvero disponibili, anche in condizioni difficili e con prospettive tutt’altro che favorevoli, a impegnarsi a sostegno di una mobilitazione sociale e politica in cui la credibilità di una scelta dei vescovi, dunque della Chiesa tout court, veniva messa direttamente in gioco"
Ora noi non abbiamo agito di fronte all'episcopato. Noi abbiamo agito di fronte al popolo italiano. Abbiamo mostrato il nostro essere Uno.
"Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano uno. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato." (Gv 17,20-21)
E noi possiamo essere uno solo se siamo con l'Unigenito Dio, figlio del Padre, che il mondo non può vedere perché non lo conosce.
Però il mondo può vedere noi: per quello il diavolo schiuma di rabbia.
Il diavolo sarebbe disposto a farci arrivare al 51% pur di dividerci da Cristo ("gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai»").
Ma non può sopportare che noi siamo uno nel Suo Nome.


giovedì 8 marzo 2018

Perché ne vale la pena

Così ha scritto Silvia, la moglie di Mario Adinolfi:
"Il problema è che non sanno quello che io so. Non ti hanno vissuto, respirato, amato, desiderato e guardato ogni giorno come ho fatto io negli ultimi dieci anni. Non hanno visto. Io c’ero quando il Pd ti mandava a processo per “omofobia” ed eri incredulo e addolorato, quando mi hai detto che rinunciavi al posto da deputato e io ero affranta perché, lo ammetto, avevo paura dell’ignoto e di quel tuo ricominciare da zero iscrivendoti alle liste di disoccupazione. Da onorevole a disoccupato, per scelta valoriale. E c’ero mentre il presidente del Consiglio ti chiamava con insistenza ed eravamo al cinema Barberini, chi se lo scorda e tu dicevi: “Lascialo chiamare, tanto non mi ricandido, se rompo con il Pd non posso ricandidarmi, sembrerei un voltagabbana”. Mi parevi matto, eravamo a vedere un cinepanettone e riuscivi a ridere di gusto e ad abbracciarmi mentre chiunque altro sarebbe scattato sugli attenti. Sei fatto così e secondo me sei pure fatto male: sei maleducato, incapace di rispettare l’autorità, talvolta brusco e spesso irrispettoso. Ma sei così, sei tu. Gli altri non ti hanno vissuto, non ti vedono. Per te conta solo una strana idea di giustizia o di “razionalità”, come dici tu, che poi passa attraverso notti a recitare il rosario. Mi sono chiesta spesso se le due cose potessero stare insieme, mi hai insegnato a pregare di più e io ora vorrei fare solo quello. Sono stanca degli insulti, del fango che ci tirano addosso, dei giudizi, del dover leggere offese pure sul fatto che sono rimasta incinta e no, non dovevo, perché la castità eccetera. Vorrei stare come a Messa, io e te all’ultimo banco a pregare e basta. Sono schiva e odio il fatto di dover stare perennemente sotto un riflettore zeppo di maldicenze a causa tua. Ma quando ho provato a chiederti di pensare un po’ di più alla tua famiglia che alle famiglie di tutti gli altri hai chiuso la strada al dialogo con due sole parole: “Non posso”. E se non puoi, amore mio, io sto con te. L’ho scelto dieci anni fa e certo ho momenti di rimpianto per quando ti aspettavo seduta a ridosso di un canale a Venezia perché eri il primo italiano a qualificarti per una finale mondiale di poker o per quando con Clara venivamo fuori da Montecitorio ad aspettarti perché a lei piaceva giocare con le stelle d’acciaio che contornano la piazza. Avevamo una vita agiata e comoda e l’hai mandata all’aria per seguire una chiamata, perché “se siamo davvero amici di Cristo, ora Cristo ce lo sta chiedendo”. E tu non sei il tipo che sa dire di no alla richiesta di un Amico. Avrei voluto non scrivere queste parole, restarmene in disparte come al solito. Ma ora che tutti devono tacere, nella giornata del silenzio, parlo io. A San Giovanni, al Circo Massimo, in questi anni in cui mi hai lasciato sola a casa per settecentotrentasei sere da quando hai scritto Voglio la mamma (le ho contate, sai, conosci il mio diario e le mie strambe contabilità che uso per rinfacciarti le tue disattenzioni quando litighiamo), l’Italia ha conosciuto un guerriero. Forse il più coraggioso e intelligente guerriero della storia di questo pallido, accomodante e talvolta pavido movimento pro life italiano. Ora accanto a te hai un popolo e mi sono rassegnata a doverti dividere con tutti, ma tanto tu sei mio e io sono tua. Per questo io sono un soldato dell’esercito del Popolo della Famiglia e pago volentieri la mia parte di prezzo, come fa ogni componente di questo popolo. Domani andrò orgogliosa a votare per questo popolo, non ce ne sono di uguali e i farisei con la loro puzza sotto il naso e i loro giudizi sono solo dei poverini che soffrono per non essere riusciti a fare quel che è riuscito a noi, ad essere quel che siamo noi. Un popolo di imperfetti che ama il Signore e ne è riamato, ne sono certa. Domenica 4 marzo io voto Popolo della Famiglia. Lo faccio per amore, Mario."
Quando ho letto questo posto su internet domenica, mentre ero al seggio elettorale in qualità di presidente, ho pensato: ecco, anche se prendessimo lo zero per cento, ne sarebbe valsa la pena solo per leggere una testimonianza del genere.
Ho pensato anche a quanti, come previsto, avrebbero qualificato il nostro risultato come un insuccesso. Come spiegagli quanto scritto qui sopra? Non si può spiegare, si può solo testimoniare. E lo faremo, nei prossimi giorni e nei prossimi mesi, con il rinnovato impegno nelle prossime elezioni che vi sono in Itala.
E qualcuno di quelli che aveva previsto il nostro scioglimento dopo queste elezioni inizierà a domandarsi "ma come, sono ancora qui?".
Come probabilmente avranno pensato sia i romani che i sommi sacerdoti, incontrando i cristiani anche dopo aver ammazzato il loro capo.

sabato 3 marzo 2018

La grande menzogna del "voto utile"

Nel dibattito tra i cattolici sui social media, uno dei temi più dibattuti e che ha acceso gli animi è quello del "voto utile".
In particolare tale argomento è utilizzato contro quelli che hanno proposto il voto al partito Popolo della Famiglia.
Siccome tale formazione è una novità oggettiva nel panorama politico italiano, valeva la pena che qualche autorità ecclesiale o qualche movimento spendesse una parola di considerazione su questa formazione e sui dibattiti che ne sono nati.
Ma viviamo in tempi di grande confusione e quindi non bisogna meravigliarsi se questo non è avvenuto. E direi: puntualmente non è avvenuto, perché ormai la Chiesa puntualmente non interviene più sul dibattito politico nelle grandi occasioni per dire qualcosa di incisivo, per comunicare la novità che normalmente viene dalla comunicazione della Verità. E nessuna comunicazione è venuta anche dal movimento che più di altri, nel passato, si è sempre distinto per comunicazioni pungenti e stimolanti in occasione degli appuntamenti elettorali: il movimento di Comunione e Liberazione.

L'unica comunicazione del Movimento è stata la pubblicazione del discorso del Santo Padre a Cesena. Un pezzo di quel discorso. Uno dei brani più insignificanti che potevano essere ripresi, con contenuti assolutamente ovvi e banali.
La riprova è che di quel testo potrebbe essere cambiato tranquillamente la data, mettendoci "Elezioni 2019" o 2020, o 2013, senza modificare nulla di quel discorso. Insomma un brano che non dice nulla di specifico, nulla di notevole rispetto alla realtà odierna.
Nulla di veramente significativo.

Ma questo è il destino inevitabile di chi smette di fare esperienza, di chi smette di implicarsi con la realtà. Senza esperienza, senza una implicazione diretta e personale con la realtà, ogni giudizio è di fatto impossibile. Anzi, per la precisione non è impossibile, perché è impossibile per l'uomo non giudicare; quello che invece è impossibile è che il giudizio diventi pregiudizio, cioè nella sua analisi sia determinato prevalentemente da una ideologia, qualsiasi sia l'ideologia.

E anche chi non ha idee pur avendo la responsabilità di avere delle idee e di doverle comunicare, in fondo fa prevalere una ideologia: quella di non avere guai o di averne meno possibile, quindi di non esporsi in nessun modo, quindi di esprimersi per concetti assolutamente vaghi e con quasi nessuna attinenza al momento presente. Ma per questa strada i concetti vaghi non entrano nella realtà, la Verità non si fa carne, e la comunicazione della Verità diventa una menzogna.

Questi sono in fondo i concetti espressi anche da Gigi De Palo in un post di due anni fa:
"Sono arrivato all'amara conclusione che Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco hanno detto una piccola bugia: la politica non è la più alta forma della carità.
È così nonostante ce la raccontiamo citando qua e là quella frase.
Ci piace ricordacelo, ma nella vita reale non ne siamo per niente convinti e, forse non ne erano convinti nemmeno loro quando lo dicevano.
Se così fosse non ci faremmo tante fisime mentali e, nelle parrocchie, formeremmo i giovani all'impegno in politica, non importa poi in quale schieramento sceglieranno di far parte, intanto saranno formati…
Altrimenti nei seminari si insegnerebbe ai futuri sacerdoti anche la Dottrina Sociale della Chiesa, mentre questo non avviene…"
Sono infatti almeno trent'anni che la Chiesa, continuando a predicare il dovere dei laici a impegnarsi in politica, si è totalmente disimpegnata dalla politica. In altre parole, sono ALMENO trent'anni che la Chiesa invita i laici a impegnarsi in politica e poi li abbandona. Ma nessun laico può desiderare questo, nessun laico credente può desiderare di essere abbandonato dalla propria Casa: per questo i laici che amano davvero la Chiesa poi aborriscono la politica.

Ma una conseguenza diretta, già qui sopra descritta, della mancanza di impegno e quindi di esperienza, è l'impossibilità di un giudizio che non sia determinato da una ideologia e quindi non diventi pregiudizio.
La questione del "voto utile" è un esempio clamoroso e straziante di quanto oggi l'ideologia moderna abbia devastato la capacità di giudizio dell'uomo comune, del cristiano comune.

Infatti il criterio per cui si vota, per cui si va a votare è quello della Verità, non quello della utilità.
Con il voto di queste elezioni politiche, ogni cittadino e cristiano credente di fatto deve tentare di rispondere a queste domande:
- è vero che la famiglia è sotto attacco?
- è vero che occorre cancellare la legge Cirinnà?
- è vero che c'è in corso una gravissima crisi demografica e che questa è la prima emergenza e occorre fare di tutto per favorire le famiglie che fanno figli, in particolare le famiglie numerose?
- è vero che è male ripristinare le "case chiuse"?
- è vero che per uscire dalla crisi economica occorre ripristinare una moneta nazionale'
- è vero (o falso) che... (ecc...)

La categoria da utilizzare è quella della verità, non quella dell'utilità.
La categoria dell'utilità può e dev'essere utilizzata per la gestione del potere, per la conservazione dello status quo. La categoria dell'utilità ha come criterio quello della convenienza. E da questo consegue che se, in una determinata occasione, verità e convenienza sono in conflitto, se prevale il criterio della convenienza allora si usa la categoria dell'utilità come motivazione adeguata di quella scelta.

Duemila anni fa c'è stato il più famoso processo della storia dell'umanità. Ma quel processo non è stato deciso semplicemente da un giudice o da una giuria. Quel processo è stato determinato da una votazione del popolo, suscitata dalla domanda di Pilato: "Chi volete che vi rilasci? Barabba o Gesù detto il Cristo?" (Mt, 27,17).
Questo è il caso più clamoroso di "voto utile". Infatti il sommo sacerdote Caifa si era già espresso in tal senso: "Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera" (Gv 11, 49-50). E proprio in forza di questa considerazione i poteri dell'epoca si erano mossi: "Ma i sommi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a richiedere Barabba e a far morire Gesù." (Mt 27,20).
Di tutto questo Pilato era ben cosciente: "Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia." (Mt 27,18). In altre parole, sapeva bene che stavano per condannare un innocente e che le accuse non avevano prove. Lui stesso non le aveva trovate.
E alla fine, nel dialogo con Gesù, emerge il cuore della questione. Gesù ripete che è venuto per rendere testimonianza alla verità e Pilato replica facendo prevalere il dubbio, che porta alla fine a far prevalere il criterio della conservazione dello status quo: "Che cos'è la verità?" (Gv 18, 38).
E quindi ovviamente se ne lava le mani: "Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa dell'acqua, si lavò le mani davanti alla folla: «Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!»" (Mt 27,24).

Dopo duemila anni, la questione esistenziale della testimonianza della verità si ripropone in tutta la sua drammaticità.

Questo è il minimo che avrebbe dovuto dire chiunque ha a cuore il fatto cristiano.



giovedì 1 febbraio 2018

Né schiavo né libero

In un articolo tratto da "Econopoly" del Sole24Ore possiamo leggere una proposta che sembra pura fantasia. L'autore Enrico Verga propone il riconoscimento legale della schiavitù, dato che ormai di fatto esiste poiché nelle condizioni attuali, con salari sempre più bassi e richieste di prestazioni sempre maggiori, i lavoratori di oggi e in particolare le partite IVA sono di fatto degli schiavi.
Questi alcuni delle frasi più salienti.

"La schiavitù è spesso vista con un’accezione negativa. Tuttavia si può notare come una larga parte della storia dell’umanità abbia visto regni, imperi e persino nazioni democratiche (con un sistema di elezioni popolari come gli stati americani) utilizzare gli schiavi per differenti mansioni e ruoli."
"Con questo panorama legale e contrattuale già si può evincere un potenziale scenario di schiavitù laddove non sia presente un contratto normato e ben strutturato. Di fatto si può suggerire che già oggi, in Italia, le partite IVA siano sottoposte a rischio di schiavitù."
"Perché, quindi, non si può valutare, nei programmi politici delle incombenti elezioni, una proposta di legge per re-instaurare l’istituto della schiavitù? Fatti due conti veloci alcuni milioni di neo-schiavi potrebbero essere interessati ad un programma che possa migliorare le loro condizioni."
"Consideriamo alcuni vantaggi prendendo, ad esempio, come matrice di partenza l’impero romano. Uno schiavo aveva diritto a un alloggio, cure mediche, vitto. Molti schiavi ricevevano formazione. Anche oggi i costi della formazione coperti dal padrone sono sicuramente un asset per il dipendente-schiavo. Ovviamente lo schiavo dovrà concedere la sua totale disponibilità..."
Ma cosa è davvero la schiavitù? Si tratta solo di una condizione lavorativa, all'interno di un certo quadro sociale? Si tratta solo di stipendi bassi e di servizi sociali scadenti quando non assenti? No, decisamente non è così. Quanti di noi sono schiavi delle proprie manie, delle proprie abitudini, dei propri pregiudizi e pure di qualche vizietto?

La schiavitù vera è quella del peccato. La schiavitù è riconoscere il bene, volerlo fare e poi ritrovarsi a fare il male. Ma come uscire da questa schiavitù, che in fondo alberga nel cuore di ogni uomo?

"Non c'è qui né Giudeo né Greco; non c'è né schiavo né libero; non c'è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù." (Galati 3,28).
L'unica liberazione, al di là degli schemi come schiavo-libero che fanno comodo al potere di turno, viene dall'unione con Cristo. E da questa unione nasce la vera liberazione, che non è la falsa libertà del mondo, quella "libertà di fare tutto quello che voglio" che è pura utopia e che non tiene conto della verità dell'uomo.
Questa è la seconda grande parola, senza la quale non si capisce nemmeno la libertà: la verità.

"Se osserverete i miei comandamenti, sarete veramente miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Gv 8, 31-32).
Questa è l'unica liberazione, che il cuore di ogni uomo attende.


martedì 16 gennaio 2018

Una Presenza sempre più evidente


Il dato è chiaro. Non c'è Gesù, non c'è alcuna adorazione, ci sono solo volti smarriti e una luce artificiale.
Nella "scuola di comunità" (le virgolette sono d'obbligo, visto che per tanti è solo una trasmissione via satellite e non una partecipazione personale ad un incontro, dove poter interloquire...) del 20 dicembre 2017, il cui testo è pubblicato sul sito di CL, il tema del volantone di Natale è ripreso nell'ultimo intervento.
L'intervenuto ha manifestato il suo "malessere" perché di fronte al volantone
"...ho sentito anche miei amici riprendere questa obiezione quasi in modo incattivito, dicendo:«In effetti, è il Volantone di Natale e non c’è Gesù»".
Come al solito, anche in un mondo di sonnambuli non tutti dormono: è come se avessero degli incubi.
E poi ha proseguito dicendo:
"Durante un dialogo su questo tema, sono sobbalzato sulla sedia e ho detto: «Ma come non c’è Gesù?! Ragazzi, guardatelo! Se in quel Volantone non c’è Gesù, Gesù non c’è neanche nella tua famiglia, nel tuo lavoro, nel tuo gruppo di Fraternità, non c’è neanche qui stasera tra di noi. Se in quel Volantone non c’è Gesù, Gesù non c’è da nessuna parte!».
Qui ha letteralmente ragione. Se questo è il manifesto dei cristiani, allora Gesù non c'è. E questo manifesto è il manifesto dell'ateismo (dei cristiani di fatto diventati atei), o forse di quell'agnosticismo che presuppone e conduce all'ateismo. Lo presuppone perché presuppone che sia comprensibile e reale solo ciò che si vede, ciò che è sotto il dominio dei cinque sensi: ciò ch enon si tocca, che non è misurabile, non c'è (ateismo materialista). E vi conduce, perché non si vede e quindi non c'è (Gesù).

Ora, siccome, la Sua Presenza non dipende da un volantone eventualmente sbagliato, l'unica cosa che rimane da capire è a cosa ci educa un simile volantone.

Anche qui l'intervento è illuminante:
"Mi sembra che se noi abbiamo bisogno necessariamente che ci sia, per esempio, un quadro di Giotto per dire che nel Volantone c’è Gesù, allora vuol dire che Gesù in realtà non è qualcosa che accade nella nostra vita, nelle cose materiali della nostra vita, non è un compagno tangibile in ogni singolo minuto della nostra giornata, ma è una cosa sacrissima, ma lontanissima da noi."
Chi sceglie una certa immagine per il volantone, di fatto esprime una preferenza. Anche lui sa bene che la Sua Presenza non è data da un volantone azzeccato. E chi critica una certa immagine, anche lui sa bene che la Sua Presenza non dipende da un volantone sbagliato. Quello che si critica è proprio questa preferenza rispetto ad un'altra, per esempio un quadro di Giotto.
In altre parole, non c'è alcuna "necessità" del volantone. Può essere uno strumento utile, ma il mondo e il cristianesimo sono andati avanti per un paio di millenni senza volantoni.
Quindi accusare chi critica di avere "bisogno necessariamente che ci sia, per esempio, un quadro di Giotto" è un modo per fare un processo alle (eventuali) intenzioni e un ragionamento che tenta di scavalcare la questione della scelta fatta e la butta sulla introspezione psicologica di chi ha un pensiero. Anzi, qualcuno a questo punto dovrebbe spiegare perché ha "bisogno necessariamente di togliere Gesù" per ricordarci che Gesù c'è.

E come sempre accade in questi casi, ciò di cui si accusa è ciò di cui si è vittima: "...allora vuol dire che Gesù in realtà non è qualcosa che accade nella nostra vita, nelle cose materiali della nostra vita, non è un compagno tangibile in ogni singolo minuto della nostra giornata, ma è una cosa sacrissima, ma lontanissima da noi".
Questo è il livello educativo vero del volantone: quello potrebbe essere benissimo il manifesto di una qualsiasi ONG, di un gruppo (che so) buddista, di una associazione per i diritti umani, di un gruppo di adoratori di ceneri di un passato che non c'è più. E l'educazione sottilmente proposta è quella o dell'autoconvincimento delirante ("Gesù c'è, lo so che c'è, anche se non si vede") o della deviazione sentimentale ("Gesù non si vede, però c'è perché lo sento").

Verrebbe da dire con una battuta che Gesù non sa di tutti questi ragionamenti astrusi e rimane vicinissimo a noi.
Invece no, non è così: Gesù lo sa, soffre nel vedere questa umanità smarrita e ogni giorno risale in croce. E quello che diffonde il cristianesimo nel mondo è la commozione generata dalla Sua Presenza reale, qui ed ora, mentre io scrivo.
E mentre tu leggi.
La commozione di una Presenza evidente: sempre più evidente. Soprattutto in mezzo alla tempesta.