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sabato 3 marzo 2018

La grande menzogna del "voto utile"

Nel dibattito tra i cattolici sui social media, uno dei temi più dibattuti e che ha acceso gli animi è quello del "voto utile".
In particolare tale argomento è utilizzato contro quelli che hanno proposto il voto al partito Popolo della Famiglia.
Siccome tale formazione è una novità oggettiva nel panorama politico italiano, valeva la pena che qualche autorità ecclesiale o qualche movimento spendesse una parola di considerazione su questa formazione e sui dibattiti che ne sono nati.
Ma viviamo in tempi di grande confusione e quindi non bisogna meravigliarsi se questo non è avvenuto. E direi: puntualmente non è avvenuto, perché ormai la Chiesa puntualmente non interviene più sul dibattito politico nelle grandi occasioni per dire qualcosa di incisivo, per comunicare la novità che normalmente viene dalla comunicazione della Verità. E nessuna comunicazione è venuta anche dal movimento che più di altri, nel passato, si è sempre distinto per comunicazioni pungenti e stimolanti in occasione degli appuntamenti elettorali: il movimento di Comunione e Liberazione.

L'unica comunicazione del Movimento è stata la pubblicazione del discorso del Santo Padre a Cesena. Un pezzo di quel discorso. Uno dei brani più insignificanti che potevano essere ripresi, con contenuti assolutamente ovvi e banali.
La riprova è che di quel testo potrebbe essere cambiato tranquillamente la data, mettendoci "Elezioni 2019" o 2020, o 2013, senza modificare nulla di quel discorso. Insomma un brano che non dice nulla di specifico, nulla di notevole rispetto alla realtà odierna.
Nulla di veramente significativo.

Ma questo è il destino inevitabile di chi smette di fare esperienza, di chi smette di implicarsi con la realtà. Senza esperienza, senza una implicazione diretta e personale con la realtà, ogni giudizio è di fatto impossibile. Anzi, per la precisione non è impossibile, perché è impossibile per l'uomo non giudicare; quello che invece è impossibile è che il giudizio diventi pregiudizio, cioè nella sua analisi sia determinato prevalentemente da una ideologia, qualsiasi sia l'ideologia.

E anche chi non ha idee pur avendo la responsabilità di avere delle idee e di doverle comunicare, in fondo fa prevalere una ideologia: quella di non avere guai o di averne meno possibile, quindi di non esporsi in nessun modo, quindi di esprimersi per concetti assolutamente vaghi e con quasi nessuna attinenza al momento presente. Ma per questa strada i concetti vaghi non entrano nella realtà, la Verità non si fa carne, e la comunicazione della Verità diventa una menzogna.

Questi sono in fondo i concetti espressi anche da Gigi De Palo in un post di due anni fa:
"Sono arrivato all'amara conclusione che Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco hanno detto una piccola bugia: la politica non è la più alta forma della carità.
È così nonostante ce la raccontiamo citando qua e là quella frase.
Ci piace ricordacelo, ma nella vita reale non ne siamo per niente convinti e, forse non ne erano convinti nemmeno loro quando lo dicevano.
Se così fosse non ci faremmo tante fisime mentali e, nelle parrocchie, formeremmo i giovani all'impegno in politica, non importa poi in quale schieramento sceglieranno di far parte, intanto saranno formati…
Altrimenti nei seminari si insegnerebbe ai futuri sacerdoti anche la Dottrina Sociale della Chiesa, mentre questo non avviene…"
Sono infatti almeno trent'anni che la Chiesa, continuando a predicare il dovere dei laici a impegnarsi in politica, si è totalmente disimpegnata dalla politica. In altre parole, sono ALMENO trent'anni che la Chiesa invita i laici a impegnarsi in politica e poi li abbandona. Ma nessun laico può desiderare questo, nessun laico credente può desiderare di essere abbandonato dalla propria Casa: per questo i laici che amano davvero la Chiesa poi aborriscono la politica.

Ma una conseguenza diretta, già qui sopra descritta, della mancanza di impegno e quindi di esperienza, è l'impossibilità di un giudizio che non sia determinato da una ideologia e quindi non diventi pregiudizio.
La questione del "voto utile" è un esempio clamoroso e straziante di quanto oggi l'ideologia moderna abbia devastato la capacità di giudizio dell'uomo comune, del cristiano comune.

Infatti il criterio per cui si vota, per cui si va a votare è quello della Verità, non quello della utilità.
Con il voto di queste elezioni politiche, ogni cittadino e cristiano credente di fatto deve tentare di rispondere a queste domande:
- è vero che la famiglia è sotto attacco?
- è vero che occorre cancellare la legge Cirinnà?
- è vero che c'è in corso una gravissima crisi demografica e che questa è la prima emergenza e occorre fare di tutto per favorire le famiglie che fanno figli, in particolare le famiglie numerose?
- è vero che è male ripristinare le "case chiuse"?
- è vero che per uscire dalla crisi economica occorre ripristinare una moneta nazionale'
- è vero (o falso) che... (ecc...)

La categoria da utilizzare è quella della verità, non quella dell'utilità.
La categoria dell'utilità può e dev'essere utilizzata per la gestione del potere, per la conservazione dello status quo. La categoria dell'utilità ha come criterio quello della convenienza. E da questo consegue che se, in una determinata occasione, verità e convenienza sono in conflitto, se prevale il criterio della convenienza allora si usa la categoria dell'utilità come motivazione adeguata di quella scelta.

Duemila anni fa c'è stato il più famoso processo della storia dell'umanità. Ma quel processo non è stato deciso semplicemente da un giudice o da una giuria. Quel processo è stato determinato da una votazione del popolo, suscitata dalla domanda di Pilato: "Chi volete che vi rilasci? Barabba o Gesù detto il Cristo?" (Mt, 27,17).
Questo è il caso più clamoroso di "voto utile". Infatti il sommo sacerdote Caifa si era già espresso in tal senso: "Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera" (Gv 11, 49-50). E proprio in forza di questa considerazione i poteri dell'epoca si erano mossi: "Ma i sommi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a richiedere Barabba e a far morire Gesù." (Mt 27,20).
Di tutto questo Pilato era ben cosciente: "Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia." (Mt 27,18). In altre parole, sapeva bene che stavano per condannare un innocente e che le accuse non avevano prove. Lui stesso non le aveva trovate.
E alla fine, nel dialogo con Gesù, emerge il cuore della questione. Gesù ripete che è venuto per rendere testimonianza alla verità e Pilato replica facendo prevalere il dubbio, che porta alla fine a far prevalere il criterio della conservazione dello status quo: "Che cos'è la verità?" (Gv 18, 38).
E quindi ovviamente se ne lava le mani: "Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa dell'acqua, si lavò le mani davanti alla folla: «Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!»" (Mt 27,24).

Dopo duemila anni, la questione esistenziale della testimonianza della verità si ripropone in tutta la sua drammaticità.

Questo è il minimo che avrebbe dovuto dire chiunque ha a cuore il fatto cristiano.



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