Per comprendere meglio i contenuti di questo blog, si consiglia caldamente di leggere le pagine "Le origini di questo blog" e "La missione di questo blog" affinché le considerazioni (critiche) che vengono svolte nei post siano collocate nella giusta ottica e all'interno di una cornice di riferimento adeguata.

lunedì 26 agosto 2019

La deriva protestante e il "noi" scomparso

Così si legge oggi nella prima pagina del sito del Meeting:
"Quello a cui stiamo assistendo nel nostro tempo è qualcosa di nuovo, di inedito: non bastano più le parole abituali per afferrarlo, e le analisi con cui si è cercato per tanto tempo di capire la crisi – o meglio le diverse crisi – del nostro mondo sembrano armi spuntate.
Da un lato una capacità stupefacente di costruire, manipolare e controllare la realtà attraverso un potere tecnologico sempre più diffuso; dall'altro un sempre più profondo smarrimento riguardo al senso per cui ciascuno di noi sta al mondo e alla società che si vuole costruire. E così, paradossalmente, alla potenza della tecnica, che muove ormai l’economia e la politica globali, si accompagna l’impotenza endemica della povertà – povertà di beni e soprattutto di significato – che dilaga nel mondo.
Ma qual è la novità che urge? Essa sta nella realtà più nascosta e apparentemente più scontata, ma al tempo stesso più essenziale e decisiva di tutto il resto: l’io di ciascuno di noi.
È in questa realtà del soggetto umano il punto infuocato del mondo intero, quello da cui dipendono ultimamente tutti i macrofenomeni della storia. Ma la grandezza e l’inquietudine dell’io, in ciascuno di noi, sta nella sua autocoscienza, nella possibilità – sempre aperta – di cercare e di scoprire ciò per cui vale la pena vivere e costruire. Qui sta il punto d’appoggio per vivere tutto..."

Rimane difficile per tutti ammettere di aver sbagliato, di non aver capito. Però se quando si cerca di ammetterlo si usano frasi a dir poco "fumose" si rischia di far più danno di prima. Inoltre se si afferma che "le analisi... sembrano armi spuntate" si da la sensazione di incertezza, di aver capito che le analisi sono sbagliate ma ancora non si è capito perché: in fin dei conti si da l'impressione di proporre l'ennesima analisi sbagliata.

Poi si propone il solito schemino della potenza tecnica e tecnologica e della corrispondente debolezza spirituale, uno schemino interpretativo valido per almeno gli ultimi 100 anni.

Infine la frase fatidica.
Ma qual'è la novità che urge? ... l'io di ciascuno di noi.
Intanto è facile notare che il "noi" non è un termine sconosciuto. Potevano scrivere "l'io" e il senso della frase non sarebbe cambiato. In fondo qui il "noi" è del tutto accessorio, una circostanza quasi casuale. Infatti nello sviluppo della riflessione successiva questo prende in considerazione solo l'io, mentre il noi non c'è più, non è da considerare, tutto è catalizzato e preso e compreso nell'io: Qui sta il punto d'appoggio per vivere tutto.

Quando ho iniziato da giovane a leggere la Bibbia da solo, la cosa che più mi ha colpito è che Dio non si occupa di salvare l'uomo, il singolo uomo, ma il popolo, il suo popolo. Di fronte a Dio c'è il suo popolo. La fede è la fede del popolo. Solo all'interno del popolo il singolo assume un valore e il suo valore è sempre in funzione del popolo. Tanto è vero che pure i Comandamenti, a parte i primi tre che riguardano direttamente la relazione con Dio, tutti gli altri pongono dei limiti alle relazioni tra gli uomini e sono stati la sorgente, nel popolo di Israele, di tutto il diritto.
Lo diciamo pure noi durante la Santa messa: "Questa è la nostra fede, questa è la fede della Chiesa...". La nostra fede, non la mia fede.

Se si oblitera il "noi" come soggetto di esperienza della fede, le conseguenze sono gravissime e la prima a rimetterci è la Chiesa in quanto "noi" credenti. Proprio a partire da queste considerazioni è nata l'eresia protestante, che ha ridotto il rapporto uomo-Dio ad un rapporto solo personale, con l'esclusione di qualsiasi mediazione.

Per concludere, la frase andrebbe capovolta: Ma qual'è la novità che urge? Il noi di ciascun io.
Il noi, cioè la coscienza che siamo perché apparteniamo, siamo collocati in un ambiente umano, in una famiglia, in una comunità. La cosa che più urge oggi è la coscienza che l'uomo non è solo, l'uomo per sua natura è un essere relazionale che si sviluppa e matura nella relazione. L'uomo non in relazione è per definizione un alienato, un estraneo a se stesso. L'attacco alla famiglia come istituzione naturale è precisamente l'attacco all'uomo nella sua radice, nella sua natura di essere relazionale.
Paradossalmente, con una affermazione del genere, che pone in risalto il noi prima dell'io e quindi la necessità di considerare il prossimo come parte di me, si potrebbe rafforzare decisamente la narrativa dell'accoglienza che oggi sembra tanto appassionare tanta parte della Chiesa.
Invece al contrario, nella definizione proposta dal Meeting e oggi tanto in voga in CL, l'io è al centro di tutto, è il "punto d'appoggio per vivere tutto" e l'altro, il prossimo, rimane un estraneo.

Ma su questa strada, anche l'io rimane un estraneo. Infatti anche Gesù, l'unico capace di dare senso alla mia vita, è radicalmente altro da me. E questa centralità  dell'io può farmi conoscere Gesù solo nelle limitate interazioni del mio io.
Qui le strade possono essere due. O Cristo rimane in fondo un grande ignoto. Oppure viene definito per quello che io capisco, cioè in modo molto molto limitato, a mia immagine o immaginazione, secondo il mio comodo.
In fondo, il "Gesù comodo", il "Gesù buono" che evita ogni divisione e ogni contrasto, che sottace la Verità per non creare contrasti, è il grande dittatore dei nostri tempi. Non un dittatore visibile, ma il dittatore delle nostre coscienze intorpidite, tanto intorpidite da non accorgersi di questa dittatura.

Però una differenza visibile e misurabile c'è. I cristiani che non sono intorpiditi sono anche inquieti, sono polemici, sono oppositivi, sono divisivi.
E, soprattutto, si riconoscono dai frutti.


sabato 27 luglio 2019

CL preferisce salvare gli assassini

"Il gruppo di CL cui appartenevano sia la vittima sia l'imputato ha preferito salvare un barbaro assassino che una vergine accoltellata".
Queste, secondo un articolo del Giornale, le parole precise di un magistrato, pronunciate in un'aula di giustizia.

Le parole sono state pronunciate nell'aula della Corte d'assise d'appello nel processo relativo all'omicidio di Lidia Macchi, diciottenne seguace del movimento di Comunione e Liberazione, avvenuto nella notte tra il 5 e il 6 gennaio 1987. Un omicidio efferato, ben ventotto coltellate.

Le parole sono state pronunciate dal sostituto pg Gemma Gualdi, la quale aveva ha sostenuto l’accusa in primo e secondo grado.

C'è molto da dire su questa vicenda, ma è già stato detto tantissimo e pure piuttosto bene, per esempio in questo ottimo pezzo su Tempi. Per riassumere in poche parole: un caso giudiziario diventato un esercizio di persecuzione e di pregiudizio nei confronti di una realtà, quella di Comunione e Liberazione, che allora dava fastidio ai poteri costituiti. Una persecuzione che dopo oltre trent'anni non è finita, perché la sola nostra esistenza è motivo sufficiente di persecuzione.

Una persecuzione che ha avuto dei momenti di parossismo, per esempio quando l'accusa accusò di falsa testimonianza un testimone, che scagionava l'innocente Stefano Binda perché con lui in vacanza la notte dell'omicidio. O per esempio quando i magistrati che verranno in seguito severamente biasimati e pesantemente condannati dal Csm per aver indagato non rispettando la legge, male e in un’unica direzione (preti e amici di Cl della vittima), per cui, come atto preliminare, in sede di avocazione dell’inchiesta, nel 2013, la Procura generale di Milano dovrà compiere l’atto ufficiale di aprire formalmente l’inchiesta a carico del sacerdote e, contestualmente, chiuderla immediatamente per mancanza di prove.

Devo dire che non mi aspetto, dopo questa dichiarazione di un magistrato, alcuna dichiarazione da parte di CL. La CL di oggi preferisce non esporsi pubblicamente, preferisce non essere visibile, preferisce non esprimere giudizi. Mi aspettavo invece una qualche reazione di qualche altro soggetto isolato. Una reazione che c'è stata, ma dal tono completamente sbagliato.

Dispiace perché tante volte ho apprezzato gli scritti di Luigi Amicone e gli interventi puntuali della rivista Tempi. Ma stavolta non ci siamo proprio. Mi pare che l'articolo in questione abbia proprio mancato il bersaglio.

Intanto partiamo dal punto focale, imprescindibile per l'ottica cristiana. Lidia Macchi oggi è viva e, a Dio piacendo, gode di beatitudine infinita nel Regno dei Cieli. CL preferirebbe salvare un barbaro assassino? Si, certo. Proprio come insegna da sempre la Chiesa e proprio come ha insegnato Gesù stesso, per esempio con la parabola del pastore che cerca la pecorella smarrita e poi della donna che cerca la moneta smarrita.

Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro». Allora egli disse loro questa parabola: «Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione.
O quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta. Così, vi dico, c'è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
(Lc 15, 1-10)
Ancora oggi, dopo duemila anni, lo scandalo della ricerca e del recupero della feccia dell'umanità è insopportabile per l'ideologia modernista oggi dominante. Una ideologia così pervasiva e martellante che anche chi ha fede rischia ogni momento di assorbirla e di usarla come misura di giudizio.




giovedì 25 luglio 2019

Il mistero dell'uomo

Il vangelo di domenica 21 luglio richiamano alla responsabilità umana, al suo livello più profondo.
Oggi viviamo in un'epoca nella quale domina il relativismo, cioè il pre-giudizio che probabilmente una verità non c'è, ma anche ci fosse non abbiamo i criteri per riconoscerla e quindi essa rimane comunque inconoscibile.

La conseguenza ovvia è il disimpegno.
Per cosa impegnarsi, infatti?
Per il bene?
E cosa è il bene? Qual'è il bene, per me o per il prossimo?
Se non c'è nessuna verità, come faccio a sapere il bene?

Ma quando un bene oggettivo è presente, non si fanno calcoli: allora ci si rende operativi, facendo l'utile ed il possibile, secondo le proprie capacità.
Anche questo atteggiamento propositivo e operativo rischia però di essere ingannevole, rischia di essere l'atteggiamento "buonista" di chi non si preoccupa di conoscere il bene e ritiene di fare il "bene" e di far coincidere il "bene" con quello che fa.

Al contrario, qualsiasi cosa si faccia, la ricerca del bene rimane sempre una responsabilità cruciale. Questo secondo me è il senso profondo della risposta di Gesù a Marta, la quale, impegnata nelle faccende domestiche, si lamentava con Gesù che Maria non le desse un aiuto e "perdesse" il tempo ad ascoltarlo.
Il cuore del problema di Marta non era il suo impegnarsi nelle faccende domestiche, certamente utili e necessarie. Il cuore del problema è che quello per lei fosse lo spunto per lamentarsi della presunta inazione altrui.

Il richiamo di Gesù è invece alla ricerca del "bene", definito come l'unica cosa necessaria, perché l'azione senza ricerca del bene è una illusione di bene. E il "bene" di ciascuno è Cristo stesso, lui presente nell'intimo di ciascuno di noi come afferma San Paolo nella seconda lettura dello stesso giorno. "il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi. A loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria". (Col 1, 25-28).

Il bene è nell'intimo di ogni uomo, è il mistero nascosto nell'intimo di ogni uomo: Cristo in noi, la speranza della gloria.

domenica 14 luglio 2019

La menzogna sul "prossimo"

Sono diversi mesi che non scrivo, preso dalla frenesia della vita quotidiana e dalla difficoltà di trovare il tempo per riflettere un attimo. Ma ci sono momenti che sono come una scossa, per cui ci si deve fermare e si deve scrivere una riflessione.

L'occasione questa volta è un tema che mi è caro, tanto più che da vent'anni sento ripetere quella che secondo me è una interpretazione completamente sbagliata del vangelo di oggi.

Il brano di vangelo in questione è quello della celebre parabola del "buon samaritano" (Lc 10, 25-37) e proprio perché celebre mi sembra ancor più incredibile che si continui con questa interpretazione sbagliata. Eppure l'interpretazione è semplice, perché lo stesso Gesù parla chiaro.
L'equivoco può nascere perché alla fine del brano Gesù afferma "Va' e anche tu fa' lo stesso". Ma tutto il tema della parabola è la risposta alla domanda iniziale del dottore della Legge: "E chi è il mio prossimo?". Se si scollega la parabola da questa domanda si potrebbe accusare Gesù di essere stato evasivo e di non aver risposto. Invece proprio alla fine la parabola si conclude con il chiaro riferimento alla domanda iniziale: "Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti? Quello rispose: Chi ha avuto compassione di lui. Gesù rispose: Va' e anche tu fa' lo stesso".

Il sottinteso, che non viene colto da chi sbaglia l'interpretazione, è che chi è caduto nelle mani dei briganti alla fine amerà il samaritano. Quello è il suo prossimo. E quello Gesù invita ad amare. Invita ad amare non chi appartiene al tuo popolo, non il levita (il ministro del tempio), ma lo straniero, l'eretico secondo i giudei, che però si è preso cura di lui. E questo è il messaggio di questa parabola, straordinariamente rivoluzionario per la mentalità dell'epoca.

Invece si assiste alle solite omelie "buoniste", di quelle che inneggiano alla cura dei poveri/stranieri/migranti perché quelli sono il nostro prossimo, senza alcun riguardo e alcuna considerazione su cosa abbiano fatto e su cosa abbiano intenzione di fare. Ma con questo messaggio buonista la parabola perde ogni significato rivoluzionario e ogni carica esplosiva. Così non c'è nemmeno bisogno di credere in Dio.

Ed è quello che, non a caso, ha affermato proprio oggi Papa Francesco, prima della recita dell'Angelus: "anche uno che non conosce il vero Dio e non frequenta il suo tempio, è capace di comportarsi secondo la sua volontà, provando compassione per il fratello bisognoso e soccorrendolo con tutti i mezzi a sua disposizione".
Il piccolo problema è che con questa interpretazione il buon samaritano diventa il protagonista della parabola e l'uomo aggredito diventa il prossimo: "Gesù, dunque, propone come modello il samaritano, proprio uno che non aveva fede! Anche noi pensiamo a tanta gente che conosciamo, forse agnostica, che fa del bene. Gesù sceglie come modello uno che non era un uomo di fede. E questo uomo, che amando il fratello come sé stesso, dimostra di amare Dio con tutto il cuore e con tutte le forze – il Dio che non conosceva! -, ed esprime nello stesso tempo vera religiosità e piena umanità" (Papa Francesco).
Ma questo è esattamente l'opposto di quanto dice il Vangelo. Il protagonista della parabola è l'uomo aggredito e il suo prossimo, quello che è invitato ad amare, è il buon samaritano, quello che si prende cura di lui.

sabato 4 maggio 2019

Non è Francesco?

Dopo la lettera aperta nella quale si contestano a Bergoglio l'accusa di eresia, sarà sempre più difficile per la gerarchia nascondersi. Dovranno prendere una posizione. Dovranno dare una risposta.
La devono dare prima di tutto a noi laici.
E noi laici abbiamo ormai il dovere di incalzarli, di chiedere una risposta. E di chiedere un conseguente comportamento, di chiedere una conseguente esposizione su questo fatto di inaudita gravità.

Personalmente, rimango completamente convinto dell'opinione che il Conclave 2013 sia nullo e quindi sia sostanzialmente nullo tutto ciò che ne è conseguito.
Però io sono solo un laico, che liberamente esprime la sua opinione e nulla più, perché nulla più posso fare e nulla più mi consente il mio stato.

Ma un Vescovo, un Cardinale hanno il diritto e il dovere di chiedere al Vescovo di Roma di "confermare i fratelli nella fede" perché quello è il suo compito, o di confermare la sua eresia.

Il punto però è: che succede poi? Che succede se, come altamente probabile, non dovesse rispondere e comunque non abbandonasse il soglio di Pietro?
Nulla. Occorrerebbe attendere il successore per avere forse una risposta.

Mi pare che invece la situazione cambi radicalmente se il Conclave 2013 venisse dichiarato nullo da uno qualsiasi dei cardinali partecipanti. Un conclave nullo è semplicemente un conclave non fatto.
Sarebbe da fare, con la massima urgenza, un nuovo conclave.
E in mancanza di altri, basterebbero due cardinali.