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martedì 30 giugno 2015

Il 20 giugno abbiamo vinto tutti

Sul sito lacrocequotidiano.it si è aperto un interessante dibattito sulla manifestazione del 20 giugno a Roma. Tra gli altri, è da segnalare l'intervento di don Mauro Leonardi perché qualifica in maniera piuttosto completa e ordinata le ragioni di chi pensa che la manifestazione sia stata poco opportuna ed era meglio non partecipare, privilegiando in qualche modo un dialogo con chi non è d'accordo con le posizioni cristiane.
Innanzitutto una breve nota linguistica. L'evento è stato organizzato da un neonato comitato "Difendiamo i nostri figli" e aveva per epicentro l'educazione dei figli e come argine la famiglia. Nella lettera di don Leonardi, la parola "famiglia" ricorre sei volte, la parola "educazione" invece nessuna. Evidentemente perché nessuno si sogna di mettere in discussione il fatto che l'educazione deve avere come attore principale la famiglia, ma si inizia a mettere in discussione il tipo di famiglia per far passare l'educazione voluta dal potere dominante. Allora, se di qualcosa si vuole discutere, occorre discutere dell'educazione, di cosa significhi e di quali siano gli attori principali e le modalità più adeguate.
Detto questo, passiamo al contenuto della lettera, cioè le ragioni per cui, secondo don Leonardi, con la manifestazione di piazza "abbiamo perso tutti".
Afferma don Mauro:
"Infatti, anche se forse nelle intenzioni degli organizzatori non era così, quella che è arrivata al paese è stata la logica dello schieramento: un “noi e loro”, un “assediati e assedianti”, che a me pare non giovi assolutamente né alla Chiesa né all'Italia in generale. Uno schieramento preclude la possibilità di aiutare a capire meglio: manifesta un’ansia riduzionista, la voglia di semplificare le cose. E invece, oggi più che mai, abbiamo bisogno di allargare le nostre prospettive."
La "logica dello schieramento" quindi "non giova". Ma è davvero così? E in quali casi? Ovviamente non giova nel caso in cui vi sia un dialogo in corso con una controparte intenzionata al dialogo. Ma proprio questo è quello che è stato denunciato da tutti i diversi soggetti organizzatori, cioè una mancanza di dialogo riscontrata in tanti incontri svoltisi a ritmo serrato nell'ultimo anno.
Anzi, nella maggior parte dei casi, da parte dei partecipanti agli incontri vi era una completa ignoranza delle leggi che si andavano proponendo e di tutte le possibili conseguenze, anche sulla scorta delle esperienze già verificatesi in altri paesi europei.
Personalmente posso dare, nel mio piccolo, la testimonianza del fatto che tante persone, che poi hanno partecipato alla manifestazione, hanno scoperto i contenuti di quello che sta accadendo solo dopo essersi incuriositi per la notizia della manifestazione del 20 giugno.
Riguardo al "bisogno di allargare le prospettive", chi non può essere d'accordo? La questione però è come allargare le prospettive. Perché si possono allargare le prospettive facendo tante chiacchiere e moltiplicando la confusione, ma si possono allargare le prospettive includendo la realtà. E la realtà è costituita di tante persone (anche omosessuali!), tante famiglie che fanno una bellissima esperienza di famiglia e che non vedono l'ora di poterla testimoniare in pubblico, in una qualsiasi occasione.
La famiglia naturale è una cosa meravigliosa! Questo è stato il grido principale di una piazza, che nessuno può negare.
Continua don Mauro:
"Infine, innegabilmente, il mondo laico ha identificato tutto il mondo cattolico con le posizioni espresse sabato 20 in piazza San Giovanni. Io, nel mio piccolissimo, ho cercato di far vedere che non era così, ma è stato praticamente impossibile. Questo è un grossissimo problema - se vogliamo è un problema di tipo “politico” - perché è un ostacolo insormontabile a cercare alleanze anche con chi la pensa diversamente ma su singole questioni può essere d’accordo e aiutare a conseguire risultati concreti."
Partiamo dai fatti: in piazza c'erano, rappresentati pure dagli intervenuti al microfono, tanti cattolici, musulmani, ebrei, laici non credenti o poco credenti. Tutti però convinti del bene prezioso che è la famiglia.
Se partendo da tali fatti, gli interlocutori di don Mauro li negano in modo così deciso da rendere "impossibile" per lui "far vedere che non era così", dovrebbe forse chiedersi se tali interlocutori siano davvero disposti al dialogo oppure non stiano facendo perdere tempo. Rimane il fatto oggettivo paradossale: da una parte don Mauro, che ha tanta difficoltà a "cercare alleanze con chi la pensa diversamente", mentre dall'altra gli organizzatori della manifestazione non hanno avuto difficoltà a entrare in dialogo e ricevere il pieno e pubblico consenso con chi la pensa diversamente (ebrei, musulmani, ecc.).
Vado al cuore del ragionamento. Oltre che in campo cristiano, anche dall'altra parte occorrerebbe vagliare tra chi è veramente intenzionato al dialogo e chi no.
"Ma dopo sabato 20 giugno sarà ancor più difficile parlare con loro [laici e femministe] per trovare soluzioni che favoriscano il bene comune, e non quello di una parte, perché la logica dello schieramento radicalizza le posizioni, preclude il dialogo, e quindi la possibilità di perseguire obiettivi intermedi o anche solo parziali, che vanno però a beneficio di tutti."
Ho enorme rispetto per la fatica che don Mauro e tanti altri (sacerdoti e non) fanno nel dialogo con chi la pensa come noi. Ma il compito di noi cristiani non è il dialogo, ma la conversione. Il dialogo può essere un mezzo, uno dei tanti, verso la conversione.
Io personalmente non mi sono convertito per un dialogo, ma per una novità, di cui prima ho fatto esperienza e poi ho meglio capito. Sulla strada della sempre migliore comprensione, il dialogo è stato uno degli strumenti, ma solo uno dei tanti.
E qui siamo alla questione centrale della manifestazione del 20 giugno, una questione finora rimasta nell'ombra. La manifestazione era prima di tutto per noi, per chi vi ha partecipato. Doveva essere ed è stata l'esperienza personale di partecipazione ad un popolo che in quanto tale ha la possibilità di essere popolo di Dio. Perché se non c'è un popolo, diventa molto difficile (non impossibile, ma più difficile) l'esperienza di incontro con Dio e la scoperta di poter essere popolo di Dio. E soprattutto diventa difficile comprendere, tramite un'esperienza, cosa sia la Chiesa, se non si fa ANCHE esperienza di appartenenza ad un popolo.
Che a questa esperienza abbiano preso parte tante persone lontane dal nostro credo è veramente una grazia grande! Perché tutti noi sappiamo che è Dio a muovere i cuori. Però poi serve anche una piazza dove, appresso ai cuori, si muovano gambe, braccia, mani, volti e occhi di uomini che amano Dio come possono e come lo conoscono.
Allora il grande impatto anche per chi non vi ha partecipato è la presenza di un popolo capace di muoversi per difendere i valori in cui crede. A partire da questo nasce un vero dialogo, che così evita lo scontro ideologico su posizioni oggettivamente inconciliabili. Se invece che da partire dalle proprie idee (o dalle idee del proprio credo) si parte da un'esperienza, alla fine si potrà sempre proporre di verificare partecipando a quella esperienza. Altrimenti il dialogo può procedere solo per un annacquamento della propria posizione e della propria identità.
Per questo la manifestazione del 20 giugno è stata una vittoria per tutti!

Un contrattacco al potere dominante

Queste sono le parole con le quali Gianfranco Amato nella manifestazione del 20 giugno ha citato don Giussani:
«Ascoltate questa citazione: “Il potere mondano tende a risucchiarci, ma la nostra presenza deve far la fatica di non lasciarsi invadere; questo deve avvenire attraverso un contrattacco. Un contrattacco alla mentalità comune, un contrattacco alla teoria dominante, un contrattacco all’ideologia del potere”. Queste parole sono state pronunciate da un grande uomo che io ho conosciuto quarant’anni fa, avevo quattordici anni. E sono state pronunciate proprio sulla libertà di educazione. Il nome di quell’uomo è don Luigi Giussani. Uno che se oggi fosse vivo sarebbe qui con noi, in piazza a ricordarci quanto sia stata drammaticamente profetica la sfida da lui lanciata al Potere, quando disse: “Mandateci in giro nudi, toglieteci tutto, ma non toglieteci la libertà di educare i nostri figli”, grazie don Giussani!».
L'obiettivo della piazza era questo, poteva e doveva essere solo questo: un gesto di fatica per non lasciarsi invadere dal potere mondano, dal potere oggi dominante.
Cosa ci insegna don Giussani? Che questa fatica da attuare per non lasciarsi invadere dal potere dominante, deve essere attuata attraverso un contrattacco.
Questo è stato ricordato esplicitamente in piazza, da un oratore.
Potevo io mancare? Potevamo noi mancare? No, non potevamo mancare. Ma non soprattutto perché io dovevo partecipare ad un evento importante, un evento che mi trova d'accordo.
NO, l'obiettivo principale era ed è che questa è una cosa per me, per iniziare a fare io questa fatica per non lasciarmi invadere dal potere dominante, per iniziare ad essere io un luogo dove il potere dominante, che normalmente domina, nel mio io non domina.
Inizia la riscossa, inizia da me.

lunedì 29 giugno 2015

Il fallimento della Democrazia

A ulteriore prova (ma ne verranno fuori altre, ci scommetto) della inutilità della politica, verifichiamo quello della Democrazia (con la D maiuscola, quella nata in Grecia).
Infatti, mentre in Grecia ci si avvicina al referendum, pochissimi hanno notato che quel referendum è contro la lettera e contro lo spirito della Costituzione della Grecia. E anche contro ogni idea di democrazia. Infatti la democrazia non può decidere tutto, la democrazia non può decidere di annullare sé stessa o i propri principi.
Qui non voglio fare una analisi della proposta della UE, ma delle intenzioni di Tsipras, che così ha giudicato quella proposta:
"...Un ultimatum che è contrario, non rispetta i principi costitutivi e i valori dell’Europa, i valori della nostra comune casa europea. È stato chiesto al governo greco di accettare una proposta che carica nuovi e insopportabili pesi sul popolo greco e minaccia la ripresa della società e dell’economia, non solo mantenendo l’insicurezza generale, ma anche aumentando in modo smisurato le diseguaglianze sociali....   Queste misure violano in modo diretto le conquiste comuni europee e i diritti fondamentali al lavoro, all'eguaglianza e alla dignità... ...in questo momento pesa su di noi una responsabilità storica davanti alle lotte e ai sacrifici del popolo greco per garantire la Democrazia e la sovranità nazionale, una responsabilità davanti al futuro del nostro paese. E questa responsabilità ci obbliga a rispondere all'ultimatum secondo la volontà sovrana del popolo greco"
Se questa è la convinzione di Tsipras e del suo governo, la risposta deve essere un limpido NO, non può e NON DEVE essere sottoposta a referendum!
E questo recita la Costituzione Greca:
Art. 2. – 1) Il rispetto e la protezione della dignità della persona umana costituiscono l'obbligo fondamentale dello Stato.
2) La Grecia, conformandosi alle regole universalmente riconosciute del diritto internazionale, persegue il consolidamento della pace e della giustizia, nonché lo sviluppo delle relazioni amichevoli tra i popoli e gli Stati

Art. 22. – 1) II lavoro costituisce un diritto ed è posto sotto la protezione dello Stato, che vigila per creare delle condizioni di piena occupazione per tutti i cittadini e per il progresso morale e materiale della popolazione attiva, rurale ed urbana...
Art. 28. – 1) Le regole del diritto internazionale generalmente accettate, come pure i trattati internazionali dopo la loro ratifica da parte della Camera e la loro entrata in vigore conformemente alle disposizioni di ciascuno di loro, fanno parte integrante del diritto interno greco e hanno un valore superiore alle eventuali disposizioni contrarie della legge. L’applicazione delle regole del diritto internazionale generale e dei trattati internazionali nei confronti degli stranieri è sempre sottoposta alla condizione della reciprocità.
2) Allo scopo di servire un importante interesse nazionale e di promuovere la collaborazione con altri Stati, è possibile attribuire, per via di trattato o d’accordo internazionale, talune competenze previste dalla costituzione ad organi di organizzazioni internazionali. Per la ratifica del trattato o dell’accordo è richiesta una legge votata dalla maggiorana dei tre quinti del numero complessivo dei deputati.
3) La Grecia può liberamente apportare, con una legge votata a maggioranza assoluta del numero complessivo dei deputati, delle restrizioni all'esercizio della sovranità, nazionale, purché tali restrizioni siano imposte da un interesse nazionale importante, non ledano i diritti dell’uomo e i fondamenti del regime democratico e siano compiute nel rispetto del principio di uguaglianza ed in condizioni di reciprocità. 
Al limite, sarebbe stato sufficiente sottoporre alla Corte Suprema Speciale le proposte della UE per verificare se compatibili con la Costituzione Greca e con i principi che essa contiene.
Ma non può essere sottoposto a referendum la violazione di un diritto (come il diritto al lavoro, per esempio) sancito dalla Costituzione o come le restrizioni alla sovranità (in materia fiscale, per esempio) che non siano compiute nel rispetto del principio di uguaglianza e in condizioni di reciprocità!
Ulteriori dettagli e approfondimenti li trovate sul blog Orizzonte48

sabato 27 giugno 2015

Inutilità della politica

La parlamentare Eugenia Roccella ha pubblicato una lettera aperta rivolta ai manifestanti del 20 giugno.
Tale lettera costituisce l'ennesima riprova della inutilità della politica in questa fase storica. Una inutilità, di quella che è stata anche definita la massima carità, determinata dallo svuotamento e dalla sottrazione della sovranità perpetrata dalle istituzioni europee con il permesso complice e colpevole di alcune istituzioni italiane.
D'altro canto i politici non sono riusciti, nella massima parte, a sottrarsi all'ideologia dominante, ai suoi schemi di pensiero e alla sua stessa terminologia: è come tentare di affrontare un avversario armato di coltello, armandoci anche noi di coltello ma impugnandolo dalla parte della lama, cosicché ogni "colpo" inferto col manico produce di fatto una ferita a noi.
Un esempio di questo è proprio la lettera citata. La parlamentare giustifica il proprio voto di fiducia favorevole alla legge sulla scuola, motivandola con l'irrilevanza di un eventuale voto contrario, vista l'ampia maggioranza del governo.
Con il suo stesso giudizio la Roccella qualifica la sua azione parlamentare: i deputati e senatori cattolici sono irrilevanti, tanto che se votassero contro il risultato sarebbe lo stesso. Dispiace davvero che nelle considerazioni non abbia alcuno spazio il valore della testimonianza, ma solo il risultato.
Noi ciellini abbiamo imparato che l'esito è nelle mani di Dio, ma a noi rimane l'onere e la responsabilità di fare comunque la nostra parte. Così diceva Cesare Balbo:
"Solo i codardi chiedono al mattino della battaglia il calcolo delle probabilità; i forti e i costanti non sogliono chiedere quanto fortemente né quanto a lungo, abbiano da combattere, ma come e dove, e non hanno bisogno se non di sapere per quale via e per quale scopo, e sperano dopo, e si adoperano, e combattono, e soffrono così, fino alla fine della giornata, lasciando a Dio gli adempimenti".
Bene, tutto questo pare non avere posto nelle considerazioni della Roccella e dei politici italiani. Loro puntano al risultato, quello per loro conta. Ma il risultato lo abbiamo visto: dal punto di vista del risultato sono irrilevanti.

Ma non basta. La Roccella afferma esplicitamente negli ultimi due punti (7 e 8) della sua lettera che è un pericolo mettere in dubbio la fiducia del governo in questo momento storico. In altre parole, se il suo voto fosse stato decisivo, pur di sostenere il governo lei avrebbe votato a favore di una legge sbagliata.
Ma allora, i politici cattolici a che servono?
A che servono, se pure quando ci sarebbe da vincere la battaglia, loro starebbero col nemico?

Ma siamo in guerra, è bene tenerlo bene a mente. E in guerra la politica non serve. Servono le azioni. Come quelle di domenica 20 giugno.
Che ora un problema evidente inizia a porlo: le famiglie cattoliche stanno imparando a fare a meno dei politici cosiddetti cattolici e costruiranno un nuovo mondo facendo a meno di questo ciarpame di politica. Facendolo e basta.

venerdì 26 giugno 2015

Per porsi, ci si oppone

Un altro articolo, di un altro sacerdote, che motiva la sua adesione alla manifestazione del 20 giugno. Dopo l'articolo di don Fabio, che ho commentato qui, sempre su culturacattolica.it è apparso un articolo di don Gabriele Mangiarotti. Ribadendo la stessa posizione di don Fabio, l'articolo è interessante perché viene dopo una scuola di comunità dove Carron ha ripreso le ragioni della non adesione. Così ora sappiamo che anche negli incontri preparatori, nei quali Kiko ha spiegato la necessità di una simile manifestazione in questo momento delicato, Carron ha obiettato che non gli sembrava il metodo più adeguato, riportando l'esperienza spagnola di tante dimostrazioni di massa che non hanno sortito l'effetto desiderato.
Qui si dimostrano i limiti di un giudizio. Evidentemente non è stato considerato che l'evento poteva e doveva avere prima di tutto un carattere educativo soprattutto per chi ci avesse partecipato. E la prima educazione è quella di essere uniti, di muoversi insieme, di apparire insieme.
No, Carron ha giudicato negativamente il metodo (cioè l'andare in piazza) dal punto di vista delle probabilità del successo, cioè la probabilità di fermare la legge in fase di discussione.
Per questo giustamente don Gabriele Mangiarotti ha ribadito che
"quanto affermato rispetto a ciò che è accaduto in tempi più o meno recenti, sia in Spagna che in Italia o in Francia, non può essere inteso come giudizio che nasca dalla fede... ...Per questo credo che non si possa rimanere inerti di fronte allo sfacelo educativo verso il quale ci stiamo avviando. Ci vuole chiarezza di giudizio e tempestività di azione, che rivestono il volto di una autentica testimonianza, personale e sociale, senza contrapposizioni."
Ma c'è un'altra affermazione importante, che mostra come il problema non riguardi solo CL, ma tutta la realtà della Chiesa e di ogni singolo cristiano.
"Se un popolo si desta, come mi pare stia accadendo (e ritengo che sia quello che è accaduto anche in Spagna e in Francia) allora quello che è necessario è che i pastori siano autentici padri. E qui la responsabilità è grave e spesso disertata. Non sappiamo che farcene di pastori che si disinteressano delle domande autentiche di un popolo che chiede ragioni per essere educato e compagnia e sostegno per testimoniare la verità della sua fede... ...Gesù piangeva di fronte a un popolo di pecore senza pastore."
 Evidentemente questo è un richiamo che riguarda tutta la Chiesa, chiamata a guidare il popolo di Dio in un momento di tempesta per l'umanità.
per concludere, non resta che riproporre le parole di Cesare Balbo, citate anche da don Giussani.
"Solo i codardi chiedono al mattino della battaglia il calcolo delle probabilità; i forti e i costanti non sogliono chiedere quanto fortemente né quanto a lungo, abbiano da combattere, ma come e dove, e non hanno bisogno se non di sapere per quale via e per quale scopo, e sperano dopo, e si adoperano, e combattono, e soffrono così, fino alla fine della giornata, lasciando a Dio gli adempimenti".
Sapendo che l'esito è nelle mani di Dio, ciascuno di noi è chiamato a fare la sua parte. Non a fare "il calcolo delle probabilità". Se così fosse, CL non avrebbe mai educato nessuno a entrare in politica. Invece no, tutti noi ci siamo impegnati a sostenere i nostri candidati, senza calcoli.
Carron, nella scuola di comunità, mostra di avere memoria anche di è cosa accaduto nel 2007, quando si organizzò il Family Day. E racconta che anche allora CL non era d'accordo, ma diede il proprio consenso perché richiesto dalla CEI.
Quindi questa volta non ha dato l'assenso, perché non lo ha dato nemmeno la CEI.
Ma nella sua analisi dimentica una piccola, piccolissima cosa. Allora l'iniziativa ebbe successo, non solo perché il Family Day ebbe successo, ma perché di fatto fermò la proposta di legge dei DiCo di Prodi e Bindi (due cattolici...).
Ora Carron ci spiega che il problema non è il successo, ma la conservazione di certi valori tramite una esperienza di vita, tramite la proposta della nostra esperienza di vita.
Proprio per il giudizio di Carron, una cosa mi sento di dire con certezza: per l'esperienza fatta in piazza il 20 giugno, mi sembra evidente che abbiamo vinto.
Questo è un argomento da riprendere, anche per contestare le ragioni di chi ora afferma che con quella manifestazione abbiamo tutti (manifestanti e non) perso.

giovedì 25 giugno 2015

A mons. Galantino preferisco don Fabio

Citazioni contro citazioni

Nell'analisi delle deboli ragioni esposte dall'avviso di CL agli iscritti alla Fraternità, un peso rilevante lo hanno le citazioni riportate, poiché precisamente su quelle è stata basata la ragione per non aderire.
Le citazioni principali riguardano la figura di mons. Galantino, Segretario generale CEI su nomina di Papa Francesco.
Mentre leggevo l'avviso, appena letta la sua citazione, il primo pensiero è stato: "ma non hanno trovato nessuno meno losco da citare?". Quel poco che so delle azioni di mons. Galantino mi bastano non per approfondire. Mons. Nunzio Galantino è l'autore della dichiarazione per cui non si trovava in sintonia "con i visi inespressivi" di coloro che recita il rosario fuori delle cliniche abortiste, una frase che soprattutto sul web ha scatenato la fiera protesta di tanti cattolici praticanti.
Lo stesso mons. Galantino è l'autore della nuova linea editoriale della televisione cattolica TV 2000. Ovviamente è un ufficio che gli compete in quanto Segretario della CEI; rimane il dubbio che gli competa per la competenza richiesta dall'ufficio. In ogni caso, è stato a causa della sua svolta che viene nominato direttore Paolo Ruffini*, ex di RaiTre e poi di La7, certo non un esempio di cattolico praticante. Sta di fatto che la nuova direzione debutta invitando il noto trans Luxuria come ospite fisso per i commenti di una trasmissione. Invito poi ritirato precipitosamente quando si scopre che la prima occasione è precedente di pochi giorni il Sinodo straordinario sulla famiglia e si è temuto per qualche commento inopportuno del nuovo ospite.
Tutto questo accade, è evidente, perché si privilegia il dialogo piuttosto che contenuti, cioè la libertà piuttosto che verità, una impostazione che è figlia degenere di quella ideologica nota come liberismo.
Una impostazione che oggi è evidentemente dominante, quindi non c'è troppo da meravigliarsi o scandalizzarsi se capita anche tra noi di rilevare questi assunti culturali e ideologici. Piuttosto c'è da rilevarlo (quando accade) con tutta serenità, sapendo che questo è il male moderno da combattere.
Prima di leggere l'avviso di CL, le ragioni di chi aveva organizzato la manifestazione del 20 giugno mi parevano evidenti e salde. Questo lo dico perché tu che mi leggi sappia che ho letto quel documento con un pregiudizio. Ma avendo letto la citazione di mons. Galantino, il pregiudizio si è rafforzato, sia per la statura del personaggio, sia per i contenuti, che ribadiscono sostanzialmente la prevalenza del dialogo sulla della verità.
Ma qui il discorso deve essere allargato, perché questa deriva non è nata l'altro ieri, è nata da diversi decenni e anzi si può dire che in fondo CL culturalmente è nata provvidenzialmente proprio per opporsi a questa deriva. Non a caso uno dei concetti più noti di Giussani è quello relativo ai "tre fattori costitutivi" della Chiesa (Capitolo secondo della parte seconda del volume "Perché la Chiesa"); di questi tre fattori è proprio quello descritto come "una comunità sociologicamente identificabile". E per descrivere questo fattore, Giussani commenta diversi brani degli Atti degli Apostoli; in particolare quello dove si dice che "Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone" (At 5,12). Quindi una riconoscibilità fisica, pubblica, oggettiva, come stare davanti a tutti in una piazza.
Questo è un elemento dell'essere cristiani, dell'essere Chiesa che non è possibile eliminare, poiché appartiene a quel compito, tipicamente ecclesiale, che si chiama testimonianza. Un compito non solo ecclesiale, anche personale; ma soprattutto ecclesiale. Ha ribadito Gesù, pregando il Padre, "che siano una cosa sola perché il mondo creda" (Gv 17,21).
Sulla testimonianza, non si può scherzare. Noi siamo definiti cristiani perché per definizione siamo "testimoni di Cristo". Se manca questo, manca un pezzo della nostra identità e non un piccolo pezzo.

* la nomina è seguita al licenziamento di Dino Boffo; mossa improvvida, poiché una clausola del contratto impediva il licenziamento, per cui Boffo è stato reintegrato "a casa" cioè pagato per non fare nulla.

Le ragioni adeguate

Ma non ci si può fermare ad una critica delle motivazioni esposte, occorre trovare le ragioni adeguate per un gesto. E le ragioni adeguate, da un punto di vista ciellino, le ho trovate in un mirabile e sintetico articolo di don Fabio Giovenzana, dal titolo efficace "A Galantino preferisco Giussani". E già il titolo invita alla corretta impostazione. Se infatti apparteniamo al carisma nato dalla vita umana di don Giussani, è a lui e alle sue parole che dobbiamo far riferimento, non a quelle di un qualsiasi seppur ispirato altro personaggio.
Don Fabio ha elencato in modo estremamente preciso e conciso quelle che possono essere le motivazioni di una partecipazione alla manifestazione del 20 giugno. Ma qui mi interessa mettere in risalto quelle che secondo me sono le motivazioni più importanti, mentre don Fabio mi pare che abbia avuto in mente la scaletta delle motivazioni dell'avviso di CL, quasi per rispondere punto su punto.
1. La ragione dell'unità
L'unità è il principale compito di qualsiasi cristiano, poiché, come ha pregato Gesù, quello è il mezzo "affinché il mondo creda" (Gv 17,21). La manifestazione è stata una straordinaria occasione di unità per difendere un valore inestimabile per tutta l'umanità: la famiglia.
2. La famiglia come valore fondamentale e religioso
La questione della famiglia non è solo un valore sociale, ma un valore strettamente religioso perché fondato sull'unione di un uomo con una donna come esemplari di specie maschile e femminile: "maschio e femmina li creò". La condizione sessuale non può essere messa in subordine al gusto sessuale.
3. CL è nata per una passione all'educazione delle persone
Don Giussani ha insegnato che le caratteristiche del richiamo educativo sono: deciso come gesto, elementare nella comunicazione, integrale nelle dimensioni (cultura – carità – cattolicità), comunitario nella realizzazione (Il cammino al vero è un’esperienza).
4. La fede e la politica
"La fede o investe tutta la personalità umana oppure resta una giustapposizione intellettualistica o, al più, un’intrusione sentimentale. Noi non crediamo alla separazione fra fede e politica. A una fede che non abbia alcuna incidenza sulla vita (e quindi su quella fondamentale espressione della vita che è la politica) io non ci crederei. Una fede di questo genere è un pezzo da museo. Come è un pezzo da museo il culto che viene “permesso” nei paesi socialisti". Parola di don Giussani.
5. Mettersi contro il potere dominante
"Nelle catacombe si crea un proprio ambito, quando non si può fare assolutamente in modo diverso e si è nel dolore dell'attesa di una manifestazione. La modalità della presenza è resistenza all'apparenza delle cose ed è contrattacco alla mentalità comune, alla teoria dominante e alla ideologia del potere; resistenza e contrattacco non in senso negativo, di opposizione, ma come lavoro. Per indicare e per definire l'esprimersi di una presenza secondo una dignità anche semplicemente umana non esiste che la parola lavoro: cioè portare dentro tutto, su tutto, l'interesse della nostra persona. La forza della nascita del nostro Movimento è solo questa e nessuno immagina ora la ricchezza di reazione che qualificava i nostri primi gruppetti di fronte a ogni pagina che si studiava o ad ogni cosa che avveniva".

Queste sono le ragioni che secondo me sovrastano tutte le altre e rendevano necessaria l'adesione e la presenza alla manifestazione del 20 giugno.
La mancata adesione ufficiale ha messo CL nella stessa condizione di quei politici che, non avendo aderito pubblicamente, erano comunque presenti in piazza.
Un'ultima notazione. La motivazione di favorire il dialogo è oggettivamente una motivazione di ordine inferiore. Però è interessante perché mette in luce una certa ambiguità. Infatti non si sa bene questo benedetto dialogo con chi sia e dove si possa svolgere. Però, quello che è certo, vista la partecipazione di tanti esponenti non religiosi e di religioni diverse, sicuramente la non adesione ha precluso la possibilità di un proficuo dialogo con questi esponenti.
Lo ha precluso per CL. Non per le altre sigle che hanno ufficialmente aderito.

lunedì 22 giugno 2015

Un interessante caso di sussidiarietà

La questione dei rapporti tra ordini diversi

Il principio di Sussidiarietà, entrato con vigore nel dibattito politico italiano diversi anni fa fino a venire inserito nella nostra Costituzione, è uno dei cardini della Dottrina Sociale della Chiesa. Gli altri sono: la dignità della persona umana, il bene comune e la solidarietà. Quindi non si tratta di un elemento accessorio, ma di un principio che appartiene alle fondamenta stesse del pensiero della Chiesa riguardo la Dottrina Sociale. Secondo tale Dottrina,
"Tali principi, espressione dell'intera verità sull'uomo conosciuta tramite la ragione e la fede, scaturiscono dall'incontro del messaggio evangelico e delle sue esigenze, che si riassumono nel comandamento supremo dell'amore di Dio e del prossimo e nella giustizia, con i problemi derivanti dalla vita nella società" (Compendio, n. 160).
E così il principio di Sussidiarietà viene enunciato:
"In base a tale principio, tutte le società di ordine superiore devono porsi in atteggiamento di aiuto (subsidium) - quindi di sostegno, promozione, sviluppo - rispetto alle minori" (Compendio, n. 186).
Questo principio è stato anche inserito nella Costituzione Europea, al n. 5.

Un caso esemplare ma incompleto

Nonostante le enunciazioni, purtroppo sono rari i casi in cui tale principio è stato effettivamente applicato. In effetti, tale principio viene a regolare i rapporti tra istituzioni di livello differente, proprio laddove più forti sono gli interessi.
Quando succede che invece viene dato spazio a tale principio, può persino accadere che questo non viene capito e non viene applicato persino dalla parte che avrebbe maggiore interesse a farlo. Il caso di cui voglio parlare è quello della lettera del Presidente Belletti del Forum delle Associazioni Familiari.
In tale lettera il Presidente, riguardo alla manifestazione di Roma del 20 giugno, indetta dal Comitato "difendiamo i nostri figli", afferma che
"L’iniziativa è intenzionalmente indirizzata direttamente alle famiglie, e anche i membri del Comitato sono presenti a titolo personale. Per questo, nel rispetto dell’evento, come Forum abbiamo scelto di non aderire direttamente".
Ma afferma esplicitamente che
"In questa circostanza, in considerazione della delicatezza del momento storico e dell’urgenza delle scadenze, i soci del Forum credo che debbano e possano ipotizzare scelte strategiche differenti, anche di fronte all'evidenza che già diverse associazioni nazionali membri del Forum hanno manifestato orientamenti diversi, rispetto a questo appuntamento".
Di fatto, l'adesione del Forum è stata in qualche modo scavalcata dall'adesione di diverse Associazioni. Questo è l'unico motivo, insieme al fatto che l'invito è indirizzato alle famiglie, per cui il Forum non ha aderito. Ma allo stesso tempo il Forum vede con favore l'iniziativa e invita le Associazioni ad "ipotizzare scelte strategiche differenti".
Infatti il documento prosegue:
"In altre parole, ritengo che la pluralità di orientamenti delle associazioni nazionali non sia, in questo preciso momento storico, una violazione del patto associativo, quanto piuttosto la legittima possibilità di scegliere posizioni diverse, su un evento così rapidamente innescato. Assumendo così il principio di sussidiarietà interna come criterio prevalente, vista l’eccezionalità del momento storico."
 Quindi il Presidente Belletti richiama esplicitamente il principio di Sussidiarietà per rimandare alle Associazioni la responsabilità di una decisione, che alcune di queste avevano già preso.

In questo senso, il riferimento alla decisione del Forum, contenuto nell'avviso agli iscritti alla Fraternità di Comunione e Liberazione, è una motivazione non adeguata, poiché non assume una propria responsabilità, in ottemperanza al principio di sussidiarietà, nella decisione di partecipazione alla manifestazione.

Lettera del Presidente del Forum Associazioni Familiari

LETTERA DEL PRESIDENTE BELLETTI AL POPOLO DEL FORUM

Carissimi amici,

fin dalla sua origine, il carisma principale del Forum, nella sua identità di associazione di associazioni, nel suo essere rete di secondo livello, è l'unità tra le nostre associazioni, insieme alla fedeltà alla Dottrina Sociale della Chiesa. Si tratta di un criterio prima di tutto interno, ma che riguarda anche l'ambito ecclesiale in senso lato. Ed è il criterio adottato anche di fronte alla importante iniziativa, emersa in questi ultimi giorni, che ci ha sollecitati tutti, promossa dal Comitato “Difendiamo i nostri figli”, che chiama le famiglie, alla scadenza ravvicinata di sabato 20 giugno, ad una iniziativa di piazza a favore dei diritti della famiglia, di fronte ad uno scenario normativo e giuridico oggettivamente sempre più preoccupante.

L’iniziativa è intenzionalmente indirizzata direttamente alle famiglie, e anche i membri del Comitato sono presenti a titolo personale. Per questo, nel rispetto dell’evento, come Forum abbiamo scelto di non aderire direttamente. Guardiamo però con grande attenzione e simpatia questa iniziativa, perché dà finalmente voce ad un sentire di popolo. D’altra parte, da diversi mesi il Forum sostiene e attua una modalità di intervento diversa, orientata al dialogo, al rapporto diretto con interlocutori della politica e della cultura sensibili alle nostre proposte, alla promozione di eventi positivi, di formazione, di sviluppo educativo, di proposte progettuali alternative, rigenerative di un tessuto sociale e di orizzonte valoriale, per le famiglie e per la società.

In questa circostanza, in considerazione della delicatezza del momento storico e dell’urgenza delle scadenze, i soci del Forum credo che debbano e possano ipotizzare scelte strategiche differenti, anche di fronte all’evidenza che già diverse associazioni nazionali membri del Forum hanno manifestato orientamenti diversi, rispetto a questo appuntamento. In altre parole, ritengo che la pluralità di orientamenti delle associazioni nazionali non sia, in questo preciso momento storico, una violazione del patto associativo, quanto piuttosto la legittima possibilità di scegliere posizioni diverse, su un evento così rapidamente innescato. Assumendo così il principio di sussidiarietà interna come criterio prevalente, vista l’eccezionalità del momento storico. Non si tratta di chiamarsi fuori, per chi sceglie di non aderire, né, per chi promuove direttamente l’evento, di mettere la propria bandiera su un evento che sarà voce delle famiglie. E questo anche per i Forum presenti a livello territoriale, che possono essere non titolari, ma “facilitatori” di un libero movimento di mobilitazione delle famiglie.
Molte e diverse possono essere le modalità di azione per promuovere e difendere la famiglia e il suo ruolo sociale. Scegliere l’una o l’altra modalità operativa non significa negare la sintonia valoriale e culturale, ma piuttosto agire con soggettività e stili operativi diversi.

Conto di aver fatto chiarezza, davanti alle tante sollecitazioni ricevute, e credo che il nostro lavoro dovrà continuare con maggiore tenacia e determinazione, per raggiungere gli stessi obiettivi che anche “le famiglie in piazza” del 20 giugno vogliono ottenere.

Resto ovviamente a disposizione per ogni chiarimento che riteniate necessario.

Il nostro lavoro continua, con rinnovata convinzione.
Francesco Belletti

Il documento di CL sulla partecipazione alla manifestazione di Roma

«Dio ha affidato la terra all’alleanza dell’uomo e della donna: il suo fallimento
inaridisce il mondo degli affetti e oscura il cielo della speranza. I segnali sono già
preoccupanti, e li vediamo. (…) Da qui viene la grande responsabilità della
Chiesa, di tutti i credenti, e anzitutto delle famiglie credenti, per riscoprire la
bellezza del disegno creatore che inscrive l’immagine di Dio anche nell’alleanza
tra l’uomo e la donna. La terra si riempie di armonia e di fiducia quando l’alleanza
tra uomo e donna è vissuta nel bene. E se l’uomo e la donna la cercano insieme tra
loro e con Dio, senza dubbio la trovano. Gesù ci incoraggia esplicitamente alla
testimonianza di questa bellezza che è l’immagine di Dio» (Papa Francesco,
Udienza generale, 15 aprile 2015).

«Gli enormi e rapidi cambiamenti culturali richiedono che prestiamo una costante
attenzione per cercare di esprimere le verità di sempre in un linguaggio che
consenta di riconoscere la sua permanente novità» (Evangelii Gaudium). Nel
contesto attuale, infatti, i valori nati dal cristianesimo non sono più evidenti, tanto
che la mentalità comune ne prescinde, ne inventa ogni giorno di nuovi e a questi si
adattano sempre più velocemente anche le leggi dello Stato.
CL è nata per la passione all’educazione delle persone, perché possano trovare
nell’esperienza di fede il luogo adeguato per riconquistare le evidenze perdute, sul
valore della vita, sulla bellezza del matrimonio tra uomo e donna, sulla dignità
umana dal suo concepimento alla sua fine naturale. Questo significa porre le basi
per riscoprire il significato di tutti questi valori dall’interno della propria
esperienza e così poterli difendere con la testimonianza della propria vita. Questo
non vuol dire che il cristiano non abbia il dovere di opporsi alla deriva
antropologica attuale. Occorre però chiedersi quale sia la modalità più adeguata,
realistica ed efficace per farlo. Fin dall’epoca dei referendum su divorzio e aborto
la storia ha mostrato a tutti che andare in piazza non produce alcun effetto positivo
e non arresta certi processi. Anzi. Le leggi su divorzio e aborto non sono state la
causa del venir meno di una certa mentalità nata in ambito cristiano, ma l’esito
dello sfaldarsi di essa. Già nel 1978, don Giussani diceva: «In una società come
questa, non possiamo rivoluzionare niente con parole, associazioni, o istituzioni,
ma solo con la vita, perché la vita è un grande fatto contro cui le derive
ideologiche non riusciranno a vincere mai».

Da questo punto di vista, non crediamo che in questo momento storico siano le
manifestazioni di piazza a cambiare la concezione dell’uomo implicita nei nuovi
diritti. Come ha dichiarato recentemente il Segretario CEI monsignor Nunzio
Galantino, «il problema è la ricerca della verità su ciò che riguarda l’uomo. Un
cristiano che si mette “contro” qualcuno o qualcosa già sbaglia il passo. A me
piacerebbe un tavolo sul quale poniamo le nostre ragioni. Non si tratta di fare a
chi grida di più, i “pasdaran” delle due parti si escludono da sé. Ci vuole un
confronto tra gente che vuole bene a tutti» (Corriere della Sera, 25 maggio 2015).
In questo senso, condividiamo la valutazione del Forum delle associazioni
familiari, che non aderisce alla manifestazione del 20 giugno: «Come Forum
sosteniamo e attuiamo una modalità di intervento diversa, orientata al dialogo, al
rapporto diretto con interlocutori della politica e della cultura sensibili». E questo
è un impegno che richiede equilibrio e pazienza, tanto si è certi delle buone
ragioni che si portano nel dibattito pubblico.

Al momento la Chiesa italiana non ha dato alcuna indicazione univoca sulla
partecipazione a un’iniziativa organizzata di fatto da varie sigle e personalità
cattoliche, ma formalmente presentata come aconfessionale e promossa da liberi
cittadini. «È chiaro che di fronte alla difesa della famiglia naturale (…) la
modalità concreta può essere espressa legittimamente in forme diverse. (…) C’è
stato anche chi, assolutamente senza negare ogni forma di impegno a favore della
famiglia, ha ritenuto, per questo momento storico, sia più ragionevole e più
urgente l’apertura di un processo che (…) veda tutti impegnati a fronteggiare la
cultura individualista che è alla base di leggi e proposte estemporanee che tendono
a mettere all’angolo la famiglia costituzionale e a privilegiare i diritti dei singoli
sul bene comune. Ora, questo processo, non meno impegnativo, anzi più esigente
di altri, richiede comunque un sentire e un impegno comune che non è solo frutto
di paure, ma si costruisce invece sul dialogo» (Nunzio Galantino, Intervista a
Radio Vaticana, 10 giugno 2015).

Per tutte queste ragioni il movimento in quanto tale ha deciso di non aderire
all'iniziativa del 20 giugno, che – al di là delle buone intenzioni di tanti che vi
parteciperanno − non sembra adeguata a favorire il necessario clima di incontro e
di dialogo con chi la pensa diversamente.
Questo lascia evidentemente libero di partecipare chiunque lo ritenga opportuno,
con l’invito a verificare fino in fondo, nell’esperienza, le ragioni ultime della sua
adesione.
Milano, 11 giugno 2015.

domenica 21 giugno 2015

Perché questo blog

Perché ciellino

Perché ciellino da una vita, cioè da trent'anni precisi, dai tempi dell'università, dove l'incontro con un gruppo di amici è diventato la conferma profonda e determinante di una fede già sentita e in qualche modo vissuta.

Perché partigiano

Perché siamo in guerra. E perché quando non c'è un esercito regolare e la gerarchia è parzialmente allo sbando o confusa, essere partigiani è una questione di opportunità e di intelligenza.
E perché è urgente contrastare il nemico sul terreno, palmo a palmo. Combattere e resistere. Ma soprattutto avere fede, speranza e carità; le armi indicate da S. Paolo.

Le origini di una scelta

Iscritto alla Fraternità da una ventina di anni, inserito in un gruppo da una quindicina di anni, fin dall'inizio ho notato e fatto notare al mio gruppo come la mancanza di impegno in un'opera concreta, una qualsiasi, potesse portare progressivamente ad un intimismo da sempre estraneo al carisma di CL.
Anzi, l'opera è sempre stata richiesta, era ed è uno dei quattro punti di impegno richiesti. Il mio rammarico maggiore era che non solo il mio gruppetto non era impegnato in un'opera, ma che, di fronte alla difficoltà di trovare qualcosa di concreto da fare tutti insieme, non ci fosse nemmeno il rammarico di questa situazione.
Questa mia osservazione, ripetuta con educata insistenza, non ha sortito effetto alcuno, se non quello di avermi lasciato con gli occhi e la mente vigili su questo aspetto.
Ma la deriva intimista era ormai dominante. Non solo nel mio gruppetto, ma (con le dovute eccezioni e distinguo) in CL e nella Chiesa in genere.
Questo non mi ha scandalizzato più di tanto (la Chiesa ha visto tempi ben peggiori!) ma mi ha reso sempre più evidente l'urgenza di un cambiamento, di una mia mossa.
Al limite, la mossa di mollare il mio gruppetto e di farne io uno nuovo, se davvero ero convinto dell'importanza di questa impostazione. Ma non puoi decidere di creare un gruppo da solo: è una cosa che, per Grazia, accade (se Dio vuole) quando meno te lo aspetti.

Un pezzo di storia: la questione romana

C'è un pezzo di storia che occorre raccontare, per motivare adeguatamente la nascita di questo blog. Un pezzo di storia di CL che riguarda in particolare la comunità di Roma.
Quello che qui viene raccontato è però solo un punto di vista particolarissimo, che non ha alcuna possibilità né intenzione di raccontare qualcosa di una storia ben più vasta e articolata.
Anzi, non una storia, ma un giudizio, che qui ho la pretesa di completare e riassumere un poche righe. Un giudizio brevissimo e tranciante, riguardo una storia complicata che si è svolta tra gli anni '80 ed i primi anni del nuovo millennio. Venti anni vissuti intensamente, duranti i quali si è dipanato un equivoco che ancora oggi dura.
L'equivoco è quello del rapporto con la politica, che per il carisma di CL è sempre stato molto intenso. Ma mentre la politica fuori Roma è ovviamente un tassello tra tanti (per quanto un tassello importante) di una dinamica che tende ad investire tutti gli aspetti della vita, la politica a Roma è pane quotidiano per forza di cose.
Quello che è difficile da capire per chi non vive a Roma (e quindi anche per quelli di CL che non vivevano a Roma, a partire da quelli che guidavano e guidano CL) è il fatto che pure andare a fare colazione al bar può essere un fatto politico, sociale o religioso. Perché solo a Roma può succedere che val al bar a prendere un caffè e incontri per caso il senatore Tizio o il deputato Caio, oppure il cardinale Sempronio. Oppure li incontri tutti e tre!
Se in un contesto del genere ti scappa la battuta sbagliata, la frittata è fatta. Se poi, sfortunatamente, è presente pure un giornalista, allora la frittata assume pure una rilevanza nazionale. Con tutte le conseguenze del caso.
Occorre pure riconoscere che a Roma esponenti di CL hanno sbagliato di grosso.
Ora, quello che mi interessa rilevare è che, nel tempo, in CL è diventato dominante l'atteggiamento per cui, per i problemi avuti, dalla politica è meglio stare lontani. Anche se questo non è un atteggiamento solo di CL ma un pò di tutti, in ogni caso poi non ci si può lamentare se la politica è lontana dal popolo (o dai suggerimenti educativi di CL): infatti è stato prima il popolo (e pure CL) ad abbandonare la politica!
E così, mentre prima, ad ogni occasione, il primo commento era che "la fede c'entra con tutto" (e poi seguivano i distinguo tra CL come movimento religioso e la responsabilità personale), in seguito progressivamente (soprattutto dalla fine di Formigoni in poi) il primo commento è divenuto quello del distinguo tra CL e la responsabilità personale di chi realizza un'opera (e progressivamente il riferimento al fatto che la fede c'entra con tutto è quasi scomparso o completamente assente, come nell'intervista a Carron dal titolo "Un'enorme delusione" del quotidiano Repubblica, in seguito alle accuse ad alcuni dirigenti della cooperativa La Cascina).
Un cambiamento drastico, non un dettaglio. Mi sembra che questo sia il segno distintivo di un cambiamento, per cui nei confronti del mondo si assume sempre più un atteggiamento difensivo piuttosto che propositivo.

Un corpo vivo: CL dopo il fondatore

Solo un corpo vivo cresce e cambia. Solo un corpo morto o un sasso non cambia nel tempo.
Per questo non c'è da scandalizzarsi se pure CL, in quanto corpo sociale vivo, in tempi diversi assume comportamenti e reazioni diverse. Piuttosto c'è da chiedersi cosa sia cambiato in questi tempi e per quali motivi vi siano comportamenti diversi.
Il cambiamento maggiore verificatosi in questi tempi è la dipartita del fondatore e l'assunzione della guida da parte del successore designato, don Julian Carron. Tale cambiamento mi sembra non sia stato capito nella sua profonda natura teologica.
Il fondatore don Luigi Giussani ha avuto in dono da Dio il carisma, riconosciuto dalla Chiesa. Essendo lui il fondatore, in questa posizione particolarissima il carisma coincideva con la sua persona. Da quando lui non c'è più, il carisma coincide con tutto il movimento, quindi coincide con la responsabilità delle persone che partecipano di quel carisma. Certo, c'è poi un responsabile ultimo, l'attuale presidente don Julian Carron. Ma ora il carisma non coincide con la sua persona.
Questo aspetto non sembra essere stato compreso, tanto che, mentre Giussani era giustamente presidente a vita della Fraternità, ora il successore, che da statuto viene rieletto ogni tre anni, è costantemente rieletto nella stessa persona, come se fosse presidente a vita pure lui.
Qui la questione non è l'adeguatezza del successore (Carron o qualsiasi altro) ma il fatto che il successore venga di fatto trattato come se fosse lui il detentore del carisma.
Questo atteggiamento ha prodotto (o è dipeso) da una mancanza di responsabilità di tutto il movimento verso il proprio carisma. Occorre invece che ogni singolo appartenente al movimento, ciascuno per la sua parte, si prenda questa questa responsabilità.

L'incontro col Papa del 7 Marzo

Un altro momento delicato è avvenuto nell'incontro con il Santo Padre il 7 Marzo 2015. 
Anche qui, la difficoltà di leggere con onestà il messaggio del Papa mi pare che sia l'indice di una difficoltà ad uscire da una posizione "difensiva" e tornare ad essere propositivi.
La durezza del discorso del Papa è stata evidente ai più, anche commentatori non ciellini o non cristiani, soprattutto se paragonata ai discorsi dello stesso Papa ad altri movimenti (come con i Scouts Cattolici Italiani, i quali dopo aver incontrato Papa Francesco hanno ritenuto opportuno farsi notare alla sfilata del Gay Pride a Roma) , o di altri papi allo stesso movimento. Ma un'analisi approfondita dei contenuti duri di quel discorso non c'è stata; o in ogni caso io non l'ho letta.

La giornata del 20 Giugno: "difendiamoinostrifigli"

Il documento ad uso interno per motivare la mancata adesione alla manifestazione del 20 Giugno a Roma contiene una serie di ragioni che sono apparse deboli nei contenuti. E stavolta le reazioni di tanti ciellini, soprattutto in rete, non si sono fatte attendere. Ma la reazione più significativa è venuta dalla piazza, dove tantissimi sono stati i ciellini presenti.
Anche qui, la mancata adesione e le ragioni esposte sono state lette da tanti (non solo dal sottoscritto) come una posizione difensiva e non propositiva.

Conclusione

Che queste considerazioni sia corrette o meno, la conclusione è la stessa. Occorre generare occasioni di esperienza umana dove le persone siano aiutate ad una maggiore responsabilità verso il carisma, una sempre maggiore responsabilità verso la santità propria e di quelli che il Mistero ci mette vicino.
Magari avendo un occhio di riguardo verso le ipotesi qui esposte, in modo da verificarle nella propria esperienza ed eventualmente puntare l'attenzione verso la libera creazione di nuove opere che sostengano meglio l'approfondimento della coscienza di questa responsabilità. "La Fraternità permette, primo, di vivere l'esperienza secondo la libertà del proprio temperamento e della propria storia, secondo, di creare opere..." ("La Fraternità di Comunione e Liberazione", San Paolo, pag. 111). "L'idea centrale della Fraternità è che tutta la responsabilità, tutta l'iniziativa, sta nella persona, che è adulta e perciò è responsabile del suo destino" (pag. 141).

sabato 20 giugno 2015

La nascita

La nascita

Il Ciellino Partigiano nasce consapevolmente il 7 marzo 2015, con il messaggio di Papa Francesco. Ovviamente già prima aveva accumulato esperienze, giudizi e intenti. Ma la scossa viene da quel messaggio lì. E da una posizione umana contraria, che all'inizio non ha preso bene il messaggio, per diverse circostanze.
Ma alla fine quello che rimane è il messaggio, quello che rimane è il contenuto. Quello resta, e da lì sono partito. Quello è stato lo spunto che ha dettato la mossa iniziale, poi tutto è stato conseguenza di quello.
E siccome quel messaggio mi pare che non sia stato capito (o sia stato taciuto), allora il Ciellino è diventato Partigiano.
Perché, quasi nessuno l'ha capito, siamo in guerra. E se vuoi far qualcosa e non c'è un esercito, allora tocca fare il Partigiano, qualcosa che noi italiani siamo piuttosto bravi a fare, qualcosa di cui abbiamo esperienza concreta.
L'obiettivo è chiaro: c'è una malattia che non riguarda solo CL, ma tutta la Chiesa. Si annunciano tempi molto duri, spiritualmente, moralmente e socialmente. Tempi di confusione, durante i quali il popolo di Dio può essere legittimamente smarrito.
L'obiettivo dichiarato è dunque quello di evitare questo smarrimento e di aiutare a leggere i segni dei tempi con obiettività e con Speranza, al contempo "pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi" (1Pt 3,15).

In piazza

Il Ciellino Partigiano nasce il 7 marzo 2015. E oggi, 20 giugno 2015, per la prima volta va in piazza a Roma.