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martedì 30 giugno 2015

Il 20 giugno abbiamo vinto tutti

Sul sito lacrocequotidiano.it si è aperto un interessante dibattito sulla manifestazione del 20 giugno a Roma. Tra gli altri, è da segnalare l'intervento di don Mauro Leonardi perché qualifica in maniera piuttosto completa e ordinata le ragioni di chi pensa che la manifestazione sia stata poco opportuna ed era meglio non partecipare, privilegiando in qualche modo un dialogo con chi non è d'accordo con le posizioni cristiane.
Innanzitutto una breve nota linguistica. L'evento è stato organizzato da un neonato comitato "Difendiamo i nostri figli" e aveva per epicentro l'educazione dei figli e come argine la famiglia. Nella lettera di don Leonardi, la parola "famiglia" ricorre sei volte, la parola "educazione" invece nessuna. Evidentemente perché nessuno si sogna di mettere in discussione il fatto che l'educazione deve avere come attore principale la famiglia, ma si inizia a mettere in discussione il tipo di famiglia per far passare l'educazione voluta dal potere dominante. Allora, se di qualcosa si vuole discutere, occorre discutere dell'educazione, di cosa significhi e di quali siano gli attori principali e le modalità più adeguate.
Detto questo, passiamo al contenuto della lettera, cioè le ragioni per cui, secondo don Leonardi, con la manifestazione di piazza "abbiamo perso tutti".
Afferma don Mauro:
"Infatti, anche se forse nelle intenzioni degli organizzatori non era così, quella che è arrivata al paese è stata la logica dello schieramento: un “noi e loro”, un “assediati e assedianti”, che a me pare non giovi assolutamente né alla Chiesa né all'Italia in generale. Uno schieramento preclude la possibilità di aiutare a capire meglio: manifesta un’ansia riduzionista, la voglia di semplificare le cose. E invece, oggi più che mai, abbiamo bisogno di allargare le nostre prospettive."
La "logica dello schieramento" quindi "non giova". Ma è davvero così? E in quali casi? Ovviamente non giova nel caso in cui vi sia un dialogo in corso con una controparte intenzionata al dialogo. Ma proprio questo è quello che è stato denunciato da tutti i diversi soggetti organizzatori, cioè una mancanza di dialogo riscontrata in tanti incontri svoltisi a ritmo serrato nell'ultimo anno.
Anzi, nella maggior parte dei casi, da parte dei partecipanti agli incontri vi era una completa ignoranza delle leggi che si andavano proponendo e di tutte le possibili conseguenze, anche sulla scorta delle esperienze già verificatesi in altri paesi europei.
Personalmente posso dare, nel mio piccolo, la testimonianza del fatto che tante persone, che poi hanno partecipato alla manifestazione, hanno scoperto i contenuti di quello che sta accadendo solo dopo essersi incuriositi per la notizia della manifestazione del 20 giugno.
Riguardo al "bisogno di allargare le prospettive", chi non può essere d'accordo? La questione però è come allargare le prospettive. Perché si possono allargare le prospettive facendo tante chiacchiere e moltiplicando la confusione, ma si possono allargare le prospettive includendo la realtà. E la realtà è costituita di tante persone (anche omosessuali!), tante famiglie che fanno una bellissima esperienza di famiglia e che non vedono l'ora di poterla testimoniare in pubblico, in una qualsiasi occasione.
La famiglia naturale è una cosa meravigliosa! Questo è stato il grido principale di una piazza, che nessuno può negare.
Continua don Mauro:
"Infine, innegabilmente, il mondo laico ha identificato tutto il mondo cattolico con le posizioni espresse sabato 20 in piazza San Giovanni. Io, nel mio piccolissimo, ho cercato di far vedere che non era così, ma è stato praticamente impossibile. Questo è un grossissimo problema - se vogliamo è un problema di tipo “politico” - perché è un ostacolo insormontabile a cercare alleanze anche con chi la pensa diversamente ma su singole questioni può essere d’accordo e aiutare a conseguire risultati concreti."
Partiamo dai fatti: in piazza c'erano, rappresentati pure dagli intervenuti al microfono, tanti cattolici, musulmani, ebrei, laici non credenti o poco credenti. Tutti però convinti del bene prezioso che è la famiglia.
Se partendo da tali fatti, gli interlocutori di don Mauro li negano in modo così deciso da rendere "impossibile" per lui "far vedere che non era così", dovrebbe forse chiedersi se tali interlocutori siano davvero disposti al dialogo oppure non stiano facendo perdere tempo. Rimane il fatto oggettivo paradossale: da una parte don Mauro, che ha tanta difficoltà a "cercare alleanze con chi la pensa diversamente", mentre dall'altra gli organizzatori della manifestazione non hanno avuto difficoltà a entrare in dialogo e ricevere il pieno e pubblico consenso con chi la pensa diversamente (ebrei, musulmani, ecc.).
Vado al cuore del ragionamento. Oltre che in campo cristiano, anche dall'altra parte occorrerebbe vagliare tra chi è veramente intenzionato al dialogo e chi no.
"Ma dopo sabato 20 giugno sarà ancor più difficile parlare con loro [laici e femministe] per trovare soluzioni che favoriscano il bene comune, e non quello di una parte, perché la logica dello schieramento radicalizza le posizioni, preclude il dialogo, e quindi la possibilità di perseguire obiettivi intermedi o anche solo parziali, che vanno però a beneficio di tutti."
Ho enorme rispetto per la fatica che don Mauro e tanti altri (sacerdoti e non) fanno nel dialogo con chi la pensa come noi. Ma il compito di noi cristiani non è il dialogo, ma la conversione. Il dialogo può essere un mezzo, uno dei tanti, verso la conversione.
Io personalmente non mi sono convertito per un dialogo, ma per una novità, di cui prima ho fatto esperienza e poi ho meglio capito. Sulla strada della sempre migliore comprensione, il dialogo è stato uno degli strumenti, ma solo uno dei tanti.
E qui siamo alla questione centrale della manifestazione del 20 giugno, una questione finora rimasta nell'ombra. La manifestazione era prima di tutto per noi, per chi vi ha partecipato. Doveva essere ed è stata l'esperienza personale di partecipazione ad un popolo che in quanto tale ha la possibilità di essere popolo di Dio. Perché se non c'è un popolo, diventa molto difficile (non impossibile, ma più difficile) l'esperienza di incontro con Dio e la scoperta di poter essere popolo di Dio. E soprattutto diventa difficile comprendere, tramite un'esperienza, cosa sia la Chiesa, se non si fa ANCHE esperienza di appartenenza ad un popolo.
Che a questa esperienza abbiano preso parte tante persone lontane dal nostro credo è veramente una grazia grande! Perché tutti noi sappiamo che è Dio a muovere i cuori. Però poi serve anche una piazza dove, appresso ai cuori, si muovano gambe, braccia, mani, volti e occhi di uomini che amano Dio come possono e come lo conoscono.
Allora il grande impatto anche per chi non vi ha partecipato è la presenza di un popolo capace di muoversi per difendere i valori in cui crede. A partire da questo nasce un vero dialogo, che così evita lo scontro ideologico su posizioni oggettivamente inconciliabili. Se invece che da partire dalle proprie idee (o dalle idee del proprio credo) si parte da un'esperienza, alla fine si potrà sempre proporre di verificare partecipando a quella esperienza. Altrimenti il dialogo può procedere solo per un annacquamento della propria posizione e della propria identità.
Per questo la manifestazione del 20 giugno è stata una vittoria per tutti!

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