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mercoledì 26 ottobre 2016

Dopo il 25 settembre, padri e figli

Alcune interessanti riflessioni sono comparse questi giorni sui social, relativamente alla necessità di alcuni di avere un punto di riferimento, di ritrovare una paternità che sia sostegno nelle vicende della vita e nel proprio cammino spirituale.
Voglio aggiungere qui anche io alcune riflessioni sul tema, poiché il tema della paternità (o della cancellazione della paternità) è il cuore dei problemi della modernità.
Da un punto di vista cristiano, tutti noi siamo figli. Persino Gesù ha chiesto di non chiamare nessuno padre, "poiché uno solo è il Padre vostro, che è nei cieli" (Mt 23,9).
Ma allora don Giussani ci è stato padre oppure no? Perché per tanti di noi è così evidente che per noi lui è stato padre? Perché non chiamarlo padre, secondo le parole di Gesù? Perché sentiamo tanto la necessità di un Padre? E perché in quest'epoca moderna, a detta di tanti, le nuove generazioni si sono smarrite proprio per aver tentato di cancellare la figura del padre?
Partiamo da due punti certi: il primo è che di Padre ce n'è uno solo; il secondo è che siamo tutti figli, ma solo con la compagnia di alcune persone, grazie al carisma di alcune persone, ci "sentiamo" veramente noi stessi, veramente compiuti, quindi veramente figli. Questa è l'esperienza di figliolanza che ci porta ad esclamare "lui mi è padre!".
Questo, secondo me, è lo stesso preciso fenomeno che ci racconta san Paolo quando dice che alcuni dicono "io sono di Cefa" e altri "io sono di Paolo". Qualcosa di vero c'è, perché è vero che inesorabilmente e storicamente quello che Gesù ha iniziato è arrivato a noi tramite Cefa, tramite Paolo, tramite il Gius. Ma pure Cristo era Figlio. E proprio per l'unità con lui, la comunione con lui ci permette di essere realmente "eredi di Dio, coeredi di Cristo", cioè veramente figli.
Quindi l'esser figli è inscritto nella nostra natura, fa parte di quel "senso religioso" che accomuna tutti gli uomini. E quando incontriamo uomini che ci fanno sentire pienamente noi stessi, cioè pienamente figli, siamo portati istintivamente a chiamarli "padre!".
Ora tra noi esistono quelli che, non solo per età, si trovano in momenti diversi di questo percorso (che dura tutta la vita) nel quale prendiamo coscienza del nostro essere. E questa coscienza del nostro essere ci porta perfino a dire "ho sessant'anni, è un po' tardi per cercarmi una paternità". In realtà non si può smettere di desiderare una paternità, semplicemente si smette di cercarla qui in terra.

Ma vi sono pure persone che hanno semplicemente un compito diverso. E penso in particolare a quando san Paolo racconta:
"Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Non se ne tenga conto contro di loro. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del messaggio e potessero sentirlo tutti i Gentili: e così fui liberato dalla bocca del leone." (Tm 4,16-17)
 Io mi immagino che quelli dai quali Paolo si attendeva una difesa o una testimonianza gli avranno detto "non esporti, ti prego, ci crei casini...", ma Paolo non poteva tacere e non ha taciuto. E quelli avranno pensato a difendere qualcosa che non era solo il proprio interesse, ma era anche per una difesa della causa cristiana.

Non ci troviamo anche noi tutti i giorni in queste condizioni? Non ci troviamo anche, tanti di noi, a difendere qualcosa che è nostro, ma che noi riteniamo sia giusto difendere soprattutto per la causa cristiana?
Per comprendere cosa voglio dire, basta leggersi il racconto che Costanza Miriano fa di una parrocchia a Staggia Senese, nel suo blog. Suscitate dall'energia di un sacerdote che la stessa Costanza definisce "un prete che fa il prete", diverse donne, mogli, hanno fatto la scelta radicale, hanno mollato il lavoro e si sono dedicate alla loro famiglia e alla famiglia parrocchiale, Scrive Costanza di una di loro:
"Raccontava che è rinata da quando ha fatto questo salto nel vuoto, perché di salto si tratta. Rinunci a uno stipendio fisso e sicuro. Devi fare delle scelte diverse. Devi fidarti. Devi rinunciare a tenere tutto sotto controllo.
Parlando con loro e analizzando tutte le voci di spesa, mi era sempre più chiaro che io considero necessario e imprescindibile ciò che forse non lo è. Se i soldi si dimezzano si adotta tutto un altro stile di vita..."
Ecco, molti di noi ancora non hanno fatto questo "salto nel vuoto" (che poi non è vuoto!) e quindi si barcamenano, (come Costanza) tra i mille impegni e le mille cose da fare e tenere in piedi. E non che non sia utile. Occorre sempre qualcuno che faccia così, che sia così. Come quel membro del sinedrio, che però era discepolo di Gesù, di nome Nicodemo. Certamente nel sinedrio non si era esposto; e di sicuro teneva una certa segretezza, se è vero, come dice san Giovanni, che andava a trovare Gesù di notte. Però è sempre lui che, con Giuseppe d'Arimatea, si occupa della sepoltura.
Insomma, alla causa cristiana è vero che sono necessari i santi e i martiri; ma sono pure necessari i testimoni. Perché Gesù è venuto affinché il mondo creda. E il mondo si converte per tre testimoni:
"Poiché tre sono quelli che rendono testimonianza: lo Spirito, l'acqua e il sangue, e questi tre sono concordi." (1Gv 5,7)
Quindi non solo il sangue dei martiri, ma anche lo Spirito (di Verità) e l'acqua (della purezza, come testimonianza della propria condotta di vita).

Allora mi viene da dire che, dopo il 25 settembre, il compito che ci possiamo dare è quello di costruire un luogo umano dove non solo ciascuno liberamente porta i propri doni, ma caritativamente ci si accoglie e ci si accetta nelle condizioni in cui siamo, favorendo la crescita della fede di ciascuno, senza stare a giudicare perché non siamo nella condizione di giudicare.
La capacità di accogliere chiunque è stato da sempre il nostro marchio distintivo, quello di noi ciellini. Anche se non possiamo più fermarci solo a quello, e lo dico da persona non più giovanissima. Anche a me solo questo non basta più.
Ma da questo occorre ripartire.

Ora se siamo qui, se c'è stato un 25 settembre, occorre ripartire pure guardando in faccia cosa è successo (in questi anni a noi e a CL). Occorre quindi tentare di riprendere una sorta di discorso interrotto, di esperienza temporaneamente sospesa. e la vogliamo riprendere non solo per noi stessi, ma soprattutto per una ragione missionaria e per le generazioni future. In fondo, chi c'era a Bologna ha visto anche un significativo numero di giovani. E uno di essi è pure intervenuto alla fine, dicendo solo una cosa brevissima ma lancinante: "Noi abbiamo bisogno di vivere!".
Ecco, il luogo umano che vogliamo costruire dev'essere un luogo che favorisca la missione, cioè favorisca la tradizione, cioè favorisca la memoria.

Nel 1993 CL diffondeva un volantino nel quale riportava un brano del sociologo MacIntyre, tratto dal libro "Dopo la virtù", del 1980. Quella frase, chissà perché, mi è rimasta impressa in maniera indelebile, non l'ho più dimenticata, anche se nel movimento non è stata più ripresa. Ma quell'anno, nel 93, cioè in piena Tangentopoli, quel brano scritto una dozzina di anni prima appariva davvero profetico. Ecco il brano:
"Ciò che conta, in questa fase, è la costruzione di forme locali di  comunità al  cui  interno  la  civiltà  e  la  vita  morale  e intellettuale possano essere conservate attraverso i nuovi secoli oscuri che già incombono su di noi. E se la tradizione delle virtù è stata in grado di sopravvivere agli orrori dell’ultima età oscura,  non  siamo  del  tutto  privi  di  fondamenti  per  la speranza. Questa volta, però, i barbari non aspettano al di là delle frontiere [il riferimento è al tempo della caduta dell'impero romano; nota mia]: ci hanno governato per parecchio tempo. Ed è la nostra inconsapevolezza di questo fatto a costituire parte delle nostre difficoltà. Stiamo aspettando: non Godot, ma un altro San Benedetto, senza dubbio molto diverso"
Un brano impressionante, se si pensa che è stato scritto nel 1980, cioè nove anni prima del crollo del muro di Berlino. Questo brano l'ho ritrovato circa una dozzina di anni dopo, quando iniziavo ad occuparmi di economia. Sono andato a comprarmi il libro e siccome era una nuova edizione, c'era anche una nuova prefazione dell'autore. Ecco il testo conclusivo di quella prefazione:
"Quando scrissi quella frase conclusiva nel 1980, era mia intenzione suggerire che anche la nostra epoca è un tempo di attesa di nuove e inattese possibilità di rinnovamento. Allo stesso tempo, è un periodo di resistenza prudente e coraggiosa, giusta e temperante nella misura del possibile, nei confronti dell'ordine sociale, economico e politico dominante nella modernità avanzata. Questa era la situazione di ventisei anni fa, e tale ancora oggi rimane."
Ecco, questo mi pare che sia il nostro compito oggi.

Io conosco un solo testo del Gius che riporta il primo brano di MacIntyre, anche se solo in nota; è il famoso (per noi) "L'idea di Fraternità" che potete trovare qui.
In quel testo, che dovremmo davvero imparare a memoria, a me pare di sentire la voce del Gius che parla a tutti noi oggi, proprio oggi, in particolare in un passaggio che riporto qui:
"Ma è da un mese, da circa un mese, che è come scoppiata una stella cometa sulla capanna di Gesù Bambino; da quando venne una donna, che è magistrato, a dirmi che lei e alcune sue amiche (e magari, chissà, anche i loro mariti) volevano fare un gruppo...
Per voi sarà una stupidaggine, ma io sono rimasto colpitissimo dalla cosa, perché questo era ritornare al massimalismo iniziale, era il segno che era cresciuto di molto il livello sia pur sotterraneo del desiderio del bene tra di noi, era il segno che il movimento aveva fatto crescere un seme, aveva fatto crescere delle coscienze. Mi è venuta l’evidenza: se questo andamento si moltiplicasse, si incrementasse!
Questo è un vero revival, nel senso stretto della parola. Sicuramente c’è qualche altro caso, ci sono altri casi. Dunque, dobbiamo pregare Iddio e impegnarci innanzitutto a incrementare questa realtà, che non possiamo incrementare se non facendone parte: non predicando, ma facendone parte. La differenza con l’inizio della Fraternità è che non è più possibile l’ambiguità: o c’è o non c’è, uno non si può illudere di farla, quando non la fa. Allora ci si poteva illudere."

Davvero non ho niente altro da aggiungere.
Per ora ;)

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