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lunedì 13 luglio 2015

Inutilità della politica 3

La battuta è quasi impossibile non farla.
Abbiamo toccato il fondo? No, c'è Toccafondi. Il Sottosegretario Toccafondi ha rilasciato una intervista nella quale spiega tutti gli aspetti positivi di una legge per la quale lui e la sua parte politica (Area Popolare) si sono lungamente spesi; è triste leggere quella intervista e poi notare sotto che TUTTI i commenti sono causticamente negativi.
Non entrerò nel dettaglio delle argomentazioni, mi rifiuto di farlo, perché qui è in gioco qualcosa di prepolitico, qualcosa che viene prima della politica, qualcosa per cui si capisce se vale la pena fare politica oppure no.
Se tutti, soprattutto della tua parte (cioè cattolici) si mettono contro quello che politicamente ha proposto e realizzato, a voler essere teneri c'è stato almeno un problema di comunicazione. Ma un problema grave di comunicazione.
Se invece dobbiamo pensare male, non tanto per pensare male ma per dire una cosa più vicina alla verità, occorre pensare ad una distanza ormai consolidata tra popolo e politici. Cioè una distanza ormai esperienziale, una distanza di vita umana tra chi si occupa di politica e di chi vive una vita da cittadino che si occupa primariamente di guadagnarsi da vivere lavorando, esercitando un qualsiasi mestiere.
Si tratta di quella situazione per cui in queste pagine già diverse volte ho proposto (e sicuramente riproporrò) la fatidica domanda: a che servono i politici?
Dando per scontata la risposta: i politici, almeno in questa fase storica, non servono a nulla. E le cose rimarranno così, finché permarrà questa distanza tra politici e mondo dei credenti. Se non ci fosse questa distanza, se vi fosse stato un luogo umano nel quale si potevano scambiare le esperienze di vita, i politici si sarebbero resi conto di quanti in questi mesi si sono duramente impegnati a comunicare tramite incontri e convegni vari in tutta Italia a spiegare le oscenità che ormai vengono permesse a scuola con il silenzio connivente delle istituzioni.
Questo vuoto sociale si è approfondito negli ultimi anni, da quando nel 2007 è scoppiata la crisi economica. Ed è chiaro che questa crisi ha intaccato prima alcuni settori dell'economia prima di altri, ma sempre cominciando dalle fasce più deboli, mentre non ha intaccato minimamente la classe dei politici. Qui lo iato di esperienza umana e personale è diventato un solco che oggi appare quasi impossibile da colmare.
Ricostruire dal basso, come ha detto CL in un recente volantino elettorale, è sicuramente una buona indicazione. Ma il problema è ricostruire dal veramente. E qui mi pare che siamo ancora nella totale confusione.
Dopo la serie di enunciazioni ovvie (e meno ovvie) e correttissime, quando si passa alle proposte concrete siamo ancora dominati dalle ovvietà del potere dominante. E fin dal punto 1 di quel volantino si ha l'affermazione del criterio liberista per cui "in un momento di crisi si spreca, quando si spende più di quello che si ha a disposizione, allora si compromette il benessere di tutti. Occorre perciò applicare agli enti locali la sussidiarietà fiscale, vale a dire il principio secondo cui bisogna premiare chi è capace di fornire servizi di qualità migliore a costi sostenibili".
Ecco, il dominio della cultura liberista! Ma facciamoci la domanda: "costi sostenibili" per chi? Per il potere della finanza che da chi si occupa del bene comune pretende l'assurdità del pareggio di bilancio mentre sottrae le risorse monetarie indispensabili per compierlo? E dove vengono svolte le considerazioni per i "costi sostenibili" per la popolazione a cui viene continuamente e progressivamente sottratta ogni sovranità, dopo che è stata sottratta quella monetaria?
Grande è la confusione sotto il cielo. E in fondo questo è il motivo per cui è nato questo blog. Occorre ridare solide fondamenta alla ricostruzione di uno strato sociale che, oltre che occuparsi primariamente della conservazione della civiltà e della vita morale (come diceva MacIntyre) fornisca utili indicazioni alla politica. Magari guardando in faccia alla realtà nella totalità dei suoi fattori. Anche quelli meno piacevoli (per i politici).

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