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lunedì 6 luglio 2015

Opzione Benedetto!

Un recente articolo apparso sul quotidiano Il Foglio riprende quello che per me è un tema carissimo, anzi è uno dei motivi fondamentali per cui ho aperto questo blog.
Il tema, chiamato giustamente "Opzione Benedetto", è la scoperta improvvisa e spiazzante che certi valori sostanzialmente religiosi, ritenuti da sempre tra i valori fondanti un certo popolo, non sono più tali o non lo sono per la maggioranza della popolazione.
Il dibattito che si apre è sostanzialmente un "cosa fare ora?", tenendo presente quella che è stata la posizione del filosofo Alasdair MacIntyre, il quale si augurava il ritorno di un "nuovo San Benedetto", poiché si è riconosciuto nella figura del Santo e nella sua opera una capacità straordinaria di preservare l'ordine morale e ricostituire una civiltà.
Il tema è saltato fuori dopo il risultato sconcertante per tanti cattolici del referendum nella cattolica (?) Irlanda che ha sancito la legittimità del matrimonio per i gay. Il tema è piuttosto sentito negli Usa, dove a rilanciare questa opzione è stato il seguitissimo blogger Rod Dreher. Ma in questo primo articolo non si dice molto, se non una analisi del dibattito fin qui sviluppato. Però rimane notevole l'ultima considerazione: "L’Opzione Benedetto non è affare che riguardi solo il mondo confessionale". Giusto, perché riguarda pure da vicino il rapporto tra laici e cattolici.
Un secondo articolo di Massimo Introvigne mi pare che affondi meglio il coltello di una piaga (e la piaga è la difficile situazione di un impegno cristiano in una società, come quella italiana, sostanzialmente diffidente se non ostile a tale impegno).
"La tesi di Dreher va capita bene. Non è una “scelta religiosa” che invita i cristiani a ritirarsi nelle sagrestie. Non chiede di disinteressarsi dei grandi problemi antropologici e morali. Ma sostiene che interessarsene è possibile solo con una lunga marcia che parta, nello stile di san Benedetto, dalla formazione e dalle piccole comunità. Lo scontro frontale porterebbe invece alla sconfitta."

La cosa mi interessa non solo perché qui c'è pure la possibilità di definire un preciso percorso storico di CL, ma pure perché questa posizione, che oggettivamente sta andando per la maggiore, sostiene di fatto le ragioni di quanti, responsabili a vario titolo di comunità cristiane (movimenti religiosi e autorità ecclesiali come Galantino) hanno ritenuto opportuno non dare il proprio appoggio alla manifestazione del 20 giugno a Roma.
Il ragionamento è il seguente: le guerre ormai si perdono sempre, siamo sostanzialmente in minoranza in un mondo che non vuole riconoscere i nostri valori, tanto vale creare comunità locali (secondo la proposta di MacIntyre) dove difendere i nostri valori e la civiltà. Evitiamo di disperdere energie in battaglie perse.
Introvigne osserva giustamente che questo presuppone una sorta di tacito patto tra laici e cristiani, un patto che la storia ha già mostrato non poter funzionare o vedere soccombente la parte religiosa (vi rimando all'articolo di Introvigne per gli approfondimenti).
Introvigne conclude affermando che l'Opzione Benedetto è valida, a patto che sia quella di Papa Benedetto XVI e Papa Francesco: soprattutto il primo
"aveva in mente anche lui un cattolicesimo di minoranza che trovasse la sua forza nella cultura e nella formazione, ma – dove si poteva, come nell’Italia del Family day del 2007 – non era contrario a che si scendesse in piazza. E prima di dichiarare perdute le battaglie le combatteva."
E poi...
"Papa Francesco propone due vie: riscoprire l’amore di Dio a partire dalle prime verità della fede e riscoprire la bellezza. A questo servono le comunità “benedettine” di Dreher: ben vengano. Ma poi, per ripetere la parola più usata da Papa Francesco, da queste comunità bisogna “uscire” per giocare la partita e cercare di vincerla."
Qui mi pare che si ricada nel solito dualismo, condannato da Giussani, secondo il quale prima bisogna formarsi per poi andare. Invece no:
"Mentre la maggior parte si illude di poter affrontare questa tematica a prescindere dalla missione... Invece è esattamente l'inverso: uno si forma andando" (Consiglio Nazionale di CL, 6-7 febbraio 1988, in "L'opera del Movimento - la Fraternità di Comunione e Liberazione").
In fondo, Introvigne non tiene conto del caso più importante, del caso in cui c'è stato il successo maggiore dell'Opzione Benedetto: quello di San Benedetto! E questo fa sorgere una domanda: perché San Benedetto ha avuto successo mentre tanti altri dopo di lui hanno fallito?
L'ultimo intervento di Giuseppe Zola mi pare più equilibrato.
"La verità è che entrambe le posizioni hanno un fondamento realistico: un cristianesimo divenuto inconsistente ha bisogno di ricostituire le sue radici, come fece san Benedetto nel Medioevo con i suoi monasteri; nel contempo occorre difendere la libertà di costruire questi monasteri, il che non è più pacifico neanche in  Occidente."
Però rileggo lo scritto del 1980 di MacIntyre e sento puzza di bruciato, perché mi pare che l'Opzione Benedetto finora descritta mi sembra manchevole di qualcosa. Allora occorre tornare alle origini di questo discorso, cioè al brano di MacIntyre.
"Ciò che conta, in questa fase, è la costruzione di forme locali di comunità al cui interno la civiltà e la vita morale e intellettuale possano essere conservate attraverso i nuovi secoli oscuri che già incombono su di noi. E se la tradizione delle virtù è stata in grado di sopravvivere agli orrori dell’ultima età oscura, non siamo del tutto privi di fondamenti per la speranza. Questa volta, però, i barbari non aspettano al di là delle frontiere: ci hanno governato per parecchio tempo. Ed è la nostra inconsapevolezza di questo fatto a costituire parte delle nostre difficoltà. Stiamo aspettando: non Godot, ma un altro San Benedetto, senza dubbio molto diverso" (Dopo la virtù, pag. 314)
Nel 2006 MacIntyre scrive una nuova introduzione alla seconda edizione del libro e dopo 26 anni così si esprime su quel passaggio che conclude il volume:
"Quando scrissi quella frase conclusiva nel 1980, era mia intenzione suggerire che anche la nostra epoca è un tempo di attesa di nuove e inattese possibilità di rinnovamento. Allo stesso tempo, è un periodo di resistenza prudente e coraggiosa, giusta e temperante nella misura del possibile, nei confronti dell'ordine sociale, economico e politico dominante nella modernità avanzata. Questa era la situazione di ventisei anni fa, e tale ancora oggi rimane.” (pag. 26)
Per anni ho affondato la testa nella serie di aggettivi, cercando di sviscerare i criteri per riconoscere quelli che potevano o dovevano essere i binari da seguire in questo momento buio della storia italiana e cristiana. Oggi ci sono arrivato (a trovare questi binari, di cui questa volta non parlo, ci dovrò tornare: è troppo importante). Ma qui occorre prendere in totale considerazione quella parolina che si trova prima degli aggettivi.
Quando c'è la guerra, ci vuole un esercito. Se non c'è un esercito (oppure ci sarebbe, ma la catena di comando è incerta o confusa) allora ci si organizza alla buona, allora si fa la Resistenza. Con la R maiuscola.
E chi si dedica alla Resistenza, si chiama Partigiano.

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