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mercoledì 14 ottobre 2015

Esercizi 2015, citazioni senza giudizio 2

La seconda citazione del brano che ho iniziato a riprendere e giudicare nel precedente post "citazioni senza giudizio", alle pagine 28-29 del libretto degli Esercizi 2015, riguarda un brano della canzone di Guccini dal titolo Canzone per Piero.
Ora, per correttezza nei confronti di chi mi legge, devo dire due cose.
Primo: per tutta una vita ho combattuto politicamente contro i comunisti. I comunisti non mi stanno simpatici in partenza.
Secondo: Guccini come cantante proprio non lo sopporto, come non sopporto qualsiasi presentatore, attore, comico o personaggio televisivo con la "r" moscia. Se non ci sono difetti fisici, la pronuncia con la "r" moscia (cioè la non pronuncia della consonante "r") è un difetto che con certi esercizi si corregge. E se uno non se lo corregge (perché scansafatiche o superficiale) e poi pretende di andare a fare il presentatore o il cantante, mi fa girare le scatole.
Ho dovuto dire queste due cose, perché qualcuno potrebbe chiedersi se io sia prevenuto nei confronti di Guccini. E voglio togliere ogni dubbio: sono negativamente prevenuto.
Ora entriamo pure nel merito.

La Canzone per Piero è una discreta lagna (ma conoscendo un poco Guccini, direi che siamo nel suo standard). Non si tratta certo di un capolavoro: né da un punto di vista musicale, né da un punto di vista letterario.
Il testo ricalca il tema, spesso battuto da autori di sinistra, della insoddisfazione esistenziale di chi ha dedicato la propria vita a costruire un paradiso in terra però senza Dio, e poi scopre che la vita così è una noia mortale. Esempio:
"Chi glielo dice a chi è giovane adesso di quante volte si possa sbagliare, fino al disgusto di ricominciare, perché ogni volta è poi sempre lo stesso..." 
Oppure il brano riportato sul libretto degli Esercizi:
"Io dico sempre non voglio capire, ma è come un vizio sottile e più penso più mi ritrovo questo vuoto immenso e per rimedio soltanto il dormire. E poi ogni giorno mi torno a svegliare e resto incredulo, non vorrei alzarmi, ma vivo ancora e son lì ad aspettarmi le mie domande, il mio niente, il mio male".
Ora l'obiettivo dichiarato di Carron è dimostrare che "quando uno cerca di evitare questa presa di coscienza, neanche questo può annullare l'evidenza di quello che siamo".
Il brano precedente, quello che ho commentato nel post passato, è quello nel quale Carron, riprendendo le parole di Vasco Rossi, individuava nel fatto che "tu non ti arrenderai" la vittoria sul nichilismo.
Il passaggio tra questa (presunta?) vittoria sul nichilismo e questa successiva "evidenza di quello che siamo" è davvero un brutto salto, una discontinuità senza ragioni evidenti. Non c'è una struttura, non c'è un legame logico, non c'è una conseguenza temporale, non c'è una elencazione in punti. Ho proprio l'impressione che se al posto di Guccini vi fosse stato qualsiasi altro con qualsiasi brano significativo, sarebbe stato lo stesso.
Lo stesso scollamento di discorso, la stessa discontinuità logica.
A voler tentare l'acrobazia, ho cercato di mettere insieme i pezzi (quello che Carron comunque non ha fatto). Se questo secondo pezzo è "la sorpresa di quello che non avevamo riconosciuto all'inizio: il dato!", questo dovrebbe combaciare con (o conseguire da?) il pezzo precedente, cioè il riconoscimento che "c'è in me qualcosa che sconfigge il nichilismo: che io non mi arrendo".
Io questo legame, logico o temporale che sia, non l'ho trovato.
Ma quello che è peggio è che non è spiegato. Carron qui non spiega nulla. Cosa c'entra il fatto che "non mi arrendo" (Vasco) col fatto che "son lì ad aspettarmi le mie domande, il mio niente, il mio male" (Guccini)?
Ma con la terza citazione non va certo meglio!
Qui trovo citata la drogata, alcolizzata e defunta (pace all'anima sua) Amy Winehouse, con le parole della canzone Wake up alone. Carron: "Si può anche darsi da fare per non pensare, ma il dolore esplode nel petto...". Tutto qui il commento di Carron, poi segue la citazione del brano, ben nove righe di citazione, che terminano con "...questo dolore nel mio petto, ora che il mio giorno è compiuto.... mi inonda di terrore". Nove righe di citazione, quando ne bastavano una e mezza?
E poi nessun'altro commento. Prosegue Carron:
"Alla realtà, al richiamo che mette in moto la nostra umanità e la coscienza di noi stessi, al complesso di eventi, di sollecitazioni e di provocazioni che chiamiamo realtà appartiene in modo originario ed essenziale anche e soprattutto la trama di incontri che caratterizzano la nostra vita e ne consentono lo sviluppo".
In altre parole, ha ripreso il discorso prima delle citazioni. Questo paragrafo è la parte, lo ricordo, in cui tenta di mostrare che la realtà ci è amica e alleata di fronte al crollo delle evidenze (punto d) a pagina 25).
Queste tre citazioni (Vasco Rossi, Guccini e Amy Winehouse) sono precedute dalla considerazione di Carron che "oggi ci troviamo a compiere un'enorme fatica per recuperare le evidenze perdute", ma proprio nell'esperienza "della noia e della delusione, della tristezza e della pesantezza del vivere, comincia a rendersi nota in controluce questa sete che è l'io, la realtà del cuore, la nostra stoffa ultima".
"Attraverso quella delusione e quella noia, quella percezione di inconsistenza e precarietà, si fa largo l'evidenza del mio io come desiderio di felicità. È impressionante vedere alcuni esempi di questo".
In questi esempi, questo desiderio di felicità proprio non l'ho visto.
Ma non si sono trovati altri esempi?
Magari esempi nel numero enorme dei santi della storia della Chiesa?
Siccome credo profondamente nelle ragioni per cui è iniziato questo blog, allora toccherà anche a me prendere la responsabilità di illustrare questo passaggio, l'intima coerenza di un disegno che merita di essere compreso e meditato.
A presto in un prossimo post.

2 commenti:

  1. A mio avviso la più incredibile di tutte è anche la citazione "portante" di tutta la lezione:è stato presupposto infatti, partendo da una citazione di "introduzione al cristianesimo" che ci siano due modalità di comunicare la fede: una clownesca e inefficace (che punta sulla morale) e una non clownesca ed efficace (che punta sull'incontro). Ora non entro nel merito ma il libro di Ratzinger NON dice questo. Al contrario dice che non c'è modo di togliersi naso e parrucca. Se si fonda una lezione su una citazione, quanto meno si appuri di usarla correttamente.

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  2. "non si sfugge al dilemma dell’essere uomini. Chi pretende di sfuggire l’incertezza della fede dovrà fare i conti con l’incertezza dell’incredulità , la quale, dal canto suo, non potrà mai nemmeno dire con inoppugnabile certezza se la fede non sia realmente la verità. E’ proprio nel rifiuto che si rende visibile l’irrefutabilità della fede.
    A questo punto potrà forse risultare opportuno ascoltare un racconto ebraico, riportatoci da Martin Buber, nel quale il dilemma dell’esistenza umana sopra enunciato affiora in tutta la sua evidenza. “Uno degli illuministi, uomo assi erudito che aveva sentito parlare del rabbi di Berditchev, andò a fargli visita, per disputare come il suo solito anche con lui, nell’intento di fare scempio delle retrive prove da lui apportate per dimostrare la verità della sua fede. Entrando nella stanza dello Zaddik, lo vide passeggiare innanzi e indietro con un libro in mano, immerso in profonda meditazione. Il saggio non prestò alcuna attenzione al visitatore. Finalmente si arrestò, lo guardò di sfuggita, e sbottò fuori a dire: “Chissà, forse è proprio vero”. L’erudito chiamò invano a raccolta tutto il suo orgoglio: gli tremavano le ginocchia, tanto era imponente lo Zaddik da vedere, tanto tremenda la sua sentenza da udire. Il rabbino Levi Jizchak si volse però completamente a lui, rivolgendogli in tutta calma le seguenti parole: “Figlio mio, i grandi della Torah, con i quali tu hai polemizzato, hanno sciupato inutilmente le loro parole con te; quando te ne sei andato, ci hai riso sopra. Essi non sono stati in grado di porgerti Dio e il suo regno; ora, neppur io sono in grado di farlo. Ma pensaci, figlio mio, perché forse è vero”. L’illuminista fece appello a tutte le sue energie interiori, per ribattere; ma quel tremendo “forse”, che risuonava ripetutamente scandito ai suoi orecchi, aveva spezzato ogni sua velleità di opposizione”.
    Penso che qui – nonostante la stranezza della veste esteriore – sia descritta con molta precisione la situazione dell’uomo di fronte al problema di Dio. Nessuno è in grado di porgere agli altri Dio e il suo regno, nemmeno il credente a se stesso. Ma per quanto da ciò possa sentirsi giustificata anche l’incredulità, a essa resta sempre appiccicata addosso l’inquietudine del “forse però è vero”. Il ‘forse’ è l’ineluttabile tentazione alla quale l’uomo non può assolutamente sottrarsi, nella quale anche rifiutando la fede egli deve sperimentarne l’irrefutabilità.
    In altri termini: tanto il credente quanto l’incredulo, ognuno a suo modo, condividono dubbio e fede, sempre che non cerchino di sfuggire a se stessi e alla verità della loro esistenza. Nessuno può sfuggire completamente al dubbio, ma nemmeno alla fede; per l’uno la fede si rende presente contro il dubbio, per l’altro attraverso il dubbio e sotto forma di dubbio.
    E’ la struttura fondamentale del destino umano poter trovare la dimensione definitiva dell’esistenza unicamente in questa interminabile rivalità fra dubbio e fede, fra tentazione e certezza. E chissà mai che proprio il dubbio, il quale preserva tanto l’uno quanto l’altro dalla chiusura nel proprio isolazionismo, non divenga il luogo della comunicazione. Esso, infatti, impedisce ad ambedue gli interlocutori di barricarsi completamente in se stessi, portando il credente a rompere il ghiaccio col dubbioso e il dubbioso ad aprirsi col credente; per il primo rappresenta una partecipazione al destino dell’incredulo, per il secondo una forma sotto cui la fede resta – nonostante tutto – una provocazione permanente."
    J. Ratzinger "introduzione al cristianesimo" Queriniana 2005
    https://www.facebook.com/tommaso.cecchini.5872/posts/1613610035569396

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