Per comprendere meglio i contenuti di questo blog, si consiglia caldamente di leggere le pagine "Le origini di questo blog" e "La missione di questo blog" affinché le considerazioni (critiche) che vengono svolte nei post siano collocate nella giusta ottica e all'interno di una cornice di riferimento adeguata.

domenica 15 novembre 2015

Siamo in guerra, come e perché vinceremo?

Siamo in guerra, forse ora sarà più chiaro a tanti.
E la stiamo perdendo questa guerra, perché la maggioranza delle persone non ha capito ancora che siamo in guerra. Forse lo ha capito perché lo ripete come lo ripetono tutti i media. Ma non lo ha capito fino in fondo perché da domattina continuerà a fare tutto come al solito, tutto come sempre, come se non ci fosse la guerra. E non si può vincere una guerra che nessuno combatte.
Piuttosto che proporre pensieri miei, vi propongo le parole di un editoriale: quando qualcosa è scritto tanto bene, inutile cercare di scrivere qualcosa di meglio (occorre pure avere coscienza dei propri limiti).
L'editoriale è tratto dal sito www.difesaonline.it
"Si parlerà per giorni degli attentati a Parigi. Un’ondata di indignazione e retorica seguirà l’ennesima strage di innocenti, comparse di un film dell’orrore deciso dagli altri. Seguiranno considerazioni politiche e militari, con dibattiti ideologici sulle cause e sulle modalità di reazione. Si parlerà di sicurezza, si parlerà di intelligence. Lo abbiamo già visto e ci accoderemo supini come cittadini virtuali, rabbiosi dietro uno schermo e una tastiera, ma felici in fondo per non essere vittime dirette.
La cosiddetta guerra contro il terrorismo forse è già persa. Il resto sono chiacchiere che sfioriranno col tempo, appena in tempo per entrare nei fiotti commerciali del prossimo Natale.
Il motivo è essenzialmente sociale. Una guerra si vince innanzitutto se c’è, se ci sono cioè delle forze che si contrappongono. Forze che si contrappongono hanno ragione di esistere se c’è qualcosa da difendere. Contro l’Isis o qualsivoglia fronte jihadista islamico, non esiste un fronte compatto semplicemente perché non esiste più nulla che abbia deciso di sopravvivere. L’Occidente e l’Europa in particolare hanno gettato la spugna, rinunciando a se stessi e alla loro identità. È avvenuto nemmeno troppo lentamente nell’ultimo mezzo secolo, in un silenzio compreso tra la malizia ideologica e la non curanza diffusa.
Qualcuno dirà che l’identità è un concetto superato, frutto di un mondo obsoleto e che l’unico valore in cui riconoscersi è la mescolanza delle identità stesse. Con queste premesse frutto di cinquant’anni di masochismo, ogni dibattito è inutile.
Le esplosioni di Parigi non derivano da armi ma dalla stanchezza di esistere. Sono il suicidio di una società che non riconosce a se stessa un cammino storico, un’evoluzione avvenuta intorno a principi oggettivi e inalienabili. Dall’Editto di Costantino, alla Magna Carta, dalla Rivoluzione Francese alle ideologie del Novecento: per millenni l’Occidente ha proposto formule spesso in contrasto tra loro, ma comunque focalizzate essenzialmente su se stesso e sul suo futuro.
Cosa è rimasto di questo? Cosa siamo stati capaci di fare negli ultimi decenni pensando alle generazioni che verranno?
Se la cultura occidentale sia morta a Yalta o a Woodstock poco importa. La quinta colonna del nemico che crediamo di combattere (chiamiamolo Isis per convenienza…) siamo noi stessi, stanchi di sudare per qualcosa, ingrassati all’ombra dei privilegi che abbiamo ereditato dai nostri padri. Non riconoscere nella bozza di Costituzione europea la matrice cristiana è stato l’esempio più lampante di un’abdicazione generale. In un continente fisicamente costruito intorno ai campanili il dibattito non sarebbe dovuto nemmeno nascere. Abbiamo reciso il filo col passato, fobici di ogni retaggio e di ogni tradizione.
Siamo una società obesa e virtuale che finge di volere e volersi bene solo per evitare il peso del sacrificio. Non a caso l’ossessione pacifista e terzomondista spesso è più intrisa di odio per le proprie radici che di carità per gli altri. È un cul de sac mentale da cui non si esce.
Combattere per se stessi è un impegno troppo gravoso, soprattutto per chi ha ceduto all’abulia dell’appartenenza e non si riconosce più in niente. Siamo finiti da tempo nel masochismo culturale, alterofili per sport, critici per emulazione, suicidi per stanchezza. A fronte di culture giovani, affamate, determinate e spietate ci arrovelliamo in parole inutili aspettando la prossima tappa della corsa all’orrore.
Sembra inutile cercare soluzioni. L’Islam radicale è un fenomeno dell’attualità, semplice strumento della Storia. Anche se sconfitto sul campo sarà seguito da altro. Il nostro nemico siamo noi stessi sempre più simili alla Roma del IV° e V° secolo.
Combinati così siamo destinati a sparire con grande scempio di ciò che nel bene e nel male è stato costruito nei secoli.
Molte serpi in seno della cultura occidentale gioiranno, credendo non si sa come di farla franca."
Siamo in guerra, per questo esiste questo blog. Un blog modesto, che comunque in appena cinque mesi ha avuto oltre tredicimila visite. Poca cosa ancora. Ma con la certezza della vittoria, perché la Verità c'è e non dipende da me, non dipende da noi. Questo blog potrà sparire, ma la Verità rimarrà. Anche se questo blog dovesse sparire, nessuno potrà negare che ha dato il suo piccolo modesto contributo per affermare la Verità.
E alcuni pezzi di questa Verità sono questi:

  • questa Europa ha negato le proprie origini cristiane;
  • questa Europa è nata con l'obiettivo della pace;
  • oggi siamo in guerra, questa Europa ha fallito e con essa tutte le istituzioni che l'hanno costruita e sostenuta fino ad oggi.

Ora deve sorgere un popolo, il cui primo atto dev'essere la presa di coscienza di essere un popolo. “Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non-cattolico, e può avvenire che questo pensiero diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia” (Paolo VI, lettera al suo amico Jean Guitton).



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