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domenica 29 novembre 2015

Su libertà e verità

Ho ricevuto da un caro amico la seguente email.
Gentile Giovanni,
in realtà il rapporto fra libertà e verità mi sembra stretto e pertinente all'esperienza cristiana nella storia.
Che la verità non sia un discorso, una serie di definizioni verbali, ma una persona (il Verbo si è fatto Carne, non carta, dice mi pare S. Bernardo), lo ripete, assieme alla Chiesa di sempre, S. Agostino con una delle sue fulminanti definizioni: “Quid est veritas? Vir qui adest.” Che cos'è la verità? Un Uomo presente. Lo dice del resto Gesù: “Io sono la via la verità e la vita" (la traduzione letterale sarebbe, mi risulta: la via vera e viva). Significa che la verità si vive esattamente in un rapporto con Lui, il quale non può che essere un rapporto vivo, vissuto nel presente, in cui ha un ruolo primario la nostra continua decisione di sostenerlo (libertà), e non un rapporto con discorsi già definiti nel passato. Il fatto che Gesù dica di sé: “Io sono la via”, significa anche che per noi questa verità (come del resto in qualsiasi rapporto) non è dato conquistare subito una volta per tutte, ma fin che siamo in questo mondo si dà a noi nella forma di un cammino; cammino di cui la dottrina della Chiesa cattolica costituisce come i paracarri per non deragliare e per camminare più spediti, ma non il fine e la sostanza, che sono un rapporto vivo con il Padre in Cristo, ultimamente non verbalizzabile, come insegnano fra gli altri i mistici (tanto è vero che noi cattolici, per fortuna, non adoriamo un libro, ma l'Ostia nel tabernacolo, davanti alla quale è misteriosamente assicurato lo spazio per tutta la nostra libertà, errori compresi; lo ha voluto Lui consegnandosi nelle nostre mani). Questo è relativismo? No certo, perché imperfetto (per ora) è il nostro rapportarci a Cristo, non Lui, che rimane immutabile ieri, oggi e sempre. La nostra parte la facciamo tornando a desiderarLo e a pregarLo di rifarSi vivo nella nostra vita dopo ogni caduta, senza considerarci degni della salvezza.
Quindi, la frase del Vangelo che citi tu, richiede la distinzione delle due fasi della libertà: la libertà di scelta, che si deve (con l'aiuto della Grazia efficace, ma CI VUOLE il nostro passo, la nostra decisione) esplicare nel seguire Gesù (“Se osserverete le mie parole...”) e la libertà compiuta, perfetta, quella che consiste nella soddisfazione dei desideri più autentici, e nella conoscenza della Verità.
Aggiungo (e questo se vuoi è il punto più delicato, quello da aiutarci a chiarire meglio, in cui la confusione mi sembra oggi più facile), che la volontà di Cristo mi pare, come ho accennato, proprio che noi mettiamo in moto la nostra libertà nel libero e confuso agone della storia, fatta di circostanze effimere, impastate di male, cercando di costruire la Chiesa, in base al nostro discernimento (cultura), costanza (carità), amore a Lui (missione). Tutte capacità imperfette naturalmente. Il resto lo mette Lui, ma questa nostra libertà che si muove ci vuole. Gesù e la Chiesa non risolvono i nostri problemi storici, ma ci educano a farlo, non perché non ne sarebbero capaci, ma perché VOGLIONO che siamo noi a farlo. È il metodo dell'incarnazione. È nostro dovere cristiano provarci (nel modo più intelligente e lungimirante che possiamo, da serpenti e colombe capaci di interpretare la storia e i suoi bisogni), e non certo stare fermi ad assistere allo sfacelo. È questo, mi pare, il significato del detto (di madre Teresa?): “Cristo non ha mani, ha le nostre mani ecc.” Lui ha scelto di essere presente nel mondo dentro e attraverso la nostra umanità. Evidentemente non gli importa che sia imperfetta e incline al male: la ama e la vuole valorizzare e salvare così, da quando si è incarnato, anzi, da un attimo prima, da quando l'Angelo Gabriele è apparso a Maria (anzi, a ben guardare, da Abramo in poi). In questo progressivo ma sicuro affermarsi della Verità nella storia, capisci, la prima fase della libertà, quella della libera scelta, gioca un ruolo fondamentale.
Con amicizia
G.
Carissimo G., dici giustamente che "la frase del Vangelo che citi tu, richiede la distinzione delle due fasi della libertà". In altre parole, c'è certamente la fase nella quale prima liberamente si aderisce e poi la fase nella quale, dopo aver aderito, si sperimenta la libertà. Come affermava "ama e fai ciò che vuoi", ribadendo con altre parole la libertà raggiunta dopo l'adesione a Cristo.
Qui mi sembra che si possa affermare un aspetto cruciale, una distinzione capitale. Nel primo caso ("liberamente aderisco") la libertà è una condizione dell'azione, una delle condizioni (un'altra è la conoscenza, un'altra è la proposta, ecc.). Nel secondo caso invece la libertà è uno stato.
Qual'è la differenza tra i due?
La differenza capitale è che nel primo caso è in azione quella libertà di cui gode ogni essere vivente dotato di volontà. Nel secondo caso, invece, la libertà del soggetto che aderisce a Cristo e si immedesima totalmente in Cristo, il soggetto gode della libertà di Cristo: in quel caso è la libertà di Cristo che è in azione, una libertà di cui gode anche il soggetto, nella sua partecipazione alla natura divina.
Per usare le parole di madre Teresa ("Cristo non ha mani, ha le mie mani"), ci vuole certamente prima la mia decisione di prestare le mie mani a Cristo (e qui applico la mia libertà, avendo la possibilità di rifiutare il prestito), ma presa questa decisione, non rinuncio alla mia libertà: io usufruisco della libertà di Cristo che usa le mie mani.
Dove nasce il possibile equivoco?
L'equivoco nasce quando si parla di libertà. Se si parla al mondo, in un articolo su un quotidiano o un una intervista per una rivista qualsiasi (non religiosa, intendo) e si afferma che solo dalla libertà si arriva alla verità, mi pare che facilmente il mondo intenderà la libertà che intende lui, cioè la libertà di fare come pare e piace: ma questa non conduce alla verità! E soprattutto stona l'affermazione che SOLO la libertà conduce alla verità. Sinceramente non lo capisco, soprattutto in riferimento al fatto che "La santa Chiesa, nostra madre, sostiene e insegna che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza con il lume naturale della ragione umana partendo dalle cose create... Tuttavia, nelle condizioni storiche in cui si trova, l'uomo incontra molte difficoltà per conoscere Dio con la sola luce della ragione...  Per questo l'uomo ha bisogno di essere illuminato dalla Rivelazione di Dio, non solamente su ciò che supera la sua comprensione, ma anche sulle verità religiose e morali che, di per sé, non sono inaccessibili alla ragione..." (CCC n. 36-38). E qui sono in gioco ragione umana e poi la Rivelazione. La libertà non è esclusa, ma non è sola.
Non c'è da scandalizzarsi di questo, certamente. Tutti sbagliano, pure il Papa quando non parla ex-cathedra. Però c'è da notare come questo, in un momento storico di grande confusione, sia l'ennesima conferma di una caduta che può capitare e capita a tutti e per questo richiede a noi tutti la più grande attenzione.

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